Live Evil Festival III

Creato il 22 novembre 2013 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Londra, The Garage (18-20 ottobre 2013).

Sì, è passato un mesetto. Il mio tempismo non è proprio il massimo, però questo è un festival di cui vale la pena di parlare anche dopo qualche settimana. Rieccomi dunque a Londra, rieccomi al Live Evil, il festival organizzato da Fenriz che coinvolge le band nominate nel suo blog Band Of The Week, solo “Old Metal”.

Siamo alla terza edizione, e, con una punta di orgoglio, dichiaro che non me ne sono persa una. Ho visto le prime due edizioni, tre e due anni fa, al mitico Underworld, nel cuore del quartiere di Camden Town. Nel 2012 il festival non si è tenuto, per la delusione di moltissimi fan, specialmente dopo due puntate esplosive, giusto per non esagerare.

L’annuncio della nuova edizione dell’evento, all’inizio dell’anno, è stato accolto con grande soddisfazione e, come previsto, i biglietti sono stati venduti in fretta. Come in passato gli organizzatori sono riusciti a coinvolgere band di grosso calibro, oltre che d’importanza storica, come headliner di ciascuna delle due serate, quelle di sabato 19 e domenica 20 Ottobre 2013 (aggiungere il “pre-show” del venerdì sera) nel grosso music pub The Garage, dalle parti del quartiere di Islington.

Le mie foto sono uscite bruttine, ma è venuto in soccorso, gentilissimo, Pete Woods della webzine Ave Noctum. Le foto degne di questo nome sono di Pete e sono prese in prestito dal suo ampio live report, che può essere letto qui e qui. Invece quella degli Arkham Witch (non può mancare …) è una delle molte condivise dalla band sulla sua pagina Facebook. Su YouTube si trovano video praticamente di tutti i concerti, incluse anche le esibizioni del pre-show, e spesso con audio anche di qualità accettabile.

Venerdì 18 Ottobre 2013

Al pari della volta scorsa è stato organizzato un “pre-show” la sera prima del festival, venerdì 18 ottobre 2013. Il pre-show ha coinvolto due delle band che hanno fatto vittime nelle scorse edizioni, ossia Deathhammer, dalla Norvegia, e Antichrist, dalla Svezia. Più uno “special guest”. Il tutto nella sala “piccola” del Garage, il cosidetto “Upstairs”.

