Di Lili Refrain e del suo nuovo album Kawax, così come delle sue performance dal vivo, abbiamo già parlato approfonditamente, ciò che mancava era un confronto faccia a faccia per sentire dalla sua voce come è nato questo lavoro ricco di sfaccettature e di spunti differenti, una sorta di diario di bordo capace di trasformare in musica quanto accaduto nel periodo trascorso dall’uscita del precedente 9. Ecco il risultato di una chiacchierata senza rete e frasi di rito, in perfetto stile Lili Refrain. Ringraziamo Ludovica Galeazzi per le foto.
Tra 9 e Kawax ne è passato di tempo, ma non si può certo dire che te ne sia stata con le mani in mano, visto che hai suonato tantissimo in giro. Quanto di queste esperienze live e del tuo rapporto diretto con il pubblico è finito nel nuovo album?
L’esperienza live per questo disco è stata fondamentale. Mi sono concentrata soprattutto sul suono e sulla possibilità di ricreare il più possibile l’atmosfera della resa dal vivo. Al contrario degli album precedenti, in Kawax ho cercato di “sporcare” un po’ di più sia le chitarre sia le voci e rendere il tutto più pastoso, avvolgente e diretto. C’erano inoltre molti più brani a comporre l’ipotetico album che avevo in mente e proprio rodandone alcuni dal vivo ho capito cosa tenere, come migliorare alcuni passaggi, cosa semplificare o cosa eliminare del tutto.
Tra l’altro sei riuscita a portare in giro la tua musica anche fuori dall’Italia, com’è andata e come ha reagito il pubblico nei vari paesi che hai visitato durante il lungo tour con gli Inferno?
Quello con gli Inferno è stato il più lungo, il più denso e bel tour che ho vissuto fino ad ora! A livello emotivo è stato dirompente un po’ per tutti: per loro si trattava dell’ultimo tour in Europa prima dell’ufficiale scioglimento, per me invece era il primo a ridosso della morte di mio padre. È stato incredibile condividere e scambiare con loro tutte quelle emozioni: lacrime, sudore, gioie, adrenalina, viaggi, risate, sbronze, dormite, buone dosi di febreze e live infuocati sera dopo sera.
Siamo stati fuori praticamente un mese e con soli due day-off, siamo stati in Francia, Svizzera, Germania, Repubblica Ceca e Austria, abbiamo suonato in posti incredibili, circondati da persone davvero stupende e la reazione del pubblico è sempre stata estremamente positiva. Ci siamo alternati ad ogni live scambiandoci aperture e chiusure e in alcune situazioni non era affatto scontato che dopo il pogo pazzesco scatenato dagli Inferno la gente restasse tutta lì, super presa dalle atmosfere Refrain. E invece c’era, attentissima ed entusiasta! È stato un mega-successone, e poi al ritorno – più che degli amici – avevo praticamente una famiglia!
A livello sonoro, rispetto a 9, Kawax appare decisamente più “aperto” e contaminato, penso alle collaborazioni con altri musicisti (su cui poi torneremo), alla tua rilettura di un classico (“Nature Boy”), alla ricerca di differenti contesti in cui inserire il tuo stile espressivo, all’utilizzo di voce e chitarra. Necessità di evolversi, voglia di confrontarsi con nuove sfide, stanchezza di procedere in solitaria o semplice curiosità?
Rispetto a 9, Kawax è un’esplosione sotto tanti punti di vista. C’è una necessità diversa che ha generato questo disco: da un lato è stato un esorcismo di tante, tante cose, dall’altro il tentativo di canalizzare gli ultimi radicali cambiamenti della mia vita in una forma “positiva”. È decisamente più viscerale rispetto a 9, più diretto e cardiaco. Ho sentito l’esigenza di dare molto più spazio alla voce e alla percussività, questa volta, e nel farlo ho chiamato in causa anche altri musicisti che mi aiutassero a sottolineare e completare questo aspetto del disco, quindi via libera a voci maschili, archi e batteria. È stato molto bello e assolutamente stimolante confrontarmi con nuove possibilità espressive, come aggiungere il sale al fuoco!
