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Lino Businco, il fascista difensore della razza che la Repubblica italiana fece commendatore e l’Ordine di Malta direttore del Centro Studi Biologici

Creato il 24 gennaio 2016 da Federbernardini53 @FedeBernardini

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Nell’agosto del 1938 viene pubblicato “Il Manifesto della Razza”, firmato da dieci scienziati, col quale l’Italia fascista si adegua alla politica razzista dell’alleato germanico.

Primo dei firmatari il professor Lino Businco (1908 – 1997) assistente alla cattedra di patologia generale all’Università di Roma, che molti anni dopo ebbi tra i collaboratori del “Giornale del Lazio”, di cui curavo le pagine culturali.

Così Gabriele Ainis sintetizza la sua carriera durante gli ultimi anni del Ventennio:

“…dal 1938 fu vice direttore dell’Ufficio studi sulla razza del Ministero della Cultura popolare… nel dicembre dello stesso anno divenne membro del Comitato segreto italo-germanico per le questioni razziali, che annoverava “intellettuali” del calibro di Hess e Himmler. In tale allegra compagnia Businco ebbe modo di apprezzare l’insegnamento impartito nella scuola delle politiche razziali di Babelsberg e il campo di concentramento di Sachsenhausen di cui, immaginiamo, ammirò l’organizzazione teutonica; infine incontrò anche Hitler, che lo insignì della Croce rossa tedesca di seconda classe… fino al 1942 scrisse su La difesa della Razza, del cui comitato di redazione aveva fatto parte fino al 1941”.

Un bel curriculum che tuttavia, a guerra finita, non gli creò alcun problema, anzi, egli continuò tranquillamente ad esercitare la sua professione, senza essere epurato o subire condanne a causa dei suoi trascorsi.

Nel 1962 gli fu addirittura conferita, si dice dietro sollecitazione del Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, la Commenda dell’ordine al merito della Repubblica. All’epoca il Businco ricopriva la carica di direttore del Centro Studi Biologici dell’associazione cavalieri italiani dell’Ordine.

Uno dei tanti esempi, anche se non il più noto, di come intellettuali gravemente compromessi col Regime riuscirono abilmente a riciclarsi con tutti gli onori nell’Italia repubblicana.

Fra i casi più clamorosi ricordiamo quello di Eugenio Scalfari che, su “Roma Fascista” del settembre 1942, così scriveva:

“… Un impero del genere è tenuto insieme da un fattore principale e necessario: la volontà di potenza quale elemento di costruzione sociale, la razza quale elemento etnico, sintesi di motivi etici e biologici che determina la superiorità storica dello Stato nucleo e giustifica la sua dichiarata volontà di potenza”.

E Giorgio Bocca (La Provincia Granda, agosto 1942):

“Questo odio degli ebrei contro il fascismo è la causa della guerra attuale. La vittoria degli avversari solo in apparenza sarebbe una vittoria degli ebrei. A quale ariano, fascista o non fascista, può sorridere l’idea, in un tempo non lontano, di essere lo schiavo degli ebrei?”.

Errori di gioventù, come quello del repubblichino Dario Fo.

Di Businco e degli altri firmatari così scrive Franco Cuomo nel suo “I dieci. Chi erano gli scienziati italiani che firmarono il Manifesto della razza”:

“Nessuno li dimentichi. Nessuno si scordi mai di ciò che impersonarono nella storia del razzismo italiano Lino Businco, Lidio Cipriani, Arturo Donaggio, Leone Franzi, Guido Landra, Nicola Pende, Marcello Ricci, Franco Savorgnan, Sabato Visco ed Edoardo Zavattari.

Volevano dimostrare che esistono esseri inferiori. E ci riuscirono, in prima persona. Perché lo furono”.

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Federico Bernardini

Illustrazioni tratte da Google immagini


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