Come spesso succede in Inghilterra, a una certa ora, per niente tarda (mezzanotte o anche prima), molti locali chiudono. Il Garage segue rigidamente il “coprifuoco” e quindi si inizia abbastanza presto. E puntuali. Io, invece, dovendo scoprire il percorso più conveniente per arrivare col bus, arrivo dopo che hanno suonato gli “special guests”, i finnici Ranger. Ma tanto li vedrò domenica. L’atmosfera in questa sala dal soffitto basso, stracolma di persone e dal pavimento già fradicio di birra, è infuocata, e non solo per la temperatura sub-tropicale. La via sotto, la commerciale Holloway Road, era piena di metallari dal look che fa paura ai “comuni mortali”, ma in fila ordinati ad aspettare di entrare e a fumare un’ultima sigaretta. Faccio appena in tempo ad accaparrarmi una cassetta con la raccolta di demo dei Deathhammer e una patch (… da attaccare al grembiule di jeans del barbecue, mica per il giubbino. Cioè, ho una certa età…) che attaccano gli Antichrist. Con la loro classica “Death Sorcery”, che inizia piano ma poi esplode, gli svedesi aprono le danze, che più tribali di così non si può. Infatti (ri)comincia il turbine di capelli, borchie, giacche al vento, spintoni in amicizia, schiene sudate, bicchieri di birra – pieni – lanciati in aria, che ha già conciato per le feste la sala. Ma così dev’essere! Mentre gli Antichrist coniugano il verbo del black thrash a modo loro, macinando riff velocissimi e taglienti e ululando in falsetto, il pogo è sfrenato. Si bolle, nonostante due grossi condizionatori attaccati al soffitto, che evidentemente fanno fatica a rinfrescare l’aria. Ma se anche ci fossero 10 gradi, ci penserebbero gli Antichrist a tenere il fuoco acceso. Sfoderano un’alternanza di brani abbastanza variegati, dal classico blackened speed metal che pompa senza tregua fino a una ballata dal ritmo quasi funereo, lento e cadenzato, sorprendentemente doom, ma che poi si trasforma in una parata di bei riff heavy metal. La fossa del pogo è un inferno e uno degli “animatori” più scatenati è proprio il frontman, bassista-cantante, della band che seguirà, gli headliner della serata: Deathhammer. È completamente invasato e non proprio sobrio. A vederlo così fuori c’è da dubitare che riesca a suonare di lì a poco, ma le risorse dei norvegesi sono infinite! E infatti, quando alla fine tocca a loro chiudere la serata, mettono a ferro e fuoco l’intera massa di metallari che li attendono come pulcini di avvoltoio con il becco aperto e una fame atavica. Il frontman incita il suo pubblico chiodato, specialmente quello in turbolenza nel moshpit, e canta a metà tra voce in falsetto e rantolo strozzato. Nel suo delirio metal-alcoolico chiede altra birra, la riceve, mentre continua la pioggia dai bicchieri (tutti rigorosamente in plastica) di chi non rinuncia a pogare e a bere contemporaneamente. Con i brani vecchi e nuovi, dall’album in uscita, i Deathhammer polverizzano l’audience, nientemeno, soprattutto per merito del chitarrista che, a quanto pare, o regge molto bene o è lucidissimo e spara riff ultratecnici e veloci, da paura. Va da sé che il bis è chiamato con ululati. Alle undici di sera si esce dalla sauna dell’Upstairs e si torna nell’aria piacevolmente fresca e mite di questo weekend londinese.

Sabato 19 ottobre 2013 (Festival, primo giorno)

Il festival inizia alle tre e mezzo di pomeriggio, ma prima c’è la consueta trafila del recupero del biglietto e dei controlli per entrare. L’apertura della cassa dovrebbe essere attorno alle 15, ma ci sono ritardi. Holloway Road, dov’è situato il club The Garage, è una via movimentata e commerciale, popolata, oggi, da persone e famigliole in giro a fare shopping e da tifosi che vanno a vedere l’Arsenal nello stadio vicino. Visti l’allungarsi dei tempi d’ingresso al club, in questo contesto urbano si forma un serpentone lunghissimo di esseri oscuri, vestiti di nero, dall’aria truce, con l’intero range di facce “cattive” e crine selvaggio in stile da mediterraneo ad anglosassone a scandinavo. Si rivede di nuovo il punk con la doppia cresta che c’era anche le altre volte. È curioso notare com’è tranquilla la gente per strada, almeno apparentemente, e d’altra parte com’è tranquilla e allegra la fila metallica. Sì, è vero, ci sono gli energumeni della sicurezza, ma non hanno bisogno di sbraitare.

Arrivando, individuo subito e saluto calorosamente i miei tre amici di Oslo, Adrian, suo fratello Vincent e il loro amico Alex. Sono tre “trve Norwegian metalheads” molto simpatici e cordiali (alla faccia di quello che si dice dei nordici!) e, come durante la precedente edizione del festival, mi faranno da piacevoli Cavalieri dell’Apocalisse. Si condivideranno birre, biscotti ultra-calorici, cioccolatini, mele, cibi speziati, sigarette, ma anche sudore, gossip, storie di vita e, ovviamente, opinioni e giudizi (senza pietà …) su tutto quello che succede sul palco! Intanto, in fila, mi studio la scaletta di oggi, che propone, dalle 15 e 30 alle 23, i seguenti concerti: Bastardhammer, Eliminator, Necrowretch, Beastmilk, Vampire, Pentagram Chile e Satan. Adrian e gli altri sono molto avanti nella fila ed entrano in fretta. Quando alla fine riesco a entrare anche io nel club, ancora semi-vuoto, e li raggiungo, ho praticamente perso l’esibizione dei Bastardhammer! Peccato… Su YouTube avevo visto i video di alcune delle loro esibizioni recenti, e c’era di che divertirsi, anche per il lato parodico della band. La loro pagina Facebook sembra il Vernacoliere del metal punk, e basta anche ascoltare il brano ufficiale, “6 Million Ways To Die In A Tock’n’Roll Band” per immaginare che con questi mattacchioni di inglesi del Surrey si scapocci in allegria!