Kawax esce per Subsound Records e Sangue Dischi, oltretutto in formato cd e in vinile. Come è nata questa collaborazione con le due label? Mi verrebbe da dire che tra label, guest, Valerio Fisik e il suo Hombrelobo Studio, qui siamo ad una sorta di cena di famiglia o meglio a una festa tra amici, sbaglio?
Non sbagli affatto! Valerio Fisik e l’Hombrelobo già di per loro sono una garanzia in fatto di feste tra amici! Avevo già lavorato con Valerio nei miei precedenti album, ma – soprattutto per questo lavoro – non avrei potuto trovare luogo e persona migliore con cui produrre il tutto. Ho avuto bisogno di molto tempo per questo album, un po’ perché suonavo in giro e un po’ perché avevo bisogno di seguire e fare uscire tutti i miei flussi di coscienza. Ritrovarsi all’Hombrelobo in quel frangente è stato come essere a casa nella propria stanzetta, con tutti gli orari improbabili del caso e l’assoluto agio di dar via libera a qualsiasi cosa. Con Davide della Subsound Records desideravo collaborare da tempo e ho sempre considerato la sua label come una delle migliori in Italia, mi piace moltissimo il modo in cui lavora ed è un assoluto piacere essersi ritrovati a costruire insieme tra risate, battute e totale fiducia e stima reciproca. Luca di Sangue Dischi lo conosco da un bel po’ di tempo, ci siamo incrociati mille volte durante i vari touretti italiani, suonava con i Laghetto e adesso con i Marnero e i Si Non Sedes Is, che sono gruppi ai quali sono super-legata e con i quali ho condiviso palchi e collaborazioni in diverse occasioni. Dopo 9 ci si diceva di fare uscire un mio vinile insieme, e alla fine l’abbiamo fatto! Mi sto trovando alla grandissima su tutti i fronti con loro.
Parliamo allora dei vari ospiti, chi sono e in che modo hai deciso di interagire con loro e farli entrare nel tuo universo?
In ordine di apparizione i preziosi ospiti sono:
Inferno Sci-Fi Grind’n’Roll più Roberto Cippitelli (Juggernaut);
Valerio Diamanti (batterista dei Dispo);
Nicola Manzan (Bologna Violenta, Teatro Degli Orrori, Baustelle);
Oltre ad essere degli amici sono tutti dei musicisti eccellenti e quindi chi meglio di loro avrebbe potuto arricchire il mio lavoro con nobile arte e ambitissima presenza?
Con gli Inferno la collaborazione è nata praticamente in tour. “Tragos” era il brano di apertura di tutti i miei live e, durante una bellissima data in Germania, un po’ per l’atmosfera amicale e un po’ per gioco, abbiamo deciso di aprire il live tutti insieme e creare un grande coro monacense con tanto di cappucci in testa, fumi e campanelli. Ci siamo divertiti molto e abbiamo ripetuto l’evento in diverse occasioni. Al momento di registrare li ho ovviamente invocati tutti e ci siamo ritrovati in studio in compagnia del sesto “monaco”: Roberto Cippitelli, grandioso bassista dei Juggernaut, nonché eccellente basso anche in campo vocale! Mi piace moltissimo il bordone che hanno creato su quel brano, ci sono dei documenti video che testimoniano l’infinita serietà e l’intrinseca vocazione che ha permeato il tutto!
