Gli incontri casuali si rivelano a volte particolarmente … di qualità, ma per accorgersi della reale dimensione di chi si ha davanti occorrono a volte tempi lunghi, semplicemente perché si è impreparati a scoprire e a lasciarsi scoprire. Occorre spiegare come ho conosciuto Liliana Fantini. Era il 14 aprile, e ad un’ora improbabile -le15.00- in una giornata meteorologicamente difficile, mi trovavo assieme a Max Pacini ad Alba, libreria La Torre, per presentare il nostro contenitore “Cosa resterà di me?”. Pochi i presenti, per i motivi descritti, ma gli occhi attenti di Liliana avrebbero giustificato da soli la nostra descrizione del book. Nel momento topico, rappresentato dalla lettura di stralci di libro, è venuto naturale invitare Liliana a sostituirci e lei, vinta la titubanza iniziale, ha dato dimostrazione di sapienza espressiva. E mi ha realmente emozionato. A fine presentazione scopriamo che Liliana ha appena pubblicato un album di matrice jazz, di cui è la “proprietaria” di musica e testi. Che c’è di strano… capita a tanti !? L’intervista a seguire chiarirà molto della storia di questa new singer, ma è d’obbligo sottolineare che sto parlando di talento - questo è certo - a lungo latente, dal momento che non esistono follow up di amori musicali adolescenziali, ne la partecipazione a corsi specifici. Siamo semplicemente al cospetto di una luce che si accende all’improvviso e chiarisce le idee, indica la strada futura, e suggerisce le modalità di percorrenza. L’empatia creatasi tra Liliana, Max e me, non sarebbe interessante, se non fosse fondata su di un concetto importante, che è quello che credo stia alla base di “Correvoce”, il disco di Liliana; siamo accomunati da una scoperta che è quella del prendere coscienza che ogni essere umano è speciale, almeno potenzialmente; gli uomini e le donne hanno sempre molto da dire, anche se spesso non lo sanno, ritenendosi… inadeguati o poco interessanti. Il rischio è che questa forza interna non venga mai a galla. La “mezza fortuna” è quella che ci segna quando ce ne rendiamo conto, almeno, nel corso della vita, quando si è ancora in tempo, per dare soddisfazione a se stessi e per essere di insegnamento agli altri, che magari faticano nel riconoscere i segni che prima o poi qualcuno ci manda. E nella fase didattica occorre spiegare quanto sia utile abbattere il muro delle “vergogna”, quella sorta di blocco che ci attanaglia quando siamo molto giovani, ma che ci divertiamo a demolire, mattone dopo mattone, quando raggiungiamo una certa maturità. Un lungo ragionamento il mio, forse non funzionale alla spiegazione di “Correvoce”, ma parlare di Liliana Fantini significa per me descrivere un simbolo, un riferimento che lego oggi ad un aspetto dell’arte, la musica, ma che rappresenta un esempio di come siano molteplici le possibilità di vivere differenti vite, di come sia spesso il caso a determinare i nostri percorsi, e di come ci sia sempre il modo per affermare chi realmente siamo. Il pensiero di Liliana, nelle righe a seguire, chiarirà perfettamente chi lei sia. Se avessi ascoltato “Correvoce” senza sapere niente dell’autrice, non avrei mai pensato ad un’opera prima, ne ad un’interprete nata per caso, ma piuttosto ad una professionista, magari intrappolata nella ragnatela del businnes musicale, ma… una del mestiere. Liliana ha il jazz nel sangue. Lo ha scoperto per caso, quasi fulminata sulla via di Damasco, ma il fatto importante è che l’esigenza di esprimersi ha trovato una via preferenziale, la più complicata. Chiunque abbia qualcosa da dire, e conosca tre accordi di chitarra, è in grado di comporre una canzone. Alla canzonetta da fischiettare si può contrapporre un blues -se si ha sofferto abbastanza- o il messaggio tipico cantautorale, ma difficilmente si sfocia nel jazz. Jazz è libertà assoluta, jam session, assoli che rimbalzano da uno strumento ad un altro, virtuosismo esasperato. A Liliana Fantini è invece accaduto un piccolo miracolo. Intanto ha una voce incredibile, capace di modulare come un’esperta vocalist, e con una timbrica davvero gradevole. Ma la novità… sorprendente novità, è che una musicista “immatura”, sceglie la strada più controversa per raccontare la propria vita e i propri sentimenti, e vince la sfida. In realtà il termine “sfida” riporta ad una sorta di forzatura, mentre qui vige la naturalezza, che conduce poi alla libertà a cui accennavo.