Mi vedo buona parte dell’esibizione degli Eliminator, band inglese di heavy metal classico, da “defender of the faith”. I riff sono epici, tradizionali, il cantante ha una buona voce, però non sufficientemente stabile, specie quando tenta col canto in falsetto. Non so, li sentiamo poco carichi e stentiamo ad appassionarci. Avevo letto che il gruppo è stato per un po’ in stand-by dopo il coinvolgimento nella classifica di Band Of The Week e solo recentemente è tornato in attività. Certo, suonare all’inizio del festival con poca gente non è il massimo, ma forse mancava una punta in più di entusiasmo per coinvolgere gente come me e i miei tre compagni di merende metalliche, che gradisce l’heavy metal classico senza essere esperta.

L’ora del tè è scandita dalla cattiveria sepolcrale dei Necrowretch. I francesi servono un infuso di cicuta in un’oscurità infernale macchiata dal colore di qualche faretto e affogata nella foschia dei fumi di scena. La voce di Vlad è secca e gutturale, non un ringhio ma un rantolo riverberato all’estremo. Il loro death metal cupo ed iper-distorto è acclamato da una folla notevole: finalmente il grande salone del Garage si è riempito e la folla fa sapere che sono particolarmente apprezzate le sonorità maligne. Quindi l’acquisto del nuovo cd viene di conseguenza.

Dopo la pausa tecnica di 15-20 minuti arrivano i finlandesi Beastmilk. Diciamo che sono un po’ estranei al leit-motiv stilistico del festival, almeno quello suggerito dalla preponderanza di band che suonano pesante, veloce e cattivo. Ma verosimilmente il senso autentico di Band Of The Week, per Fenriz, è anche quello di superare le barriere di genere, essere aperti alla musica di qualità e che sa di “old-school”. Quindi anche il “post-punk apocalittico” dei Beastmilk ha un senso nella carrellata di band del Live Evil festival. A ogni modo le ballate dei Beastmilk, con la loro particolare carica di melodia distorta e dolorosa e il cantato etereo, sono belle, sono un diversivo affascinante e anche una ventata di aria fresca. Appunto, l’ora d’aria per i galeotti tatuati e lungo-criniti del metal malefico, i quali verranno presto nutriti, come i piranha in un acquario da Nemico Pubblico Numero Uno, con un altro po’ di cattiveria.

