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Livorno Magazine: Giuseppe Benassi, “Omicidio a Calafuria”

Creato il 19 ottobre 2012 da Patrizia Poli @tartina

omicidio-a-calafuria-ed-altri-putiferida Livorno Magazine del 19 ottobre 2012

di Patrizia Poli

Omicidio a Calafuria e altri putiferi
Di Giuseppe Benassi

Bastogi 2011
pp. 210
15.00

Rischia volutamente l’insofferenza del lettore, Giuseppe Benassi, in questo “Omicidio a Calafuria e altri putiferi”, giallo destrutturato, senza inchieste e senza deduzioni logiche, ambientato in una Livorno dove di vero ci sono solo strade e monumenti, popolato da un sottobosco di personaggi erotomani che praticano orge e scambi di coppia.
Sull’omicidio di Filippo Bondelli - rampollo di famiglia nobiliare con villa ad Antignano, trovato morto, nudo e unto d’olio, sugli scogli sotto la torre di Calafuria - indaga l’avvocato Borrani, personaggio sgradevole, cinico, irriverente, dalla sessualità volgare e dionisiaca. Borrani getta in padella pesci vivi per il gusto di osservarli mentre guizzano e si contorcono, prova soddisfazione alla vista di un gatto spiaccicato sull’asfalto, è profondamente misogino, non ama il suo mestiere né i colleghi avvocati, non ama l’umanità e il suo prossimo, fa e dice cose che c’infastidiscono perché sappiano vere.
“Si vede che siamo proprio dei fuscelli al vento basta un niente e diventiamo diversi io per esempio non ho ancora capito se sono un uomo serio o un buffone se sono intelligente o un coglione” (pag 71)
Attorno all’omicidio si muove una folla di caratteri che sembrano usciti dalla Torino di A che punto è la notte di Fruttero e Lucentini o dalla penna di un Dickens iperrealista. Personaggi di cui seguiamo il flusso di coscienza in lunghi capitoli che non sviluppano la trama ma la attorcigliano su se stessa senza sbocco, in modo involuto. La maga Gilda aleggia su tutta la storia senza mai concretizzare il suo peso nell’intreccio, attempato travestito che legge i tarocchi alle madame con le quali un tempo copulava. Silvana Oldini, la fidanzata casta del morto, sembra appartenere a una poesia del suo amato Gozzano, sorta di signorina Felicita d’altri tempi, incarnazione del femminino puro cui tutti i libertini in fondo tendono, donna irraggiungibile, angelicata, stilnovista. Solo a lei, alle sue lettere appassionate, sono affidati gli unici momenti lirici di tutta la storia. Mafalda, la madre del giovane praticante dell’avvocato, vive persa nelle sue credenze esoteriche che vanno dagli angeli alla New Age. Artemisio Cocci, scultore blasfemo e dissacrante sta per partecipare alla biennale di Venezia. Marcello, il praticante senza stipendio, è alla disperata ricerca di una ragazza. C’è, più in generale, una folla fatta di avvocati, pretori, giudici, giornalisti, una moltitudine ghignante, onirica, oscena come in un quadro surreale.
E per cercare chi ha ucciso Bondelli, si riflette sulla reliquia del santo prepuzio, sulla possibile clonazione di Gesù, sull’energia vitale della Kundalini, sull’astrologia, sulla musica e sulla pittura.
I capitoli hanno stili diversi, come se Benassi stesse ancora cercando il suo e ne sperimentasse più di uno, anche per mostrarci la sua versatilità. Dal lirismo delle lettere di Silvana, si passa alla mimesi ironica del linguaggio della critica e del giornalismo. Grande spazio è dato a fitti ed estenuanti dialoghi, ricchi di giochi di parole, di aforismi quasi wildiani, “sposarsi vuol dire prendere una persona e farla diventare la peggiore delle nostre abitudini”, di botta e risposta da teatro dell’assurdo, di volgarità scatologiche e ironiche citazioni colte, fra narrazione in terza persona e flusso di coscienza, fra presente storico e passato, in un tentativo di riscatto da una perenne, frustrante, alienazione dal resto del mondo. Borrani è descritto per sentito dire, “c’è chi dice che”, ma anche, e soprattutto, tramite il suo incessante monologo interiore.
“E stare ore a pescare non vuol dire per l’avvocato cercare di prendere pesci, vuol dire stare ore a vedere nel galleggiante una parte di sé che vaga fra l’aria, l’acqua del fiume, l’acqua del mare. Vuol dire inebetirsi nel sole del pomeriggio, dimenticarsi di sé e del mondo e raggiungere uno stato animale, una consistenza di vegetale, una natura minerale.” (pag 22)


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