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Linea Maginot

Da Nubifragi82 @nubifragi

Il sole del mattino colpisce la tapparella leggermente dischiusa, vi sbattono i suoi raggi come il formaggio sulla grattugia e ciò che filtra nella stanza buia sono piccoli segmenti di luce. Apro l’occhio destro e penso ad un codice binario. Quindi lo chiudo, apro il sinistro e penso che quella luce altro non è che un raggio di sole. Tra poco la sveglia trillerà e tutto, inesorabilmente, ripartirà. Limbo. Ecco, mentre richiudo gli occhi penso al limbo. Questo dev’essere un limbo: un dormiveglia, quell’attimo fuori dal tempo in cui si fa il resoconto della notte, si soppesano sogni, si filtrano ricordi. La verità da una parte, la fantasia dall’altra. Un sogno fastidioso. Lo ricordo a somme linee, no, nessuna linea. I sogni non hanno le linee decise delle opere di Botticelli, hanno i colori cupi delle Madonne del Masaccio, le parti scrostate e irriconoscibili di un affresco. C’è stato qualcosa di negativo comunque, un’ansia mi si è incastonata nell’animo, mi tormenta, impedisce alla mente di concedersi gli ultimi cinque minuti. Apro l’occhio destro e poi il sinistro. La luce filtrata dalla tapparella incontra un’ostacolo, l’opposizione da forma a un qualcosa di ondulato. Pare quasi che una coppia di dune, una più grande e una più piccola, mi separi dalla finestra. Le dune vibrano leggermente, forse soffia il vento del deserto. Mi pare di udirlo, il ghibli secco che muove le dune. Sono pressoché desto, ho ormai scinto il mondo reale da quello onirico. Solo mi manca di capire qualcosa, si, quel qualcosa che si frappone tra me e la finestra, tra me e la luce, tra me e il mondo. Sarò anche desto ma senza dubbio non sono ancora lucido. Però so di non sognare, so anche che quell’ansia era dovuta a quel brutto sogno che si ora ricordo, è proprio quello di ieri, si, quel maledetto pensiero. Ah, si fotta. Era soltanto un sogno, no? Ma ora siamo nel mondo reale e un qualcosa che ho definito duna sta nel letto tra me e la finestra. Soffia il ghibli, freme la duna su e giù in un movimento delicato, quasi impercettibile. Mi avvicino con il corpo, il naso si imbatte in una selva di filamenti odorosi, la mano urta contro quella che sarebbe la duna e invece si rivela una spalla. Scendo delicatamente per quella curva che conosco a memoria e risalgo verso la seconda duna, che in realtà è un fianco. Allora infilo il naso nella selva e aspiro quell’odore inconfondibile, me ne nutro come fosse ambrosia, o come fosse, da umano quale sono, l’aroma del caffè che si espande dalla moka. Riporto il braccio in alto e cingo quel corpo senza paura, perché dune non sono, sabbia non è, ma piuttosto un confine, una linea Maginot tra me e il nemico. La linea Maginot. Ti stringo e penso a quella linea difensiva che i francesi costruirono per difendersi dall’orco tedesco. Però non è bello, questo. Non è bello perché la linea Maginot non impedì la guerra e l’invasione. E allora, e mentre lo penso conformo la posizione del mio corpo alla tua, non parliamo di confini, nemici, di esclusione, sono cose brutte e tu non devi averci nulla a che fare. Una piccola opera d’arte, un’opera contemporanea, calda viva, di quelle che tutti vorrebbero vedere e si aspettano come il messia, ma nessuno è in grado di creare. Io ce l’ho. E’ tutta in divenire, da cinque anni a questa parte e per un’infinità di tempo ancora. Ho l’impressione che se ti stringo ti porterò nel mio prossimo sogno. E allora lì sarai veramente una linea Maginot, un confine meraviglioso che non esclude a prescindere, ma separa per me le cose brutte da quelle belle, che sa discernere i pensieri buoni e filtrare i cattivi. Che poi, è quello che hai sempre fatto. Nel mondo reale. Ecco a cosa serve un’opera d’arte.



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