Ci pensano i Vampire – band svedese in pratica esordiente – a riportare a loro modo il pubblico lungo la grezza via maestra, ossia regalando palate di allegra perfidia con brani taglienti, veloci ed abbastanza marci. A dare quest’idea di marcio forse ci pensa anche qualche problema audio con la voce, che a volte viene e va, e risulta un po’ soffocata. Ma non importa, i Vampire regalano un bel divertimento. Sì, perché dopo di loro si comincia a fare veramente, ma veramente sul serio, con la band che, per quanto mi riguarda, è il vero clou della giornata: i mitici Pentagram cileni, ribattezzati Pentagram Chile per evitare confusione con gli altri Pentagram. La sala del Garage, molto ampia, è stracolma e dalla folla si alza un boato non appena arriva sul palco il manipolo di vecchi “metaleros” sudamericani. Questa è una delle band che portano alto il vessillo della qualità nella sua magnifica scena heavy nazionale. Sarà l’ottimo calibramento del suono, ma i Pentagram Chile attaccano subito a mitragliare tutta la massa di gente con delle cariche di riff death/thrash da massacro, con una batteria bellicosa e un canto che è la quintessenza del male. Non per niente The Malefice è il titolo del loro nuovissimo album (doppio cd/lp) e, come ci tengono a precisare con orgoglio, il primo album ufficiale dopo anni di demo ed ep. E questo la dice lunga anche su quanto alcune scene siano ingiustamente poco sostenute dalle etichette, ovverosia sulle difficoltà che hanno moltissime band eccellenti in scene geograficamente sfortunate. Quindi, ancora una volta, tanto di cappello a chi, come Fenriz, promuove questi musicisti, diffonde ancora di più il loro metallo e ce li fa godere pure dal vivo! Il grosso del pubblico, tra cui una “delegazione” di metaleros sudamericani, accoglie ed accompagna per quasi un’ora l’intero concerto con calore e, soprattutto, con un pogo magmatico. E non è solo l’effetto dei litri di birra in circolo… I Pentagram Chile presentano brani nuovissimi, da The Malefice, mescolati a vecchi pezzi che in parte sono contenuti come reissue nel secondo cd allegato alla nuova uscita. Il bassista imponente sfoggia una maglietta degli Speedwolf, americani giovanissimi ma grandiosi, che ho avuto la fortuna di vedere a Milano qualche settimana prima. Sarà la prima delle varie volte in cui le magliette e le insegne degli Speedwolf compariranno sullo stage, rendendoli quindi protagonisti indiretti.

La chiusura della serata è nelle mani e nelle corde, metalliche e vocali, dei britannici Satan, un’altra band leggendaria esponente della “trve” NWOBHM. A parte alcune parentesi, è più o meno sempre stata in attività, intensificandola non appena l’heavy metal è tornato di nuovo alla ribalta. Anche i Satan sono forti di un album nuovo di zecca, davvero potente. A differenza della parentesi heavy metal di questo pomeriggio, e forse anche rinfrancati dalla sala piena, i Satan colpiscono ed affondano. Sono classicissimi, iper-melodici, epici, molto “Iron Maiden”, ma hanno carica da vendere, propongono brani costruiti in modo originale e poi cantati dall’ottima voce di Brian Ross. Io, appunto, non sono un’esperta di heavy metal classico, ma devo ammettere che, sia col disco nuovo sia, ancora di più, davanti al palco, si rimane affascinati dalla maestria di questi musicisti. Io non sono tanto affezionata a fraseggi power e melodie epiche, se non in un contesto funereo e doom, ma nella sala era impossibile non essere catturati dal potere narrativo delle ballate tecniche dei Satan e della voce così fresca di Brian, che non sembra risentire dell’età mentre testa l’intera gamma tonale, dal canto pulito al falsetto. L’onore del pogo viene tributato anche ai Satan, anche se meno violento rispetto a quello che ha accompagnato il rito malefico dei Pentagram Chile. Qui è tutto un ondeggiare di chiome da invidia in sincronia con le cavalcate del gruppo. Insomma, Heavy Metal con le lettere maiuscole, gran tecnica, grandi melodie e un bel ritmo che pompa incessante. Qualcuno li ha paragonati ai Ghost, ma a mio modesto parere i Satan sono molto, ma molto meglio.

Così finisce la prima giornata, stilisticamente mista, di questa nuova edizione del mitico Live Evil Festival.

Domenica 20 Ottobre 2013 – Festival / secondo giorno

Il secondo giorno del Live Evil Festival 2013 è forse quello più succulento per i cattivi, visto che c’è una parata degna della corte di Belzebù! Ecco cosa propone la giornata, con gli stessi orari di ieri: Satanic Dystopia, Ghast, Condor, Zom, Ranger, Arkham Witch e Midnight.