“E scopro il jazz, e proprio questa musica mi chiedo mai perché, si sia nascosta in scantinati e palchi senza mai arrivare a me, o forse è il sintomo di un mio timore oscuro di cambiare…” (E scopro il jazz)
Comincia così l’album, con un brano difficilissimo da
interpretare.
E poi momenti amari, che descrivono il buio di un amore
finito, e la lunga strada che riporta alla “Nuova vita”, una vita che riprende
significato attraverso la qualità dei rapporti umani e, naturalmente, fatta di
musica e di occasioni per condividerla.
A Liliana non manca proprio niente e so che sarebbe contenta
se le sue creazioni camminassero spedite, magari attraverso la voce di altri,
ma io credo che la strada intrapresa sia quella giusta, da alimentare con
performance live, con l’aiuto e i consigli di chi le è stato vicino sino ad
oggi e, soprattutto, ha creduto in lei.
Non credo sarà per lei
impresa impossibile calcare “scantinati e palchi” con la musica del
cuore dalla sua parte!
L’INTERVISTA
Quale tipo di
formazione specifica(musicale) e culturale hai alle spalle? Come sei arrivata
alla musica?
Ho frequentato il liceo
Classico a Monza… allora abitavo là. L’università era un sogno negato, data
l’impossibilità economica. Sono finita a fare la programmatrice, ramo
informatico, quindi.. un mestiere che con me non ha nulla a che fare. Una scelta
faticosa che continua, chissà che un giorno non riesca a liberarmi di questo
fardello.
Mi piacerebbe molto poter
dire che ho cominciato a studiare musica in giovane età, come tanti artisti
hanno fatto, ma così non è.
La musica ha sempre fatto
parte di me, fin da piccola, (mi ricordo cantare “Senza fine” di Paoli,
piccolissima, con un pianino con i tasti colorati) ma mi sono sempre limitata a
fruirne come ascoltatrice, per tanti anni.
Gli ascolti: cantautori:
Paoli, Tenco, Dalla, De Gregari, Guccini... e poi Graziani, Venditti,
Cocciante, Mina, Vanoni, Gaber, Iannacci, musica italiana di qualità. Oltre
oceano Frank Sinatra, Dionne Warwick, Whitney Houston, ma anche gli europei
Jethro Tull, Supertramp... beh... Beatles, sempre! Da adolescente mi sono avvicinata alla musica
classica e più tardi all’opera, grazie a uno sceneggiato televisivo su Giuseppe
Verdi (ricordo Carla Fracci interpretare la moglie Giuseppina
Strepponi ).
Solo verso i 40 anni mi sono iscritta a un corso di canto
lirico amatoriale, (nel frattempo avevo fatto famiglia, una figlia… ecc.) volevo tirare fuori la voce, cantare le arie
d’opera (in un coro ero stata utilizzata come contralto, perché la mia voce non
abituata a cantare non aveva estensione, e a me ‘sta cosa non era andata giù) .
Non è facile a quell’età, ma mi sono abbastanza divertita. Qualche anno dopo ho
pensato che l’esperienza lirica, approcciata
a livello amatoriale e in tarda età, non avrebbe potuto regalarmi ulteriori
emozioni (il canto lirico necessita di dedizione, rigore, e va intrapreso da
giovani per giungere a ottenere risultati di rilievo) e ho virato l’interesse sul
jazz, che ho avuto modo di avvicinare tramite un’insegnante di Torino, Silvia
Pellegrino e successivamente sotto la guida di Elisabetta Prodon. Ho scoperto e
studiato gli standard jazz, nuove
sonorità che si sposavano comunque a ballad ricche di emozioni .
