La ristampa di Antico Adagio da parte della Die Schachtel, quasi inutile ripeterlo, ha destato molta curiosità tra appassionati e addetti ai lavori, da tempo ci si aspettava di averla tra le mani. Queste le risposte alle nostre curiosità forniteci da Lino Capra Vaccina, che ringraziamo per averci concesso l’intervista. Buona lettura.
Maurizio Inchingoli: Partiamo dagli inizi, signor Vaccina. Come e quando è cominciato il Suo percorso di musicista?
Lino Capra Vaccina: La passione per la musica iniziai a sentirla da bambino. La ritrovai dentro di me come qualcosa che non saprei spiegare, ma quello che ricordo è una sensazione, emozione, piacere, gioia… che mi assaliva appena sentivo una musica. In particolare quando in casa davano delle feste, il momento di maggiore attenzione era quando questa diventava il riferimento principale e tutti ballavano, e la mia immaginazione, e le sensazioni e le emozioni di cui parlavo prima, si concentravano su di essa, venivo come rapito dal suono. Pensandoci, quelle musiche erano prevalentemente strumentali: valzer, mazurka, tango… Credo che sia questo il motivo per cui poi ho fatto prevalentemente musica strumentale. Penso che quelle emozioni e quel piacere siano paragonabili a quando si fa l’amore, o a quando si osserva la natura, ma a uno stato superiore, che è poi lo scopo della musica. Quindi fu naturale per me a dodici anni iniziare a suonare e studiare da autodidatta.
Pochi anni dopo, insieme a un mio caro amico, il chitarrista Antonio Cerantola (con me poi negli Aktuala), formammo un trio rock. In quel periodo percuotevo e studiavo musica utilizzando i dischi come base per ore e ore. Sempre a quei tempi presi delle lezioni da un maestro amico di famiglia. Visitando di frequente il negozio di dischi e strumenti musicali della Ricordi in Galleria a Milano, incontrai e conobbi Walter Maioli, che lavorava nel reparto strumenti. Diventammo presto amici e iniziammo a suonare insieme, la nostra voglia di fare una musica originale e diversa dal solito ci portò a formare gli Aktuala, proprio con il chitarrista Antonio Cerantola. Ma prima ci dedicammo allo studio dell’uso delle percussioni (io) e dei fiati (Walter) nella musica africana e orientale. Così fu l’inizio della mia carriera artistica…
Maurizio Inchingoli: Nei Settanta Lei coltivava numerose frequentazioni, oltre che con Walter Maioli (successivamente nei Futuro Antico) anche con Juri Camisasca, Franco Battiato, la Di Benedetto e Di Martino degli Albergo Intergalattico Spaziale… Come nascono queste amicizie? E poi, perché procedete quasi tutti (tranne il solo Battiato, ovvio) verso una musica poco incline alla classica forma canzone? Immagino, ad esempio, che ascoltaste spesso cose ben diverse da quelle che solitamente passavano in radio.
Il tutto nasce intorno agli Aktuala. Inizialmente Franco fu profondamente colpito e ci propose alla sua etichetta discografica, la Bla Bla. Anche Mino frequentava la nostra casa in Via Ripamonti ed era amico di Franco. Alla Bla Bla conobbi Yuri e Terra, la compagna di Mino, e diventammo tutti amici, condividendo momenti di vita e suonando insieme in diversi progetti. Il nostro essere poco inclini alla classica “forma canzone” è dovuto semplicemente al fatto che ci interessavano la sperimentazione, la ricerca sonora nei diversi aspetti, e questo è stato portato anche nella stessa forma canzone da diversi artisti, come hanno fatto appunto Franco, Yuri, Mino e altri. Rimane che la sperimentazione è ciò che più mi interessa, pur avendo provato anche io, per divertimento, una diversa “forma canzone”. I nostri ascolti sicuramente erano fatti attraverso dischi o registrazioni di musica “altra” rispetto a quella che solitamente in quegli anni passava la radio. Questi nostri ascolti “altri” hanno determinato molto anche la nostra espressione musicale. Ne ascoltavamo molta, alcuni brani ci hanno colpito e aiutato a cambiare la nostra percezione musicale. Negli ascolti si cercavano le affinità sonore, ma anche qualcosa che avesse a che fare con la nostra idea di ricerca, e cioè un modo diverso di fare musica da quello che la maggior parte faceva e si ascoltava di solito.