Si comincia dunque con i Satanic Dystopia, britannici, da Manchester con furore. C’è parecchia curiosità, perché si tratta di una formazione black-thrash-punk in cui milita Al Osta, già nei Ravens Creed e nel progetto heavy doom – davvero ottimo – Peacemaker. Quindi c’è parecchia gente ad accogliere il gruppo alle 3 e mezza di una domenica pomeriggio tiepida ma piovosissima. C’è ancora il ricordo della performance di Al Osta, che durante la scorsa edizione del festival, coi Ravens Creed, aveva lasciato tutti a bocca aperta per la sua potenza impressionante. Mentre parte un’introduzione con dialoghi da un film, Osta arriva coperto da una giacca militare mimetica, berretto con visiera, cartucciera da mitra e barba lunghissima e folta. Look inquietante da guerrigliero/terrorista, quindi. Butta via la giacca e scopre una maglietta rossa, ancora una volta degli Speedwolf! Stappa la prima di una serie di lattine di birra col cui contenuto si cospargerà e che poi, rabbiosamente, butterà addosso alla folla davanti al palco. Qualcosa tornerà poi indietro. È o fa l’arrabbiato, Osta, forse un po’ troppo. I suoi compagni macinano cariche black-death-thrash instancabili, che ricordano, nel suono e nel ritmo, lo stile di band come Trap Them e Bloodbath. Il frontman abbaia, ringhia e trascina buona parte del pubblico con la sua furia. Quanto a me però, non so, c’è qualcosa che non mi convince. Forse la qualità audio non è ancora ben bilanciata o forse è lo stile hardcore di Al che mi sembra poco valorizzato dal tipo di riff veloci e secchi, almeno non come con i Ravens Creed. Anche gli amici di Oslo condividono la mia stessa opinione.

Poi arrivano i Ghast, band inglese che conoscevo per merito di ottimi album prodotti alcuni anni fa e che mescolano black metal, da grezzo ad atmosferico, e funeral doom. Il frontman colpisce perché, oltre che i capelli molto lunghi d’ordinanza, sfoggia anche due baffoni portentosi, curatissimi e con punte all’insù! Altro che i baffi a manubrio un po’ disordinati da rockettaro-biker… I Ghast occupano i loro 35-40 minuti con quattro o cinque delle loro lunghe ballate infernali, che seguono tutte più o meno uno schema comune. L’inizio è velocissimo e furioso a base di black metal duro e puro, ortodosso. Il turbine apocalittico si perde poi quasi all’improvviso nella lentezza spasmodica del funeral doom più sinistro ed oscuro. La ripresa di energia da parte dei riff avviene quasi con fatica nell’oscurità densa ed opprimente del nucleo funereo. E intanto la band inserisce varianti atmosferiche e quasi prog/post-metal al suono. Perciò si riesce ad apprezzare la bravura dei Ghast nel coniugare brutalità (tanta), oscurità ed atmosfere.

Dopo il viaggio tenebroso dei Ghast viene, giustamente, voglia di svagarsi, e a questo ci pensano i Condor, magnifici black-thrash/speed metallers norvegesi capitanati dal cantante bassista Christoffer Bråthen, un ventenne biondino che in realtà sembra appena uscito da una classe di seconda o terza liceo di metà anni Ottanta, con il suo look da thrasher e la capigliatura a “mullet”. Alla faccia del look da teenager e dalla corporatura esile, appena Christoffer comincia a cantare, con una voce che ricorda tanto quella di Apollyon degli Aura Noir, sembra di sentire la bambina posseduta de “L’Esorcista”! E dal vivo fa ancora più impressione che su disco. Sistemati alcuni problemi tecnici con la batteria, i Condor sono una bomba, spargono benzina e danno fuoco a tutto con i loro nuovi pezzi veloci, brutali ed abrasivi da quanto sono grezzi, ma irresistibili e, sì, tanto divertenti. Abbiamo tutti una birra in mano, difficile da difendere dall’agitazione del pogo. Alla fine con gli amici norvegesi si parla anche degli altri progetti, duri ed “old school”, in cui sono variamente coinvolti i ragazzi dei Condor: Mion’s Hill, Gouge e Mabuse. E poi, piccolo gossip, l’amico Adrian, che, oltre che lavorare, studia scienze ambientali all’università di Oslo, mi racconta che il frontman Christoffer seguiva il suo stesso corso di geologia. E siccome si sta parlando anche del mio campo di lavoro, siamo tutti e due fieri della cosa! Un po’ di spirito di corpo tra gente che si dedica ai sassi…

