Per non farsi mancare nulla in settimane che hanno ricominciato a essere come quelle dell’anno scorso (troppo corte), la ‘povna domani aggiunge la partecipazione a un convegno (che è stato fissato già da tempo) all’ordinaria attività scolastica. A dimostrazione del suo essere sul pezzo, al convegno (letterario) lei è stato invitata (mesi fa) per parlare di politica (e in particolare, giocando sulla figura della “soglia”, dei problemi comparati di reclutamento tra università e scuola). Poiché (maledizione!) non è ancora dotata di teletrasporto (e non voleva perdere ore, a nessun costo), il suo contributo è organizzato in maniera telematica: dalla sede della scuola, insieme a Barbie, in teleconferenza Skype. Prima, alle due, sarà stata ospite dalla famiglia di Gian Burrasca (“Se deve stare in città fino alle cinque – e fare anche la sua porca figura, poi, professoressa – non deve essere stanca. Venga da noi, che la rifocilliamo”). Poi si dirigerà verso il prefabbricato, dove un’aula è stata approntata alla bisogna. E, di fronte a una platea (universitaria) che di queste cose sa molto poco, o addirittura niente, racconterà come la parola “merito” fu espunta dalla selezione per gli insegnanti a scuola già all’inizio degli anni Settanta; e tutte le leggi, e leggine, e accordi che hanno portato alla situazione attuale. In particolare – a leggere la storia come è scritta – colpiscono le rivendicazioni sindacali, che ottengono, via via, la cancellazione di una selezione valida. Dalla creazione di un ibrido come “l’incarico a tempo indeterminato” (1971: cioè un insegnante che è supplente, ma incaricato permanentemente, e dunque virtualmente illicenziabile fino a che non sia pronta, sempre ope legis un’assunzione stabile) alla Legge Delega 1973/477 (quella che inaugura i cosiddetti “diciassettisti” , quei supplenti cioè entrano in ruolo attraverso il semplice superamento di un “corso abilitante”). Dalla ricchissima serie di “abilitazioni riservate” degli anni Ottanta (alle quali si devono sia l’istituzione della graduatorie cosiddette permanenti, nelle quali i docenti precari vivacchiano aspettando che la chiamata al ruolo avvenga per scorrimento lista – cioè, come sempre: per anzianità e non per merito), che barattano nei fatti la necessità di cambiare assegnazione anno per anno con la rinuncia a essere sottoposti, almeno una volta, a selezione seria. Gli anni Ottanta terminano con il grande sciopero del 1986, e il conseguente blocco degli scrutini. Ed è così, che, sotto ricatto, il Governo cala ancora un poco le mutande, rendendo la pretesa di diventare dipendenti pubblici sancita dal diritto, attraverso l’istituzione – in nome di quel principio che il movimento dei precari sbandiera senza rendersi conto della contraddizione implicita (quello, la ‘povna cita “di non sprecare abilitazioni già acquisite o concorsi già superati”) – l’introduzione (legge 27 dicembre 1989 n. 417) del “doppio canale”. Si tratta di un dispositivo che sancisce due strade possibili per arrivare all’assunzione in ruolo definitiva e certa: il 50% da graduatorie di merito (determinate da un concorso), e, per il restante 50% della torta, da una graduatoria permanente di tutti i vecchi (secondo le modalità facilitate stabilite negli anni precedenti) abilitati. Ma sono in realtà le parole che la ‘povna ha riportato tra parentesi quelle che mettono i brividi. Perché l’idea che un concorso “già” superato sia da considerare come una medaglia olimpica, ora e per sempre, fa strame (e questa volta sì, in aeternum) dei concetti stessi di “graduatoria” e “selezione pubblica”, riducendo nei fatti l’aspirazione al ruolo a un mercato di prevendite. Tu, in qualche modo (per canali privilegiati, bagarinaggio, vie ufficiali) ti infili nella lista, e poi ti metti in fila (all’italiana, comunque, e dunque via ai trucchi, ai ricorsi, a decreti ministeriali creati ad hoc per le pressioni delle lobby), e aspetti. Certo, magari tanto, ma nel frattempo, da quell’angolo, puoi comunque ascoltare di straforo un pochino di concerto, o vedere la partita da un angoletto accorto. E poi, a un certo punto, e senza nemmeno far la fatica di metterti in discussione un’altra volta (e magari sono passati già vent’anni), la porta si apre ufficialmente, ed è per sempre: tu sei (vecchio e) sei dentro (e magari pure ti lamenti: “Eh, ma quelli dell’ultimo concorso mi son passati avanti”). E peggio per coloro che sono solo bravi. E’ così che, sotto Berlinguer (1999), viene abolita, per la lista dei precari, la parola “concorso” (visto che effettivamente c’è poco di concorsuale nell’essere inseriti in una lista); vengono istituite le SSIS (che dovrebbero essere ad accesso controllato, ma si scontrano con la fila chilometrica di chi sta ben davanti), e poi si arriva ai giorni nostri, con il concorso di Profumo, le pressioni sindacali, il nuovo doppio canale, e l’impossibilità di fare fronte. Poiché l’idea della mancata selezione – così come quella dei concorsi che non scadono – è incistata nella mentalità italiana prima ancora che nella sua giurisprudenza. E a farne le spese resta, poiché la scuola ne è il gradino fondativo più importante, la società tutta.
Queste, e altre cose (legandole all’immagine di Peter Pan, al rapimento Moro, e a Ecce Bombo di Moretti) andrà a dire la ‘povna, nella sua video conferenza. Non mancherà il riferimento a Don Milani (che – sulle ragioni misteriose in nome delle quali così tante persone si affannano a ricercare un lavoro mal pagato e dal prestigio sociale, grazie a loro stesse, praticamente nullo – ha ancora parole da dire chiare e tonde, per esempio a proposito del part-time implicito che tanti insegnanti si prendono, per mancanza di autentico controllo). Ma ha voluto, in anteprima, condividere qualcosa della sua ricerca legislativa qui su Slumberland – perché si possa capire che la situazione non è come si dice, ma molto, molto peggio. E che purtroppo – se gli insegnanti (i sacerdoti della valutazione, in ogni modalità prevista) non accetteranno di sottoporsi periodicamente allo stesso modello di giudizio (senza opporre inutili problemi di presunta oggettività del procedimento – ché sono le eccezioni che potrebbero sollevare, legittimamente e ogni giorno, i loro alunni a scuola) – è destinata solo e soltanto ad avvitarsi su se stessa. Tutti a confondere la cooptazione, o il “mi piace”, con una procedura di selezione competente. E poi c’è chi stupisce alla situazione politica: “abbiamo” – pensa la ‘povna – “ciò che ci meritiamo”.