LIM/ L’evoluzione del Medium ad uso didattico

Creato il 21 settembre 2011 da Antonio Conte

Certo per molti docenti la presenza della LIM e degli E-book in classe può sembrare fuorviante per lo studio e la concentrazione degli alunni, ma perchè allora si assiste a molte iniziative, anche della stessa Scuola, in merito ad un uso sempre più frequente di questi nuovi media? E data la diffusione sempre più ampia delle tecnologie nella vita dei nostri ragazzi, viene da chiedersi: è forse giunta l’ora  di portare gli e-book e la LIM in classe? E, quindi, come docente, come devo pormi davanti a queste novità?

La letteratura scientifica e l’osservazione sul campo ci insegnano che le tecnologie didattiche, per produrre un reale cambiamento, devono potersi emancipare da un loro impiego sporadico, fino a diventare trasparenti, parte integrante e costitutiva dell’”ecosistema classe”.

Questa è la filosofia che sottende alle svariate iniziative della Scuola Digitale di cui fanno parte il Piano di diffusione LIM e Cl@ssi 2.0. Entrambi i progetti insistono sull’uso diffuso, quotidiano ed integrato della tecnologia dentro (LIM e contenuti digitali) e fuori dalla classe (e-book, ambienti on line, contenuti digitali). Andiamo, in questo modo, a scardinare l’ambiente di apprendimento nelle sue dimensioni di spazio (l’aula) e di tempo (racchiuso tra il suono della prima e dell’ultima campanella).

Nel lontano 1963 Freinet parlava di “aula diffusa” ponendo al centro del cambiamento la trasformazione dell’ambiente di apprendimento: “nella misura in cui riusciamo a modernizzare l’aula, riusciamo anche a modernizzare l’insegnamento”.

A tal proposito riporto un testo di Indire, in merito a iniziative per la Scuola.