Valerio Diamanti è invece il fenomenale batterista dei Dispo. È sempre stato uno dei miei batteristi preferiti su suolo romano, ho tirato grosse scapocciate ogni volta che l’ho visto suonare dal vivo e son stata felicissima quando ha accettato la mia proposta di suonare un pezzo insieme. Siamo andati in sala ed è subito scattato l’idillio! Ci siamo divertiti un sacco e ci siamo trovati proprio un gran bene, io ero elettrizzata al pensiero di uscire fuori dalle dinamiche dei loop e seguire una direzione orizzontale, fare cambi, giocare sulle tonalità e sulle ritmiche senza alcun limite. Una figata pazzesca, al punto che abbiamo preso in considerazione anche l’ipotesi futura di metter su un duo! Un assaggio è sicuramente “Baptism Of Fire”, che era un brano che avevo scritto tempo prima, utilizzando unicamente la tecnica del tapping. Senza batteria sarebbe sembrato un mero esercizio di stile, mentre adesso è un pezzo stupendo, completo e potentissimo!
Nicola Manzan non credo abbia bisogno di presentazioni, ma nel caso in cui ci fosse ancora qualcuno che non sapesse chi è, basterà dire Bologna Violenta! Nicola è un mito, una persona di una disponibilità e di una gentilezza incredibili. Ci siamo conosciuti al TagoFest di diversi anni fa, suonavamo durante la stessa serata e mi colpirono immediatamente la sua simpatia galattica e il suo essere parecchio alla mano. Ci è capitato di suonare insieme anche in altri festival, successivamente, e ogni volta che l’ho ascoltato dal vivo mi hanno sempre colpito molto la sua nonchalance e maestria nel passare dal grind violentissimo alla musica classica. Ascoltarlo è un po’ come riuscire finalmente a scorgere il misterioso volto dell’arrotino, il potente uomo delle lame, che affila truculenti e insanguinati coltelli da prosciutto con la stessa grazia con la quale affila minutissime forbici da seta! Insomma, mi sarebbe davvero piaciuto averlo con me in uno dei brani di Kawax e in particolare in quello finale, “Sycomore’s Flames”, che per me è uno dei più evocativi e intrinsecamente violenti di tutto l’album. Gli ho scritto proponendogli la cosa e lui si è mostrato subito molto curioso e disponibilissimo, dopo pochi giorni mi ha mandato le tracce delle sue viole e dei suoi violini e quando ho ascoltato il tutto ho pianto per ore, era tutto assolutamente perfetto!
Osanno i miei ospiti e li adoro, sono felicissima e onoratissima della loro presenza.
Credi che in qualche modo questa esperienza ti farà sentire l’esigenza di avere altri musicisti con te anche sul palco, magari fosse anche per qualche occasione particolare?
Sarebbe bellissimo! Con Valerio abbiamo già presentato “Baptism Of Fire” dal vivo e lo rifaremo presto il 7 Febbraio all’INIT, in occasione del release party romano. Più che un’esigenza, l’idea di interagire con altri musicisti rientra nella curiosità e nel divertimento. Mi è capitato spesso di condividere il palco con musicisti con i quali ho poi improvvisato assieme e sono sempre uscite fuori cose pazzesche in queste occasioni! Le fusioni più intense son nate insieme ad altri progetti solisti, come le molteplici impro con IOIOI (che ricordo con più intensità) o quelle con Above The Tree, che hanno chiuso quasi ogni concerto fatto insieme, ma anche le improvvisate con i Si Non Sedes Is o con i Morkobot son state incredibili, non c’era assolutamente nulla di preparato o programmato in anticipo, eppure era come se si suonasse insieme da sempre.
Facendo un passo indietro, come nasce la decisione di suonare da sola e non con un gruppo? Hai sempre preferito questo approccio o hai in passato avuto anche esperienze in band?