Fuori continua a piovere, anche se un po’ meno: ce ne accorgiamo perché durante il soundcheck si esce in una specie di mini-serraglio ricavato sul marciapiede, unica zona dove gli ospiti del Garage possono, a turno, uscire e magari anche fumare. Comunque le pause del soundcheck passano in fretta e, ancora indolenziti dall’headbanging veloce per i Condor, ci presentiamo al cospetto dei favolosi Zom, somministratori di black-death metal sepolcrale che arrivano dall’Irlanda. Il loro primo demo, nel 2011, aveva stregato tutti. La band non è iper-produttiva, ma l’ep uscito ultimamente, che riprende il secondo demo, del 2012, ha fatto capire che questi dublinesi fanno maledettamente sul serio. I loro brani sono pesantissimi e abbastanza lunghi, ben oltre i cinque minuti. Immersi in un buio rotto da alcuni faretti rosso sangue, passano da un brano all’altro quasi senza soluzione di continuità, schiacciati dalla mole sonora di chitarre e batteria da guerra come se fossero ruote di carrarmato e dal canto a due voci in growl abissale e molto riverberato. Sono impressionanti. Non c’è molta “melodia” nei brani degli Zom, ma l’attenzione in chi ascolta non cala mai, perché i tre sanno dosare atmosfere e velocità, agli estremi opposti, in modo sapiente. Speriamo che facciano presto un album: se vanno avanti così, sarà una bomba.

Come è giusto che sia, dal sepolcro senza tempo è più bello se si viene tirati fuori da una carica di riff di speed metal un po’ alcolico, magari nordico. E allora eccoli, i Ranger, di Helsinki! Li ho persi nel pre-show, ma li vedo adesso. Baffoni (oh, stavolta quelli a manubrio, ci vogliono!), bandane e fasce a tenere a bada chiome bionde lunghe e arruffate, gilet di jeans coperti di patch, jeans attillati… signori, basta, come promesso dall’ossessione di Fenriz per l’“old metal”, siamo di nuovo negli anni Ottanta! I convenevoli tra il pubblico e Dimi Pontiac, il frontman baffuto e simpatico, si concludono con un reciproco “Fuck you”. E, via, si parte con una colata di metallo a velocità supersonica, riff molto grezzi ma con innegabile vena NWOBHM e canto indiavolato fino al falsetto strozzato da psicopatico. Sembra quasi impossibile pensare che uno dei chitarristi militi in una band di doom death pachidermico come gli Swallowed! La band sa stare sul palco a incitare la folla che impazzisce e si diverte, acclamandoli. Il pogo dilaga al ritmo dei brani tratti dai demo e dall’ultimo ep, Knights Of Darkness. Non possono non venire in mente altri speed metallers finlandesi che avevano infiammato il palco dell’Underworld nella prima edizione del Live Evil Festival, gli Speedtrap, anche se i Ranger sono forse più grezzi. Ad ogni modo, grande show…

