Elena Scalia. Fin dall’antica Grecia, culla del teatro come luogo sacro della parola religiosa e politica, le donne hanno vissuto una lunga esclusione dalla scena. Prima del Cinquecento, infatti, si riscontrano solo rari casi di autrici per il teatro; si tratta in genere di religiose, come Rosvita di Gandersheim, che fra le mura del convento si dedicavano allo studio, alla scrittura e spesso alla messa in scena delle pièces. In seguito, nel Rinascimento, alcune famose cortigiane scrissero drammi dimostrando grande abilità letterarie e drammaturgiche ma è solo con la Commedia dell’Arte che le donne diventano per la prima volta protagoniste sulla scena, scrivono il “canovaccio”, assumono ruoli rilevanti nelle compagnie fino ad ottenere spesso anche la nomina di capocomico. In seguito la drammaturgia femminile ha vissuto diverse fasi, legate spesso alla situazione sociale, alternando momenti di grande vivacità, come la Rivoluzione Francese, a periodi di maggiore repressione come la Restaurazione. In Italia, nel 1946, le donne conquistano il diritto di voto e dal secondo dopoguerra in poi, in seguito al generale risveglio culturale, si riscontra una nuova partecipazione delle donne alla vita sociale e politica segnata da un’intensa produzione di testi teatrali da parte di autrici come Natalia Ginzburg, Alba de Cespedas e Maricla Boggio che non hanno trovato ancora il giusto riconoscimento da parte della critica nazionale. Negli anni Settanta inoltre, con il movimento femminista, le donne trovano un interesse sempre più ampio per la scrittura teatrale: in Italia particolarmente significativa si rivela l’esperienza del teatro “la Maddalena” che ha visto coinvolte autrici e registe come Dacia Maraini impegnate a portare in teatro battaglie sociali e il privato delle donne. In seguito alla fine degli anni Ottanta le drammaturghe diventano sempre più numerose, fenomeno rilevato dagli stessi annuari della SIAE, vincono premi per la drammaturgia contemporanea, si impongono sulle scene con testi nuovi e interessanti, con una ricerca che riguarda sia il linguaggio che i temi trattati[1]. Nonostante questo rimangono non poche difficoltà per quanto riguarda la distribuzione e la circolazione dei nuovi testi, legate alla crisi economica ma anche al sistema teatrale italiano che non prevede il drammaturgo di residenza. In Italia infatti, questa figura non è riconosciuta ed i testi non vengono commissionati né dai teatri né dalle compagnie ma, una volta scritti, raggiungono una conferma direttamente dalle strutture produttive. Come afferma Laura Olivi, Dramaturg italiana presso il Residenz Theater di Monaco di Baviera, questa figura
ha, infatti, il compito di elaborare e suggerire, nella collaborazione con il Direttore del Teatro, le idee cui legare l’immagine e l’attività del teatro in un determinato periodo, suggerire i registi, evidenziare i temi più importanti del momento, anche e soprattutto per il teatro politico/sociale e, infine, selezionare gli spettacoli proprio in funzione di quelle. Una vera e propria linea editoriale, che favorisca continuità “ideologica” ed “estetica”. In Italia manca, credo, questa continuità, questa omogeneità, perché, quello italiano, è soprattutto un teatro di tournèe, un teatro di compagnie di giro, dove ogni spettacolo sta un po’ per conto suo, nel senso che non si lega in una proposta complessiva e proiettata nel tempo. Ci vorrebbe così un dramaturg per ogni spettacolo, oppure al seguito di ogni regista, ma ciò non è economico ed efficace. Quindi, potrei dire, che il mio ruolo è il risultato di una idea organizzata di teatro che in Italia non c’è per tradizione, tranne pochi esempi, e stenta a costituirsi. In Germania la disponibilità di tempo e la stabilità di adeguate risorse consente di dare ai singoli teatri, nell’ambito della comunità che li esprime, una continuità di pensiero e di crescita che, credo, in Italia sia raramente riscontrabile[2].
Per legge, i teatri stabili pubblici sono chiamati a portare in scena ogni anno degli autori contemporanei; e se questo spazio venisse utilizzato e valorizzato commissionando testi a giovani autori e autrici? Se si mettessero in scena con sistematicità, come già si fa in alcune realtà, i testi vincitori di premi di drammaturgia contemporanea che spesso rimangono sulla carta? Sta di fatto che nel mondo teatrale italiano lavorano autrici contemporanee conosciute spesso soprattutto all’estero come Letizia Russo, Laura Forti, Sonia Antinori, Laura Olivi, Renata Ciaravino ed Eleonora Danco e Vanda Monaco. Queste drammaturghe rappresentate, premiate e pubblicate regolarmente, nonostante le difficoltà che ostacolano l’emancipazione dall’anonimato, rendono ricco e poliedrico il panorama della scrittura teatrale italiana, coltivando un equilibrio costante con la tradizione e nello stesso tempo elaborando una sintesi tra passato e presente, tra impegno politico sociale e la sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi. Ma in questa ricerca individuale di ciascuna è possibile rintracciare i segni di una specifica scrittura femminile nel genere teatrale? Esiste un’estetica teatrale femminile che tenga conto del grande ed in parte ancora sommerso lavoro delle donne del passato? Le risposte adeguate arriveranno attraverso un costante dialogo con e tra le drammaturghe insieme allo studio storico dei documenti e delle fonti.
[1] Per approfondire la storia della drammaturgia femminile cfr. http://www.teatrodelledonne.com/archivio.htm