Con Dexter in the Dark (2007), tradotto per la Mondadori nel 2010 da Cristiana Astori con il titolo Dexter l’oscuro, Jeff Lindsay sfida deliberatamente quella che Samuel Taylor Coleridge chiama «momentanea sospensione volontaria dell’incredulità». Il terzo volume mette davvero a dura prova quel sottile patto di fiducia che lega scrittore e lettore, specialmente dal momento che i suoi libri dovrebbero rientrare nel giallo e nel noir. Dopo un primo, poco chiaro, se non inintelligibile, capitolo di apertura intitolato In principio, riprendono tutte le attività di Dexter dopo la brusca interruzione del precedente Dearly Devoted Dexter: fervono i preparativi per l’imminente matrimonio con Rita, e riprendono le attività di ricerca del Passeggero Oscuro per nuove, colpevoli, vittime. Il fortunato prescelto si chiama Alexander Macauley, detto Zander, dedito a filantropiche intercessioni presso poveri senzatetto: un lavoro, una casa e… morte certa. Dopo le dovute indagini probatorie, il predatore mette in atto il suo speciale processo senza possibilità di appello. Questa volta, però, qualcuno, un sinistro Osservatore, nota le mosse di Dexter. Poco dopo, il dipartimento di polizia di Miami si trova ad indagare sul ritrovamento di due corpi al campus dell’Università di Miami: carbonizzati e decapitati, con una testa di toro in ceramica posta su ogni tronco. La vista di questo strano rituale provoca nell’ematologo una sensazione di smarrimento e profondo turbamento. Le azioni di Dexter mettono in moto una serie di reazioni a catena che stanno al centro delle vicende del terzo romanzo: Zander era infatti membro di una setta dedita al culto di Moloch, una divinità cananea citata nella Bibbia, che dopo la morte dell’adepto prende di mira il suo assassino.
Dexter si trova a dover affrontare un avversario davvero fuori dal comune e per di più senza l’aiuto del Passeggero Oscuro. Ed è proprio in questo punto che l’avvincente racconto di Lindsay perde di credibilità, spingendo quello che fino a quel momento avrebbe potuto definirsi “onirismo” verso un irrazionalismo che tocca le sfere di un misticismo occulto. Da predatore, Dexter indossa gli scomodi panni della preda: Lindsay si rivela un abile narratore proprio nel modo di far descrivere al suo personaggio i propri sentimenti. La perdita del Passeggero avvicina Dexter al resto degli esseri umani. Prima di quel momento il nostro serial killer era assolutamente incapace di provare un qualunque tipo di sentimento, l’unica cosa capace di procurargli la sensazione di essere vivo era quella di uccidere. Senza patetici sentimentalismi, lo scrittore descrive le emozioni come un insieme di sensazioni che nel complesso rendono gli esseri umani peggiori: fragili, insicuri, prede della rabbia, in balia degli eventi e senza la possibilità di reagire: «Erano forse emozioni, quelle che lambivano come tossiche mareggiate melmose l’indifeso litorale di Dexter? In questo caso non avevo dubbi, gli umani erano davvero patetici. Fu un’esperienza orribile».
Anche nella terza serie di Dexter, negli Stati Uniti dal 14 dicembre del 2008, il susseguirsi degli eventi è messo in moto da un omicidio dell’ematologo giustiziere, ma in modo diverso. L’uomo preso di mira è Fred Bowman, detto Freebo, spacciatore e assassino. Ma nella delicata fase di prelievo, Dexter uccide per errore Oscar Prado, fratello del potente procuratore distrettuale di Miami, Miguel Prado (Jimmy Smits). Mentre Lindsay sceglie la svolta torbida di un oscuro misticismo, i creatori della serie, scelgono una via più realistica – e per questo molto più verosimilmente sordida – intrecciando l’ingerenza politica alla giustizia. Dexter si trova lo sguardo di Miguel Prado puntato addosso, ma stranamente si rivelerà uno sguardo non di sospetto, ma di desiderosa connivenza. Per la prima volta, Dexter sperimenta il valore dell’amicizia, intesa come un rapporto fondato sulla lealtà e sulla fiducia. E sulla Complicità. Contemporaneamente il dipartimento è occupato nella ricerca di un efferato assassino detto “lo scorticatore” per motivi che non necessitano ulteriori spiegazioni.
Come consuetudine, la serie contiene un ventaglio di sottostorie che sviliscono al confronto l’esile trama del libro: l’eutanasia, l’amicizia, il concetto di giustizia, i valori familiari. Gli autori del telefilm sono molto attenti a non perdere mai il punto di vista del personaggio principale, mantenendo nelle tre stagioni una coerenza formidabile, nonostante questo punto di vista si allarghi ad altri personaggi e ad altre vicende intrecciate trasversalmente (e non) con il protagonista. Lindsay, pur essendo l’unico autore dei suoi libri (o almeno così dovrebbe essere), cade in piccole incoerenze e contraddizioni; una per tutte: in Dexter il vendicatore, Dexter, da persona estremamente lucida e calcolatrice, confonde sogno e realtà; in Dexter l’oscuro, è descritto come una persona che non ha mai sognato, ma nel corso del libro è attanagliato da incubi e visioni. In realtà c’è molto di più, e credo, al terzo appuntamento, di poter svelare qualche dettaglio riguardante Darkly Dreaming Dexter – ovvero il primo romanzo – e togliermi finalmente qualche “sassolino dalla scarpa”. Secondo l’impostazione data da Lindsay, è assolutamente inaccettabile che Deborah venga a conoscenza del “piccolo segreto” del fratello e che da poliziotta tutta d’un pezzo, non soltanto lo tolleri, ma addirittura sfrutti le “doti” intuitive di Dexter per avanzare di carriera. Ed è improponibile il modo in cui Lindsay gestisce questo “segreto svelato” nel corso dei tre romanzi. Molto più coerentemente, la serie della Showtime prevede qualche perdita d’informazioni riguardo il macabro hobby, ma nessuno sopravvive per poterlo raccontare.
Un piccolo punto di contatto tra pagina e video si ha nella situazione sentimentale di Dexter: il matrimonio con Rita e le riflessioni sul concetto di paternità. Nella serie il matrimonio è quasi una conseguenza naturale dell’inaspettata gravidanza della fidanzata, mentre nei romanzi di Lindsay è frutto di una proposta fraintesa. In entrambe le versioni, però, si impone una forzata riflessione sul nuovo ruolo di Dexter-papà. Ancora una volta le divergenze sono notevoli. La versione lindsayana delinea un padre che vuole “insegnare” il proprio codice morale al figlio, trasmettergli i propri valori e i “segreti” del mestiere: «Ecco che cos’era l’impulso umano a riprodursi: un’inutile e potente brama a replicare l’insostituibile e splendido me stesso, anche se l’essere in questione era un mostro che non meritava di vivere tra gli umani». Lungi da tali riflessioni, il Dexter versione video, si ritiene una sorta di supereroe outsider che ha sviluppato i suoi poteri, non dopo un evento fantascientifico, ma dopo un brusco trauma. Conscio del grande potere posseduto, vive la paternità come un’occasione di riscatto, una possibilità di far crescere un bambino innocente in un mondo migliore, proteggendolo – come solo lui sa fare – da tutti i pericoli del mondo. Inutile ribadire il concetto: da buon allievo, la serie supera il maestro. Tuttavia, per spezzare una lancia a favore di Jeff Lindsay, in questo Dexter in the Dark, si sforza di dare un finale compiuto, con il più tradizionale degli happy end rivisitato in chiave oscura.