A riportare tutti nei binari dell’heavy metal classico ci pensano, ma a modo loro, gli Arkham Witch, la penultima band della giornata. Il gruppo proviene dallo Yorkshire ed è legato, tramite il cantante/bassista Simon e la batterista Emily, alla heavy doom band The Lamp Of Thoth (che ho avuto il piacere di vedere in prima fila al Roadburn un po’ di tempo fa). I membri degli Arkham Witch sono simpatici e amichevoli e durante il giorno con il chitarrista Aldo Delle Rose ci si diverte anche a scambiare qualche parola in italiano. Il nome è chiaramente di ispirazione lovecraftiana, e magari chi non conosce la band si aspetta del doom. In realtà il cuore degli Arkham Witch batte furiosamente per il vecchio heavy metal in puro stile Judas Priest, solo limitatamente temperato o arricchito da una vena retro-doom/stoner. La band è molto attiva sia in studio sia dal vivo, e si sente, e pure si vede! Li avevo già visti due anni fa al Malta Doom Metal Festival ed erano stati grandi. Con altri due anni di attività sono diventati, se possibile, ancora meglio. Il concerto è travolgente ed allegro: le melodie infettive e la verve del cantato gioiosamente aggressivo di Simon, sostenuto dall’energia dei riff e della batteria nelle mani, solo apparentemente esili, di Emily, fanno davvero venire la voglia di organizzare cori alcolici. E anche lo spettacolo è assicurato. Finalmente, infatti, si vede la memorabile chioma di Aldo delle Rose aperta come una ruota di pavone, dopo che per tutto il giorno ha tenuto i capelli stretti in una treccia quasi invisibile. L’abito di scena di Aldo è un clamoroso paio di “hot pants” slabbrati in jeans, mentre quello del nuovo bassista Jayanta Brahma è una tunica bianca un po’ arabeggiante! Sarà perché erano da poco tornati da una tournée a Dubai… Insomma, anche se gran parte della folla che riempie la sala del Garage è in trepida attesa dei Midnight, gli Arkham Witch sanno tenere banco con un bel concerto che, tra l’altro, si conclude proprio riproponendo un brano dei The Lamp Of Thoth, “Blood On Satan’s Claw (dal mitico album Portents, Omens & Doom).

Bene, siamo al culmine del festival, ed anche se non è mezzanotte (tutt’altro, visto che tutto deve finire entro le 23:30), è giunta l’ora dei Midnight, mostruosa band di metal satanico proveniente da una delle scene heavy più fertili negli USA, quella di Cleveland (Ohio). Una band che trasuda cattiveria e fa spettacolo non solo su disco (e non per niente sono stati e sono legati a label come Nuclear War Now! Productions ed Hell’s Headbangers), ma anche dal vivo, visto che i membri della band usano entrare in scena con un cappuccio nero sulla testa e spaccando chitarra e amplificatori! Il rituale viene rispettato e accompagnato dal boato della folla in fermento, incontenibile, e forse non tanto per la chitarra – a qualcuno piangerà il cuore! – ma per la band in sé. A un certo punto, tra un bicchiere di birra che salta in aria e l’altro, si vede volare perfino una sedia pieghevole che sembra di colore rosa! La sedia vola, viene recuperata e riconsegnata al mittente sul palco a mo’ di stage diving… Anche questo succede al Live Evil Festival!

L’atmosfera è incandescente mentre i tre dei Midnight sputano i loro migliori pezzi di “black rock’n’roll” e sparano le loro cariche di speed/punk metal satanico nella quasi completa oscurità, rotta da irregolari flash. Il pavimento scivoloso di birra non impedisce un pogo selvaggio, e, quando non urla indiavolata, la massa spesso canta insieme al frontman le hit dagli album Satanic Royalty e dalle varie raccolte “Complete And Total Fucking Midnight/Hell”: “All Hail Hell”, “White Hot Fire”, “Lord In Chains”… Basta, se non li conoscete andateveli ad ascoltare! La memoria potrebbe ingannarmi, ma mi sembra di ricordare che anche uno degli incappucciati dei Midnight avesse addosso qualcosa degli Speedwolf!