Negli anni, l’ascolto
delle grandi voci jazz, Ella Fitzgerald, Billie Holliday, Nina Simone e altre
interpreti mi avevano fatto apprezzare
anche questo genere, inizialmente ignorato.
Paolo Conte, Bollani,
Gualazzi si sono quindi aggiunti ai miei
ascolti abituali, oltre ai classici del jazz.
Ci siamo conosciuti
casualmente e frequentati per pochi
minuti, con una certa… interattività, ma io, te-credo- e Max, tanto per citare
i presenti ad Alba alla libreria La Torre, abbiamo in comune il bisogno –che
forse prima era latente- di raccontarci, di denudarci, e di indicare percorsi
alternativi a chi non ha la consapevolezza delle proprie possibilità (non parlo
ovviamente di nessun tipo di “successo”). Sono lontano dalla verità per quanto
riguarda Liliana Fantini?
In questo
momento della mia vita prevale la voglia di esprimermi, di non nascondermi più.
Se in ognuno di noi c’è un universo, è fantastico poterlo condividere, potere
contribuire al bello e cacciare via la polvere del quotidiano, spesso non
esaltante. E la musica è bellezza, così come tante altre arti.. Non a caso sto
presentando nell’albese, insieme a due amiche, Silvia Pio poeta, come ama
definirsi lei e Bruna Bonino, fotografa, un progetto di poesia, fotografia e
canzoni, proprio simile a quello cha avete ideato voi nel vostro bel libro. C’è
il desiderio di scoprirsi, portando bellezza, emozioni, svelando anche quello
che è intimo, ma che spesso risuona con l’intimità dell’ascoltatore, creando
empatia. Cosa resterà di noi? Non so, ma se abbiamo contribuito, anche per un
attimo, a emozionare qualcuno, a fargli vibrare il cuore, a risvegliare
qualcosa di sopito, a suggerirgli un pensiero, ecco… qualcosa resterà.
La tua urgenza di
comporre, nata su di una spiaggia repentinamente, poteva incontrare strade
molteplici. Perché il jazz?
Non saprei nemmeno dare
una risposta precisa.. quando in macchina ti gira un blues in testa, per
giorni.. e all’improvviso si materializzano le parole.. “Ho visto un angelo volare, cadere sulle scale”.. che sembra un
nonsense, non stai a chiederti il perché, gli vai dietro e basta. Che
altro? Un concerto della Torino Jazz
Orchestra mi ha tenuto incollata alla
sedia in cui però era un’impresa stare fermi, il contrabbasso rimbombava nella
pancia e le emozioni sensoriali erano amplificate al massimo; nel tragitto di
ritorno, in auto da sola, ho creato l’80 % di quello che sarebbe poi diventato “E
scopro il jazz”... allora quello è jazz... forse, non so.
(Quando Max, alla Torre,
raccontava il suo fermarsi in macchina per scrivere il testo della canzone che
gli girava nella testa, non ho potuto non sorridere pensando alla mia
esperienza, molto simile)
Molto lo devo agli
arrangiamenti e al gusto di Fabio Gorlier (nel brano citato, insieme ai suoi
amici musicisti, ha creato un ensamble trascinante, in cui poi anche Cisi si è
inserito con la sua arte), un gusto condiviso, comunque.
Questa importante
decisione si può mettere in relazione a
qualche cambiamento significativo che
riguarda la tua vita?
Beh, sì! Un
ciclo della vita terminato. Aver visto morire i miei genitori, una storia d’amore finita, in maniera molto
sofferta (“Come hai potuto”) e
finito, spero, una sorta di sonnambulismo, che mi faceva vorticare nelle
emozioni e nelle disperazioni. Finito di piangere, mi sono guardata intorno e
dentro, soprattutto dentro... se si ha coraggio di farlo ci sono belle cose,
anche se si fa fatica a crederlo. Mi hanno aiutato in questo percorso lo yoga,
la meditazione, una concezione della vita non più materialistica, ma che apre
una porta a una visione spirituale del tutto. Il frutto di questo cammino, sempre in divenire,
sono le canzoni come “Corre voce”, “Nuova vita”, “Liberotango”, “Voglio amare”.