“Oggi si sente parlare di Ambienti di apprendimento virtuale, qualcosa che può integrare lo spazio e il tempo della scuola. Si pensa subito a scenari in 3D simili a quello di Second Life, dove gli studenti, o meglio i loro avatar, si muovono e assistono a lezioni, simulando a video tutto quello che avviene nella scuola reale.
Si tratta in realtà di qualcosa di più semplice: un insieme di strumenti digitali, utilizzabili da parte di una comunità di persone che si trova ad operare assieme per la realizzazione di percorsi di conoscenza. Il concetto di ambiente presuppone sempre la frequentazione di uno spazio (per quanto virtuale esso sia) e si caratterizza per la presenza di aree, strutture, elementi, ma soprattutto soggetti. Uno spazio da ‘abitare’, interagendo con tutto ciò che in esso è presente.
La scuola si dilata dunque, oltre la scuola stessa, grazie alla presenza delle tecnologie. Naturalmente, è necessaria un’adeguata cultura dei media, ovvero un approccio che consenta al docente di appropriarsi della tecnologia, dei linguaggi multimediali, per farli propri e individuarne il valore aggiunto. Occorre prevedere nuovi modi d’uso, consapevoli delle potenzialità e specificità del singolo medium per non incorrere nella tentazione di utilizzare, ad esempio, la LIM come la lavagna d’ardesia sprecando tempo e vanificando l’investimento.
La LIM può rappresentare oggi una svolta per l’insegnamento. Entra in classe, va al cuore del sistema di apprendimento e della pratica didattica quotidiana, rompe la configurazione tradizionale dell’ambiente. L’effetto che produce è quello di introdurre nuovi media e nuovi linguaggi, di aprire la classe alla realtà esterna attraverso la mediazione del digitale. La classe, ora estesa e potenziata, può accedere a diversi aspetti della realtà esterna, estrapolarne particolari e dettagli, analizzare, scomporre, manipolare informazioni e contenuti, con il supporto di efficaci applicazioni software appositamente progettate e sviluppate. Mai come con la LIM è la mediazione “in presenza” del docente-regista a determinare la buona riuscita del processo di insegnamento-apprendimento considerando i diversi momenti dell’organizzazione didattica: progettare la sceneggiatura digitale, predisporre i contenuti, organizzare l’ambiente di apprendimento, guidare l’attività dei ragazzi, usare efficacemente il tempo-classe motivando e dirigendo l’attenzione dei ragazzi nel nuovo scenario multimediale.
La tecnologia acquista senso, infatti, solo se serve a veicolare e a produrre contenuti. Di fronte alla tecnologia il docente e lo studente possono essere “passivi consumatori” o, a loro volta, produttori.
Learning object, contenuto didattico digitale, oggetto didattico, oggetto di apprendimento, asset. Questi sono i sintagmi con i quali vengono identificati i contenti distribuiti in modo sequenziali in una serie di schermate in modo da costituire i nuovi artefatti simbolici. Per nostra fortuna, i contenuti digitali a scuola non hanno fatto il loro ingresso come artefatti strutturati, autoconsistenti e riusabili, secondo le caratteristiche dei Learning Object di matrice instructional, ma sono entrati nella “cassetta degli attrezzi” come sussidi alla didattica d’aula, ripensati dagli insegnanti nell’ottica dell’integrazione con gli altri strumenti abitualmente in uso in classe, dalla lavagna al libro di testo.
I vincoli tecnologici imposti dai vecchilearning object, contenitori di conoscenza statica, sono stati infranti dai comportamenti degli insegnanti che hanno modificato le risorse digitali trasformandole in risorse aperte modellate sulla base delle esigenze dell’ambiente di apprendimento, generando non appena nuova conoscenza, ma conoscenza viva.
Alberto Manzi, storico maestro che negli anni del dopoguerra commosse l’Italia con il suo carisma e la dolcezza con cui insegnava agli adulti analfabeti a scrivere nel famoso programma televisivo “Non è mai troppo tardi” sosteneva che “per il ragazzo il libro deve essere qualcosa di piacevole, dove si può non solo leggere, ma colorare, trasformare, fare, disfare, ampliare, ridere, inventare, riflettere.  Il libro si trasforma così in qualcosa di personale, perciò vivo” .
Queste affermazioni sono oggi più che mai attuali e potranno forse trovare un alleato nella tecnologia digitale che può aiutare a potenziare queste caratteristiche di manipolazione del testo, appropriazione e personalizzazione, finora relegate principalmente nella mente del lettore.

E se, di fatto, l’e-book non nasce per il target scuola (si pensi alla diffusione del Kindle su Amazon), in essa trova applicazione e naturale collocazione, anche e soprattutto in seguito al quadro normativo delineato dalla legge n. 133 del 2008, in modo particolare l’art. 15, che prefigura due scenari per il libro di testo in adozione dall’a.s. 2011/12: versioni online scaricabili o miste.

A prescindere dalla tecnologia adottata, siamo portati a credere che il valore aggiunto di una lettura su schermo, sia questa su formati e-paper o LCD, possa originare da una progettazione a valore aggiunto dei contenuti multimediali. Un testo lineare, statico, con caratteri neri che si stagliano sullo sfondo bianco, è una mera trasposizione di un brano che potrebbe essere letto tranquillamente su supporto cartaceo. Vengono aggiunte alcune funzioni utili quali la possibilità di cercare parole chiave ma ci pare che questo sia poca cosa di fronte alle possibilità dischiuse dal digitale e dalla rete: da interventi di azione/manipolazione dei contenuti ad una lettura “sociale” e condivisa dei testi.

Interessante, in questo senso, la rassegna di iniziative messe in campo dall’editoria scolastica e dalla scuola stessa che, in alcune sperimentazioni, si assume l’ulteriore responsabilità di produrre in autonomia i propri libri di testo digitali.
E’ anche un problema di “status” considerato che, fino ad oggi, i contenuti digitali sono stati trattati dall’editoria come un’appendice, un qualcosa in più che completava il libro di testo (si pensi, per esempio, ai CD allegati). Il corpus consistente della conoscenza rimaneva così, di diritto, confinato nel libro”.

Antonio Conte

Riferimenti e link: Indire, Iniziative per la scuola.

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