Tommaso Gorelli: Quello che salta subito all’orecchio in Antico Adagio è l’uso quasi del tutto esclusivo di percussioni e strumenti “idiofoni”, nonostante fossero già stati ampiamente rivalutati lungo tutto il periodo “contemporaneo”. Non penso succedesse spesso di imbattersi in un lavoro che ne particolareggiava così l’uso più meditativo, o sbaglio?
Gli strumenti sono gli stessi, ma l’uso che ne viene fatto da me è assolutamente originale e unico, seguendo sempre la forma di sperimentazione, che aveva come punto di partenza il suono. È vero che nell’ambito contemporaneo le percussioni erano già entrate in gioco, ma io ne prendo alcune mai apparse in quel contesto, e quelle che entrambi usiamo sono da me pensate, suonate, concepite in altro modo. L’approccio è quello arcaico, ancestrale, spaziale, direi “trasfigurante” verso gli strumenti, per esprimere quella che è l’essenza sonora e realizzare così musica che mi dia la possibilità di elevarmi a uno stato superiore, sia quando la suono che durante l’ascolto. Ed essendo, secondo me, il suono origine della musica, mi ha portato ad una ritualità del “fare musica” che inevitabilmente diventa anche meditativa e spirituale.
Tommaso Gorelli: Una curiosità, l’album usciva nel 1978, quando ormai (anche se magari non da noi) il minimalismo era diventato ben più che una semplice corrente, come la musica “circolare” di Steve Reich, ad esempio. Lo considera una possibile influenza?
Da sempre nella storia della musica esistono riferimenti, affinità sonore, convergenze stilistiche e di linguaggio fra musicisti. Le potrei fare molti esempi. Per quanto mi riguarda il minimalismo l’ho condiviso, ma non direi si tratti di esserne stato influenzato, anche perché la ciclicità sonora l’avevo sperimentata già a suo tempo con gli Aktuala. Inoltre questa ciclicità sonora si ritrova innanzitutto nella musica africana e orientale come elemento principale del fare musica, e anche nella musica modale del famoso “Boléro” di Maurice Ravel, e perfino nel brano dei Canned Heat “On The Road Again”, che sentivo a 14 anni. Quindi direi che molto dipende da come si fanno le cose. Comunque questo gioco di ricercare riferimenti e rimandi mi può far piacere, ma anche sorridere e lasciare il tempo che trova, in quanto credo di avere un linguaggio musicale originale e unico nel panorama della musica sperimentale. Bisognerebbe sempre ascoltare la musica senza preconcetti, con una fruizione musicale priva di aspettative e aperta alla curiosità, alla ricerca, alla scoperta del sentire.
Maurizio Inchingoli: E com’erano i Suoi rapporti con Milano? S’era già capito che sarebbero arrivati tempi molto diversi da quelli vissuti nei tumultuosi Settanta? So che nel decennio successivo Lei ha comunque proseguito la Sua carriera, anche come strumentista per il Teatro Alla Scala. Come ci potrebbe definire un’esperienza simile?
