Nel mondo letterario il termine “classico” è usato con estrema parsimonia e identifica quelle storie che lasciano un segno nel cuore del lettore al di fuori di ogni contesto sociale e temporale: non c’è un momento adatto per leggere questi libri perché ogni momento è quello adatto.
Nella stessa misura Limbo si è guadagnato l’accesso a questa cerchia elitaria nel mondo dei videogiochi, prova ne sia di come il titolo sviluppato da Playdead risulti già uno dei software più scaricati dal Mac App Store nonostante il gioco abbia fatto il suo debutto su Mac OSX solo da pochi mesi ma, soprattutto, dopo più di una anno e mezzo dalla sua originaria comparsa sul mercato, avvenuta nel luglio del 2010 su Xbox Live Arcade. Limbo è quello che in gergo si definisce uno “sleeper hit”, ovvero quei titoli passati in sordina che lentamente hanno saputo conquistare pubblico e critica, tanto da macinare numeri da capogiro: decine di premi speciali alle fiere di settore e più di sette milioni di dollari di guadagni sulla sola piattaforma Xbox, alle quali sono poi seguite le conversioni per PC, PlayStation 3 e appunto i sistemi informatici della casa di Cupertino.
Anche in questa versione il gioco è rimasto in pratica inalterato dal suo debutto, fatta eccezione per una manciata di contenuti addizionali nascosti che si paleseranno una volta completata l’avventura al 100%, esercizio che vi richiederà circa quattro ore di gioie e dolori. Le sensazioni che si ricavano da una sessione di gioco con Limbo sono infatti contrastanti: se da un lato è impossibile rimanere estasiati di fronte allo stile grafico con il quale Playdead ha avvolto la sua creatura, dall’altro lato è spesso impossibile trattenere le imprecazioni di fronte a una impostazione di gioco a dir poco frustrante. Ma andiamo con ordine.
Per quanto riguarda il lato artistico, Limbo è un chiaro omaggio ai vecchi film noir di scuola americana, con un character design minimalista – il protagonista è un ragazzo del quale si intuisce solo la silhouette fatta eccezione per due occhi vividi a testimoniarne la presenza – e una palette di colore black&white che tanto ricorda le vecchie lastre fotografiche dei primi anni Quaranta, se non altro per il filtro particolarmente granuloso con il quale è allestita ogni scena. L’accompagnamento sonoro è discreto ma raffinato, partendo dal silenzio circostante dei primi passi sino a raggiungere un crescendo armonico che confonde suoni strumentali con gli effetti sonori del misterioso mondo che ospita l’avventura. Insomma, siamo ai massimi storici per un videogioco indipendente, tanto che possiamo definire tranquillamente Limbo come un libro animato.
Dal punto di vista del gameplay, il titolo di Playdead sceglie una strada intrapresa da un numero crescenti software house negli ultimi mesi, quasi come una reazione di rigetto all’eccessivo lassismo e infantilismo che ha caratterizzato i livello di difficoltà medio dei videogiochi degli ultimi dieci anni, davvero troppo ammiccanti e benevoli verso il casual game. Tuttavia Limbo finisce quasi nel filone opposto, correndo su quella sottile lama di rasoio che si chiama “senso di frustrazione”: stiamo essenzialmente parlando di un’avventura a scorrimento caratterizzata da un alto numero di rompicapo spesso cervellotici, sezioni platform a tempo inficiate da controlli non sempre all’altezza ed enigmi sin troppo fumosi. Insomma, ci troviamo davanti al classico esempio di “trial and death”, dove il giocatore dovrà necessariamente morire svariate volte – e rappresentate visivamente spesso in maniera molto cruda e suggestiva – prima di capire il giusto metodo con il quale risolvere enigmi o aggirare trappole mortali.
Giunti a questo punto, molti avranno già fatto la loro scelta, tanto più che è possibile sopportare un po’ di frustrazione per un titolo che non passa le quattro ore globali di gioco. Tuttavia quello che ha diviso ed è tutt’ora destinato a dividere pubblico e critica è un giudizio di merito sul motore narrativo che tiene in piedi l’avventura. E il tutto è oggettivamente minimalista. Sin troppo minimalista. Quasi assente. Ad un certo punto della storia il giocatore capirà o, meglio, intuirà che il ragazzo protagonista è alla ricerca di una ragazza che dovrebbe essere sua sorella… ma il tutto si ferma qua, lasciando al giocatore una libera interpretazione che, con gli esigui elementi a disposizione, diventa quasi un inopinato esercizio di inventiva. Tanto più che il The End, senza rovinare la sorpresa per chi ancora debba cimentarsi con Limbo, lascia a dir poco spiazzati. Perplessi. Quasi vuoti.
Alcuni hanno definito questo approccio narrativo un capolavoro. Altri hanno posto una semplice domanda: “perché?”. A voi scoprire da che parte stare: il gioco merita di essere vissuto. Non è probabilmente quel capolavoro di cui molti andavano vociando, ma è quanto meno un ottimo esempio di videogioco come arte visiva. Disponibile sul Mac App Store a €7.99.