A me piace moltissimo suonare con altri musicisti, non sono assolutamente una misantropa, sono solo una selettiva radicale! Ho suonato con diverse band in passato, ho iniziato nel ’94 in un gruppetto conosciuto come 777 in cui suonava anche Matteo (il batterista dei Si Non Sedes Is quando riesce a spostarsi in Italia), facevamo pezzi nostri ed eravamo davvero carini. Poi abbiamo preso strade diverse, c’è chi è andato a vivere altrove, chi fuori dall’Italia e chi dall’Europa. Anche se non abbiamo proseguito assieme, abbiamo tutti continuato a suonare, e questa è una cosa bella. Per me è stata un’esperienza fondamentale, eravamo piccoletti e con i caratteracci degli adolescenti, ma ci credevamo proprio un sacco in quello che facevamo. La voglia di suonare e il crederci a me è rimasta un bel po’ e, mentre suonavo con altre band, mi capitava spesso di registrare su cassetta degli arpeggi o dei riff di chitarra per poi inventare degli assoli da rifarci sopra. Questa cosa la facevo molto spontaneamente, come quando si ha un block notes davanti, non avrei mai pensato che sarebbe potuto partire un vero progetto da questa pratica. Ho iniziato a registrare in modo sempre più stratificato usando un Tascam a 4 canali rigorosamente a nastro e mi divertivo parecchio, anche se l’approccio è sempre stato un po’ quello di una bambina che resta da sola a casa a giocare con i lego, piuttosto che quello del compositore pazzo che cerca il contrappunto perfetto! Poi sono arrivati i sequencer multimediali, è arrivato MySpace e ho aperto un profilo pubblicando dei brani, hanno iniziato a scrivermi e qualcuno mi ha proposto dei live. E chi cacchio se l’aspettava? Sono entrata in contatto con un vero compositore, Cristiano Serino, persona meravigliosa e dal talento eccelso, che è stato poi il mentore della mia primissima performance dal vivo a San Giovanni in Laterano, dove ho urlato davanti al sacro altare personificando la tentazione luciferina… insomma, quale migliore inizio!
Mi sono in seguito procurata una loop station e ho iniziato a creare dei brani come sul Tascam, ma con l’intento di provare a farli anche dal vivo, ci ho provato ed è andata alla grande! E chi se lo riaspettava?! Nel 2007 ho inciso il primo disco autoproducendomi totalmente e da quel momento non mi sono più fermata, fino ad arrivare ad oggi che sono una super zingara D.O.C.!
L’artwork richiama alla mente una figura mitologica come il Minotauro o alcune divinità pagane, c’entra anche l’invocazione al Vaccabove che esegui dal vivo in una sorta di rituale con il pubblico? Da cosa nasce questa immagine e il titolo del disco?
Fammi dire innanzitutto che l’artwork è stato curato da un’artista bravissima che si chiama Fernanda Veron e con la quale lavorare insieme è stato un piacere totale. Non solo ha creato la copertina del disco, ma dopo vari bicchieri di vino e un’autentica seduta psicoanalitica in cui le ho raccontato da cosa è scaturito questo lavoro, ha interpretato con un’illustrazione ogni brano dell’album, corredando il disco in vinile di un meraviglioso inserto e il digipak di uno stupendo libretto di 16 pagine.
Kawax, più che un demone, è un’entità onirica. Il suo nome non significa nulla, ma ha delle forti assonanze con “Cow” ed “Ox”. Il fantomatico VaccaBove, per l’appunto! Il nome “Vaccabove” è saltato spesso fuori in tour con gli Inferno grazie alle fantasiose imprecazioni di Demian, poi una notte quest’entità pazzesca mezza umana e mezza bovina è venuta a trovarmi in sogno, era un momento veramente tanto difficile per me, ed è stato come trovarsi davanti ad una sorta di totem atavico che mi spronava a reagire e a uscire dal labirinto depressivo in cui mi trovavo. Kawax è la forza dirompente degli istinti, l’energia vitale che si rinnova e scalpita, il sangue, la linfa, la pulsazione che smuove le viscere. Dopo questo sogno ho fatto varie ricerche sulla figura del bove ed ho scoperto moltissimi simboli collegati a questo animale. Quello che mi ha colpito di più è la raffigurazione che nella mitologia egizia veniva data alla dea Hator, la dea dei morti e della rigenerazione, le grandi corna simboleggiavano la luna crescente, estremamente connessa alla ciclicità femminea e a quella naturale. Per quanto si trattasse di un sogno, mi ha fatto davvero bene incontrare quest’entità e, dato che mi ha permesso di mettermi in moto anche a livello musicale, ho deciso di dedicargli la copertina dell’album e – ogni volta che posso – una goliardica invocazione collettiva.
