Daniel Day-Lewis
Per rappresentare tutto ciò, con più di un occhio rivolto al presente, Spielberg mette da parte la spettacolarità e pone la sua abilità di cesellatore d’immagini al servizio dell’ottima sceneggiatura, opera di Tony Kushner (adattamento del romanzo Team of Rivals: the Political Genius of Lincoln, scritto da Doris Kearns Goodwin), girando per lo più in interni, avvalendosi inoltre di un’ottima fotografia (Janusz Kaminski) e di una scenografia molto curata (Rick Carter), entrambe fondamentali per dare un’impronta estremamente realistica alla narrazione.
Le scene sul campo di battaglia sono limitate essenzialmente a due, speculari l’una all’altra, ad inizio film e verso la fine, in quest’ultimo caso volta ad evidenziare il massacro che colpì entrambe le fazioni della Guerra di Secessione, corpi ormai privi di vita dopo il combattimento a Petersburg, uomini differenti negli ideali, nelle divise indossate e nel colore della pelle, ora accomunati da identico destino.
Sally Field
La stessa figura di Lincoln, interpretato con rara efficacia da Daniel Day-Lewis, giocando sul minimalismo espressivo, non viene quasi mai ripresa frontalmente (vedi la scena iniziale, il dialogo con due soldati nordisti di colore), e ne sentiamo le parole prima ancora che venga inquadrato, dando così rilievo alle sue modalità di porsi nei confronti della gente, tra malinconia e senso dell’umorismo, apparente staticità e grande lavorio mentale. Importante anche, nella visione d’insieme di una personalità complessa e contraddittoria, tra mezzi utilizzati e fini da raggiungere (non vanno dimenticati i suoi interventi eccezionali, quali la sospensione dell’habeas corpus o la censura dei mezzi di comunicazione), l’efficace visualizzazione, asciutta, lontana da ogni sentimentalismo, dei rapporti familiari, le incomprensioni e i dissidi con la moglie Mary (Sally Field) o il problematico rapporto col figlio Robert (Joseph Gordon- Levitt).
David Strathairn
La narrazione si delinea intorno al secondo mandato del Presidente, i suoi ultimi quattro mesi di vita, spesi nell’alternanza tra dispiego di diplomazia e tutta una serie di complessi incastri, non propriamente ortodossi, grazie all’apporto di un colorito gruppo messo in piedi dal Segretario di Stato Seward (David Strathairn).
Il fine era non solo l’approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti del XIII emendamento alla Costituzione, l’abolizione della schiavitù, ma anche che tale ratifica coincidesse con la fine della Guerra Civile, cercando un difficile equilibrio tra Democratici (al tempo i Conservatori) e Repubblicani (i Progressisti), fra i quali spicca la figura del Radicale Thaddeus Stevens (Tom Lee Jones), le cui idee libertarie, non scevre da interessi personali, dovranno anch’esse scendere ad un rilevante compromesso.
Tom Lee Jones
Nel dare la sensazione di soppesare efficacemente ogni dialogo con la mdp, Spielberg lambisce ma non varca i confini della retorica, anzi, a volte può apparire sin troppo trattenuto nel mantenersi volutamente distante dalle vicende narrate, ma riesce comunque a coinvolgere e, in parte, ad emozionare, dando rilievo, più che alla persona di ogni singolo interprete del nutrito cast, alla forza delle parole e delle idee espresse dai personaggi interpretati, con qualche sorpresa lungo il cammino (la lettura del XIII emendamento non avviene, per così dire, nella camera a ciò deputata). Alla fine si concretizza efficacemente l’intento originario, non certo facile, di mettere in scena una riconciliazione tra passato e presente, e porre sotto i riflettori la riflessione su una politica dove è il fine a giustificare i mezzi, in nome, come scritto ad inizio articolo, di nuove conquiste sociali, e non il suo contrario, involuzione morale ancor prima che civile.
La Storia, insegna Cicerone, è maestra di vita. A noi la volontà di apprendere.