Lo show finisce prima dell’ora e mezza programmata, e un po’ dispiace, ma il concerto è stato perfetto. Quindi è ora di asciugarsi il sudore, raccogliere i pezzi, uscire dal locale che sta per chiudere (ah, la fretta …) e andare a cercare un posto dove bere e mangiare qualcosa mentre, con gli amici di Oslo, si tirano le somme!  E la mia personale cronaca della terza edizione del Live Evil Festival finisce qua.

Allora, tutto perfetto?

Beh, non proprio. Il festival è stato bello, stimolante e divertente nella sua varietà, ha dato opportunità a gruppi davvero underground di suonare davanti a un pubblico di tante nazionalità e a noi di sentirli, e poi in una città come Londra, dove vale sempre la pena di fare un giro! Contemporaneamente, come in precedenza, il team dell’organizzazione è riuscito a coinvolgere dei nomi di grosso calibro.  Però, rispetto alle due edizioni passate, e dopo due anni dalla seconda edizione, si è avuta l’impressione di un eccesso di band dal Regno Unito. Si capisce la praticità legata alla provenienza. Però considerando com’è varia e ricca la lista delle “Bands of the Week” e quanti, tra i gruppi nominati da Fenriz, sono in piena attività, è un po’ strano vedere coinvolti in un festival così importante realtà locali che, per quanto valide (e che piacciono pure alla sottoscritta), sono improduttive da un po’. Quindi la geografia in sé non c’entra in questa mia obiezione.

Altro “neo” del festival è stato rappresentato da alcuni aspetti logistici non sempre comprensibili, che hanno fatto rimpiangere la vecchia sede, l’Underworld, dove l’atmosfera, specialmente fuori dal locale, era ben più rilassata. Certo, conta tanto anche il contesto del quartiere, perché la zona dove è situato il Garage non è Camden Town, che è non a caso un mondo a parte. C’è la questione del “coprifuoco” molto stretto che il locale ha osservato. È qualcosa di abbastanza tipico nei locali inglesi, credo, e va accettato, bisogna abituarsi, anche se forse un minimo di elasticità non avrebbe guastato. Giusto per fare un esempio, appena finito il concerto dei Midnight un bel po’ di gente si è precipitata nella zona del merchandise per comprare dischi, non acquistati prima forse per avere le mani libere durante la giornata, e magari anche la maglietta del gruppo, in edizione esclusiva per il Live Evil Festival. Purtroppo però la sala del merchandise era già stata sgomberata. Io avevo già comprato quello che volevo, inclusa la t-shirt, all’inizio della giornata, ma c’erano un bel po’ di persone dispiaciute. Peccato, visto che una volta tanto c’è gente che vuole comprare musica “solida” alla faccia della pirateria! Ma se un locale deve per legge chiudere a una certa ora, va bene così, ci si organizza.

Invece, la cosa davvero assurda e incomprensibile è stata la regola, spuntata come un fungo a un certo punto della prima serata, per cui chi esce dal locale alle 20:30 (o qualcosa del genere, o comunque 3 ore prima della fine della giornata del festival) non può più rientrare e si perde i concerti che rimangono, inclusi quelli degli headliner! Abbiamo visto un ragazzo ottenere un “permesso speciale” da quelli della sicurezza per fare un salto al bancomat di fronte per prelevare un po’ di soldi! Che assurdità… Sinceramente non ho mai visto una cosa del genere neanche in Italia, che è tutto dire.

Comunque, a prescindere da queste mie recriminazioni finali, il Live Evil Festival è uno di quegli eventi da non perdere, ma anzi, da sostenere e promuovere il più possibile, così come l’iniziativa di Band of The Week. E spero non passeranno altri due anni per cliccare “acquista biglietto” per la quarta edizione …

Grazie ancora a Pete Woods (Ave Noctum) per le belle foto!

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