In realtà, sono molti i simboli e i richiami più o meno palesi che sembrano cosparsi lungo le tracce, fino alla conclusiva “Sycomore’s Flames”, il probabile apice del disco quanto a pathos. Ti va di darci qualche indizio sulle varie immagini/situazioni che hanno ispirato i vari brani?
Beh, è tutto estremamente personale e connesso alle mie vicende private, soprattutto quelle che riguardano le violente separazioni vissute l’anno scorso… in ogni brano ci sono le tracce di questa passeggiata al buio pesto che è stato il mio ultimo anno di vita: ci sono i miei saluti personali, gli arrivederci, gli addii, le mie reazioni a caldo. Sviscerarli tutti qui sarebbe poco gentile nei confronti della ricezione “neutrale” di chi ascolterà il disco, mi piace l’idea che questi brani possano raccontarsi da sé senza aggiungere troppe parole in merito. Posso dire solo che tutto ha inizio con una vera e propria invocazione alle Ombre e ciò che segue è l’incontro e il dialogo con esse, a volte estremamente istintivo e viscerale, altre più criptico e riflessivo.
L’idea che deriva dall’insieme di musica e immagini è quella di una sorta di viaggio iniziatico, un percorso in fondo molto intimo e personale nonostante l’apertura alle collaborazioni e la scelta di far confluire input differenti di cui parlavamo prima. Come sei riuscita a bilanciare questi due aspetti?
Riguardo agli input, ho interagito con i vari musicisti su brani già scritti e quindi dove le cose erano già state “dette”, mi è piaciuto poter impreziosire e accentuare alcuni elementi grazie alla loro presenza: Nicola rende il mio addio ancora più struggente e poetico grazie ai suoi archi, gli Inferno rendono “Tragos” ancora più sciamanico grazie al loro bordone vocale e Valerio rende il mio tapping motivo di scapocciamenti funesti. La presenza di queste persone arricchisce e completa il disco senza alterarne minimamente l’intima natura. Riguardo alle grafiche, come diceco, ho raccontato a Fernanda cosa avrei voluto esprimere brano dopo brano, dandole delle coordinate immaginifiche che non potevano essere illustrate in modo migliore. Insomma, avevo chiaro il risultato finale e ho cercato gli elementi migliori che potessero aiutarmi a raggiungere l’idea che avevo di Kawax.
Prossime date live, sei già in tour per promuovere l’album?
Sono in tour dal 17 ottobre scorso e ho portato Kawax in giro per quasi tutta l’Italia. Sono tornata da poco da un lungo tour al sud tra Calabria, Sicilia e Puglia, tra poco presenterò (finalmente) il disco anche a Roma, avrò dei concerti successivamente tra l’Emilia, la Lombardia e il Piemonte. Ad aprile invece tornerò in Germania e proseguirò le date in Francia e Svizzera in un bel tour con i Marnero fino a maggio, in ogni caso sul mio blog ci sono tutte le date aggiornate!
Grazie mille per il tuo tempo, ti lascio libera di aggiungere ciò che preferisci…
Grazie mille a te Michele, come al solito sia a voce sia in forma scritta è sempre un gran bello chiacchierare insieme! Approfitto per lasciare una manciata di link dove poter seguire me e la mia musica, vi aspetto tutti ai concerti, VACCABOVEEEEEEEEEEEEEEEE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!