Il termine “musica
jazz”, come tu sottolinei, evoca la parola “libertà”, ma è quasi sempre uno
stato legato all’improvvisazione strumentale. I tuoi testi sono, al contrario,
imprescindibili dalla musica e con essi attraversi tutta la gamma degli
importanti sentimenti umani. E’ sempre naturale per te il connubio
messaggio/musica?
Le mie
canzoni sono nate come una mia urgenza... dovevo esprimermi, dire quello che
sono, quello che ho sofferto, quello che spero e quello in cui credo. In questo
momento mi è naturale, sì, esprimere in musica le mie emozioni. E’come se
finalmente si fosse liberato un tappo che comprimeva tutto... sapevo che sotto
c’era qualcosa, ma non sapevo cosa. E’ uscito, sta continuando a uscire e mi
sta dando un gran gusto. La libertà del jazz sicuramente è strumentale, ma
anche la voce può avere briglia sciolta. Vengo da una formazione di canto
lirico dove tutto è preciso e misurato. Nei jazz ho apprezzato la libertà di anticipare o ritardare una
battuta, di esprimermi con toni e colori diversi, di non rimanere imbrigliati
in una scansione rigida del pentagramma.
Ti sei cimentata ad
Alba nella lettura improvvisata di una storia molto personale che non ti
apparteneva, e mi hai fatto commuovere. Quante altre cose sai fare, oltre ad
essere musicista?
Ho
frequentato tempo fa un corso di formazione teatrale ad Alba. Ho amato da
subito la dizione, che ho trovato musicale e l’ho fatta mia. Mi viene naturale
dare colore e intensità diverse a quello che leggo, giocare con i toni per
evidenziare dei passaggi, per dare luce alle emozioni che attraversano un
testo. Da sempre ho apprezzato il
teatro, ma come per il canto, pensavo che mai avrei potuto cimentarmi io in
prima persona. Anche questo è stato un percorso intrapreso in età matura. Ho
fatto qualche esperienza sul palco, sono… bravina, ma amo di più la musica e il
canto in assoluto. In ogni caso, se ho occasione di leggere, lo faccio
volentieri.. mi piace leggere ad alta voce, interpretare, dare emozione ed
emozionarmi io stessa. Il suono delle parole è musica.
Nei tuoi ringraziamenti
e commenti vengono citati con una certa enfasi alcuni musicisti e collaboratori
che hanno partecipato al tuo progetto. Quanta amicizia c’è in “Corre voce”?
“Correvoce
è un progetto che ha avuto luce grazie a Fabio Gorlier, che stimo tantissimo,
anzi... lo adoro, e che sempre ringrazierò per avermi dato retta per la
realizzazione di questo disco. L’ho conosciuto frequentando il canto lirico, in
quanto era, ed è tuttora, il pianista accompagnatore della classe di canto, uno
dei suoi tanti impegni artistici. Lui insegna pianoforte e suona jazz in
parecchie formazioni. Ha apprezzato i miei pezzi e li ha arrangiati con gusto,
indovinando le mie intenzioni, impreziosendo con la sua bravura quello che io
avevo solo nella mente. Si è avvalso della collaborazione dei suoi amici,
Emilio e Michele, che non conoscevo, ma che in un batter d’occhio sono entrati
in sintonia con Fabio oltre che con me, rivelandosi bravi professionisti oltre
che estremamente simpatici e alla mano. La ciliegina sulla torna l’ha poi messa
Emanuele Cisi, artista notissimo suggerito da Piangiarelli, che con estrema
umiltà e simpatia ha acconsentito a partecipare al cd di una sconosciuta
cantante. Si è inserito in due brani a cui tengo molto e che sono piaciuti
anche a lui. Bello, no?
Quanto pensi possa
influenzare la propria arte il luogo in cui si vive? Conta la dimensione, la tradizione
e la cultura che si tramanda di generazione in generazione?
