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La morte di Elizabeth Taylor è un pugno allo stomaco per il mondo cinematografico e l'intero establishment hollywoodiano. Nonostante fosse da tempo malata e attempata, la Taylor è stata, quasi fino all'ultimo, al centro della vita mondana e dello show-business, diventando un "personaggio" da copertina più che un'attrice, tanto che oggi in molti la ricordano per alcune "stravaganze" piuttosto che per la sua fruttuosa carriera di interprete. In realtà, la Taylor è stata un'attrice notevolissima, dal talento codificato, anche se a medio termine, avendo quasi del tutto abbandonato i set di qualità intorno agli anni 80. Va detto che Liz ha cominciato la sua carriera giovanissima, prima come non protagonista e poi, con il noto "Gran premio", come ennesima piccola "bambina-prodigio" di una lunga schiera. La sua carriera subisce un'impennata negli anni '50, quando dopo essere stata la Amy di "Piccole Donne" versione Mervyn LeRoy, inanella i "film della vita" con interpretazioni superbe e collaborazioni di grido. Vincerà due Oscar, ma molte sue nomination andate a vuoto erano da premiare. E' il 1950 quando affianca Spencer Tracy e Joan Bennett nel film di Minnelli "Il padre della sposa" a cui segue un immediato sequel. Ma è soprattutto con "Un posto al sole", accanto al suo amico Montgomery Clift, diretta dal suo pigmalione George Stevens, che diventa una vera star. Con il regista, gira un altro capolavoro, "Il Gigante", che ha un cast che ancora oggi potrebbe essere definito "moderno" data la molteplicità di talenti giovanili disponibili. Ha affiancato Gassman in "Rapsodia" di Vidor. Con Richard Brooks, ottiene ulteriore visibilità nei panni di una donna in cerca di attenzione, nel notissimo "La gatta sul tetto che scotta", in cui Tennesee Williams viene portato allo schermo con una trasfigurazione da "Codice Hays" che ne pregiudica una chiara analisi interiore. Gran cast, con Paul Newman protagonista, ma il film non c'è. L'approdo non può essere che Joseph L. Mankiewicz che la sceglie per uno dei suoi film migliori, "Improvvisamente l'estate scorsa", in cui la forza recitativa è notevole, nonostante la solita censura. Il sodalizio tra i due verrà ripreso con "Cleopatra", kolossal-peplum "maledetto", per giunta poco riuscito e inizio della fase decadente dell'attrice, appena dopo il primo oscar del 1960 per "Venere in Visione" di Daniel Mann, episodio minore e non amato dalla stessa attrice per rapporti difficili con la troupe. Ma la risalita arriva in fretta con il ruolo più importante della sua carriera (e il secondo premio Oscar in un film che è un vero manuale della recitazione) nei panni di Martha in "Chi ha paura di Virginia Woolf?", diretta da un ispirato Mike Nichols. Fino agli anni '80, film minori con grandi registi (torna Stevens, ma c'è anche Joseph Losey, George Cukor e l'italiano Giuseppe Patroni Griffi nel poco apprezzato "Identik"), e il film di chiusura circolare della carriera, con grandi attori come l'amico Rock Hudson, Tony Curtis, Kim Novak e Angela Lansbury nel 1980, "Assassinio allo specchio". Nel 1988 c'è Zeffirelli e nel 1994 un piccolo ruolo in una pellicola orrenda, "I Flintsones", assolutamente indegna per la conclusione della sua attività nel mondo del cinema. Poi tanto gossip, beneficenza, apparizioni, flirt, malattie, amicizie, tv. La donna dagli occhi viola ci saluta a 79 anni.
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