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Lillo Favia, “Come meta il viaggio”

Creato il 27 settembre 2014 da Patrizia Poli @tartina

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di patrizia Poli

Come meta il viaggio

Lillo Favia

Ebook 2014

Tutto si può dire di “Come meta il viaggio”, di Lillo Favia, tranne che non sia originale. Non per il contenuto - ché pur sempre trattasi di storia maschile di sesso, droga e rock and roll – ma piuttosto per lo stile. Di solito testi di questo genere, sulla scia dei vari Kerouack, Bukowski, Carver etc, che imperversano nella narrativa odierna prodotta dai maschi dai vent’anni in su, sono scritti in un linguaggio “postmoderno” infarcito di volgarità, ormai standardizzato fino a diventare anonimo. Il romanzo di Lillo Favia, invece, gioca con le parole e porta avanti un’approfondita ricerca, non per niente egli si definisce “meccanico della lingua”. La narrazione si avvale di una prosa che sfocia nella poesia, alternandosi spesso a essa. Favia non lascia nulla al caso e l’analisi stilistica diventa esistenziale.

Per un artista, l’opera è una missione, un percorso impervio in cui rintracciare un’ipotesi di libertà. In cui provare a risolvere i propri dilemmi, le proprie paure, il proprio non saper vivere.”

Il narratore racconta la storia dell’amico Max, prematuramente scomparso. Insieme i due hanno attraversato tutti gli stadi di un vivere giovanile estremo, dal viaggio on the road, alle canne rollate, su su fino al primo buco, alla dipendenza da eroina descritta con la stesso sguardo ravvicinato di Gregory David Roberts in “Shantaram”, alla disintossicazione nella comunità di recupero Albatros, diretta dal tremendo Don Rosario, personaggio ambiguo e non del tutto positivo. Alla fine, però, i cammini dei due giovani divergono: Max perirà poiché la perdita che dovrà subire sarà talmente dolorosa e inaccettabile da poter essere sublimata solo con la morte. Prima di morire, però, egli sceglierà la strada, diventerà un senzatetto, nell’accezione più nobile del termine. La strada, più che la droga o il viaggio, incarnerà l’indagine spirituale, l’affinamento, la libertà da ogni sovrastruttura, il percorso dentro se stessi.

È solo grazie al suo intuito se ho potuto intraprendere questo esaltante percorso letterario, questa impagabile auto-analisi”

Sorge il dubbio che Max sia l’alter ego del protagonista, e il “Max pensiero” ciò che il protagonista pensa o vorrebbe pensare. Max è quello che il protagonista diventerebbe se andasse a fondo nell’autodistruzione, nella trasgressione, nell’annullamento dei legami civili: amicizia, amore, famiglia, dogma. E il rapporto che li lega è indefinibile, quasi una sorta di amore platonico che supera e sublima ogni vincolo con l’altro sesso.

Ambientato negli anni 80 e 90, fra la Puglia, l’Olanda e vari altri luoghi, il romanzo mostra una vera e propria ossessione per le date, quasi a voler fissare i momenti, a voler imbrigliare e catalogare una vita che appare senza direzione, dando senso alla morte. E la morte, si scoprirà, è un diritto, un atto di estrema affermazione di sé:

Sono pronto ad affermare che Max aveva tutto il diritto di decidere il proprio futuro, di arrogare volontà di vita o di morte sul proprio tempo. Mi vergogno come un assassino per aver messo in discussione il suo libero arbitrio. Ora che ho viaggiato fra i suoi tormenti, tra le sue scritture, tra i suoi ricordi; ora che assaporo in pieno il proverbiale respiro della parola “vita”: riesco a percepire la sua condizione di neo giovane Werther.”

Scrittore e musicista barese, Lillo Favia sembra optare per la commistione di generi e stili in modo sperimentale. Ed anche questa pare essere una caratteristica degli artisti di ultima generazione, cioè la multimedialità e la mescolanza della scrittura con altre forme d’arte, dalla musica, al canto, alla danza. C’è una miscela fra un “basso” – la vita randagia, le crisi d’astinenza, il sesso a pagamento –e un “alto” costituito dai frequenti abbandoni lirici della prosa.

Partimmo a notte fonda, all’ombra di un cielo nero. L’aria era farcita di quei tipici sapori del litorale pugliese, le alghe fresche allineate dal grecale, l’ulivo, il pino marittimo, le effusioni di terra d’argilla rossa e rosmarino si rincorrevano e mischiavano lungo la lingua d’asfalto.”

Certo è che non sempre la mistura di tecniche e forme espressive (fra appunti, dialoghi, brani di diario, versi lasciati in giro da Max come indizi) riesce ad apparire funzionale, capita di chiedersi se non si sia voluto accogliere tutto (troppo) senza saper tralasciare o, come minimo, amalgamare, e nasce il sospetto di possibili incursioni nel diario privato dell’autore.


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