I miei rapporti con Milano sono sempre stati ottimi, sin da quando – da bambino – sono arrivato per viverci. In questa città ho trovato e potuto sviluppare tutto quello che riguarda la mia vita, la mia passione musicale e la mia carriera artistica. Mi capita a volte di pensare come sarebbe stato in un’altra città, ma poi una “voce” mi dice che è una domanda senza risposta. Milano mi ha dato la possibilità di realizzare quello che cercavo e volevo. Anche se oggi è molto cambiata, basandomi sulla mia esperienza personale, nel campo della musica e dell’arte tutta – ma anche in tutti gli altri campi – rimane una città internazionale. Avevo percepito l’arrivo di tempi diversi (il Novecento è trascorso tutto per decenni…), però ci tengo a dire che gli anni Settanta non sono stati solo tumultuosi, ma anche intensi musicalmente e culturalmente, e con una grande partecipazione (e condivisione) alle diverse espressioni creative e artistiche di quel ricco periodo. Sì, negli anni Ottanta, mentre continuavo il cammino con le mie cose, collaborai nei dischi di alcuni artisti tra cui Franco Battiato, inoltre iniziai l’attività didattica e suonai per qualche anno nell’orchestra della Scala, per me un’esperienza straordinaria, molto bella professionalmente, in quanto ebbi modo di approfondire un mondo sonoro diverso da quello da me sviluppato fino ad allora. Ma avendo fatto studi accademici, dopo gli Aktuala fu facile per me entrare in quel modo di fare musica. Certamente un periodo incredibile, poter partecipare dal di dentro a quella grande musica, e farlo con una delle migliori orchestre al mondo, e con grandi direttori. Direi che sono stato fortunato, e di questo devo ringraziare il mio maestro, David Searcy.
Tommaso Gorelli: Antico Adagio lascia tuttora intendere molto bene il tipo di suono che Le interessava raggiungere. Com’è arrivato però a formulare un titolo diciamo così “ermetico”, rimasto intatto nonostante gli anni?
Sì, avevo ben in mente il suono che ricercavo per la realizzazione del disco. Avendo potuto lavorare con naturalezza, tranquillità e il tempo dovuto, sono riuscito a ottenere il suono che mi interessava. Mi piace la Sua definizione. Vorrei aggiungere che il titolo fu da me scelto, prima, per la sua correlazione con il meno comune modo di definire i “detti”, e inoltre per il suo contenuto misterico, che contiene in sé riferimenti al passato, al presente e al futuro.
Maurizio Inchingoli: Ha seguito di persona la fase di remastering dell’album? E, se sì, come si è confrontato con Giuseppe Ielasi, musicista e tecnico di fiducia della Die Schachtel?
Diciamo che il master originale era di per sé già ad un ottimo livello e ben conservato. Ho seguito il remastering dando, telefonicamente, poche indicazioni al bravo Giuseppe Ielasi. Non è stato necessario seguirlo di persona in quanto, come già detto, il master, registrato a suo tempo con un altissimo livello di qualità, non necessitava di grossi interventi.
Maurizio Inchingoli: Sono passati anni da quel particolare periodo storico. Cos’è cambiato nella cultura di oggi rispetto ad allora, secondo Lei, e come vede il mondo musicale odierno?
Sì, penso anche io siano passati un po’ di anni! (ride, ndr).
Nei contenuti direi non molto, però – come accennavo prima – è il modo in cui si affrontano e si svolgono le cose che è di gran lunga cambiato. Il mondo musicale odierno mi appare abbastanza inquinato, pur trovando alcune espressioni musicali delle nuove generazioni interessanti e molto vicine allo spirito di allora.
Maurizio Inchingoli: Ci consiglia qualche musicista o gruppo (sia del passato, o di oggi) che apprezza in maniera particolare?
Certo, trovo sempre divertente questo gioco “2.0” del “mi piace” e “non mi piace”. Eccone qui alcuni: György Ligeti, Morton Feldman, Karlheinz Stockhausen, John Cage, Pink Floyd, Terry Riley, Popol Vuh, Third Ear Band, Stomu Yamashta, Jon Hassell, Steve Reich, Don Cherry, Max Richter, Bryce Dessner, Ólafur Arnalds, Michal Jacaszek.
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