Io che Le benevole l’ho giudicato un grande romanzo, il più importante romanzo del primo decennio del secolo, nonostante il mio parere non coincidesse con la maggioranza dei lettori e dei critici le cui stroncature più lusinghiere utilizzavano per definirlo la formula di “patetico bluff”, io che la penso in questo modo qui non posso perdermi il nuovo Cecenia, anno III, appena uscito per Einaudi, che è un reportage dei giorni trascorsi da Jonathan Littell tra il Caucaso e Mosca nella speranza di tracciare un quadro obiettivo della Cecenia di Ramzan Kadyrov. Non me lo posso perdere perché, nonostante alcune discutibili uscite di questo controverso autore dei giorni nostri – tra cui la sconfessione pubblica della propria identità ebraica e i paragoni tra le SS e i soldati di Tzahal in Cisgiordania – il melvilliano Littell possiede secondo me un talento ardimentoso, quello che spinge un autore naturalmente dotato a non porsi limiti, a immaginare la propria opera come una montagna le cui vette restano perennemente avvolte dalle nubi. Non è particolare di poco conto. In effetti non amo quegli autori che giocano partite scontate, peggio ancora che giocano sempre la stessa partita, non amo quegli autori che imbottiscono il loro letto di scrittura di pochi fidati capostipiti e dei giudizi collaudati del pubblico, non amo gli autori inconsapevoli del proprio talento che si lasciano ammansire da un’epoca e da un contesto culturale dominato dai mediocri. Amo invece quegli autori che sanno azzardare, che mirano alle stelle, che non temono di confrontarsi coi giganti, che mettono la testa del lettore sotto una ghigliottina e poi gli porgono la leva per il rilascio della lama. E Littell è uno così. Che piaccia o no.
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