Credo che
conti, certo. Se si respira arte, cultura e musica è più facile che il talento
possa andare in risonanza ed emergere trovando i giusti stimoli per esprimersi.
Penso alla scuola genovese, che ha influenzato tantissimi artisti… o all’humus napoletano
che ha alimentato tanta splendida musica, ma ci sarebbero moltissimi
esempi. Tuttavia, se qualcosa di forte
“spinge” dentro, penso possa trovare la sua via di espressione anche sopra il
cucuzzolo di una montagna.
Mi è chiara la
definizione di “serenità”, mentre è più complicato stabilire cosa voglia dire
essere felici. Ammesso che tu abbia le idee più chiare delle mie… a quale delle
due categorie aspiri maggiormente?
L’aspirazione
alla felicità è quello che mi interessa, ovviamente. La serenità ha un sapore
più tiepido, momentaneo, la felicità la
visualizzo come espressione dell’essere. Credo che sia nostro diritto aspirare a essere
felici. Che vuol dire? Per me significa essere se stessi, potersi esprimere in
libertà, essere in sintonia con la propria anima. Significa fare quello per cui
si sente gioia, il più vicino possibile a quello che intimamente ti detta il
cuore. Significa avere relazioni gratificanti, amorevoli, avendo la consapevolezza
che siamo parte di un tutto inscindibile, che siamo intimamente collegati tra
noi e con la terra.
Viviamo un periodo di grande confusione, insoddisfazione e
stress. Credo che qualcosa debba cambiare, che si debbano ritrovare dei gesti
semplici, una solidarietà che ci è sconosciuta, una comunione di intenti. Il
potere, politico e religioso, tende a separare e tenere soggiogati, certo
sarebbe difficile tenere a bada un popolo consapevole, piuttosto che uno
dormiente. Ho appeso in cucina una riflessione di Marianne Williamson, citata
in un famoso discorso di Mandela. Mi è cara. Ogni tanto… butto un occhio…
La nostra paura più profonda non è quella di essere
inadeguati.
La nostra paura più profonda è quella di avere un
enorme potere.
E’ la nostra luce, non la nostra oscurità, che ci
spaventa di più.
Ci chiediamo: "chi sono io, per credermi
brillante, stupendo, pieno
di talenti, favoloso?"
In realtà, chi sei tu per NON esserlo?
Sei un figlio di Dio.
Il tuo stare nel piccolo non aiuta il mondo.
Non c’è niente di illuminato nel raggrinzirti, così
che le altre persone non si sentano insicure vicino a te.
Sei fatto per risplendere, come i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che
è in noi.
Non è solo in alcuni di noi: è in ognuno.
E quando lasciamo splendere la nostra luce, inconsciamente
diamo il permesso agli altri di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra
presenza automaticamente libera gli altri.
E ora, dopo questo
exploit di creatività, cosa ti aspetti dall’immediato futuro artistico?
Mi piacerebbe continuare
su quest’onda, avere l’opportunità di cantare i miei pezzi, di emozionare le
persone, visto che sto ricevendo bellissimi riscontri all’ascolto del cd da
ogni genere di persone. Ultimo tra questi, un artista molto noto, anzi...
nazionale, il nostro Gianni Morandi, che
ha avuto il mio cd tramite un’amicizia comune e che gentilmente mi ha
telefonato invitandomi a proseguire in questo senso, suggerendomi di dare
evidenza al fatto che non è mai troppo tardi per esprimersi artisticamente e
realizzare qualcosa di bello. Vorrei continuare a comporre, come sto facendo
del resto, e trovare il modo per fare arrivare a un pubblico, il più vasto
possibile, le mie parole e la mia musica.
Non mi spiacerebbe nemmeno se qualche artista più noto di me scegliesse
di cantare qualche mio brano, un’opportunità ulteriore di far conoscere le mie
creazioni. Mi piacerebbe ampliare la
collaborazione artistica, avere la possibilità di misurarmi con nuovi musicisti
e nuove idee.
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