ll Punto. Referendum, rating, tassisti e altre storie

Creato il 14 gennaio 2012 da Veritaedemocrazia

Nella giornata del 12 gennaio il governo Monti ha ricevuto due generosi aiutini che ne hanno rafforzato la prospettiva di durare fino alle scadenza della legislatura del 2013: il no della Camera all'arresto di Nicola Cosentino e la decisione della Corte Costituzionale di non ammettere i referendum promossi da Di Pietro per l'abrogazione dell'attuale legge elettorale (il porcellum Calderoli) ed il sostanziale ritorno a quella maggioritaria precedente (il Mattarellum).
Nicola Cosentino è accusato di essere organico al clan camorristico dei casalesi ed è assolutamente centrale nel sistema di consenso berlusconiano (ha ricoperto fino ad oggi la carica di coordinatore del PDL campano);  uno dei fatti che hanno contribuito alla vittoria delle destre nel 2008 è stato il disastro dei rifiuti in Campania con le vergognose immagini che venivano da Napoli sommersa dalla monnezza: disastro dei rifiuti a sua volta determinato dai traffici dei clan camorristici.
Il no all'arresto consente di porre un argine, sia pur momentaneo, alle fibrillazioni e alle inquietudini del PDL e di Berlusconi di fronte al governo Monti.
L'ammissione del  referendum che si proponeva di cancellare il potere delle segreterie dei partiti di scegliere in via esclusiva i membri del Parlamento avrebbe rappresentato una irresistibile tentazione per diverse forze politiche ad anticipare lo scioglimento delle Camere al fine di rimandare la consultazione referendaria e di non dover rinunciare all'ingiusta prerogativa di cui oggi godono i rispettivi leader.
C'è chi nega che sia possibile mettere in relazione i due fatti, che così facendo si reiterano abituali argomenti e atteggiamenti berlusconiani, ma certo è difficile negare che quanto verificatosi sia anche il frutto di un clima generale contraddistinto dal pensiero unico di cui è promotore Napolitano e in cui non si deve disturbare il manovratore Monti nel momento in cui il Paese è tutto preso dal tentativo (nei modi e con gli strumenti decisi dai poteri forti) di evitare la catastrofe.
In merito alla decisione della Corte Costituzionale e alle pesanti accuse lanciate al riguardo da Di Pietro a Napolitano, alcuni oggi affermano che in realtà quella decisione era scontata stante la formulazione del quesito referendario e le precedenti sentenze della Corte. Non si può non tener conto di quanto afferma un giurista  competente e irreprensibile come Stefano Rodotà che nella trasmissione televisiva '8 e 1/2' su La7 (qui dal minuto 13 e 30)  si è espresso in difesa del ruolo della Corte Costituzionale e sulla legittimità della sua decisione di non ammettere i referendum che appunto è coerente con la precedente giurisprudenza (non è ammissibile il vuoto legislativo in materia elettorale e l'abrogazione di una legge non può far tornare in vigore le norme che da quella legge erano state sostituite).
Ma nel contempo rilevo che vi era stato un appello di 111 costituzionalisti che al contrario sostenevano l'ammissibilità dei referendum. In ogni caso personalmente non mi straccio le vesti per la bocciatura del referendum: ne avevo a suo tempo criticato il carattere strumentale. Non ho nessuna nostalgia per il Mattarellum, non abbocco più alla tesi che la democrazia si rafforza solo o anzitutto attraverso strumenti tecnici e l'ingegneria costituzionale ed elettorale. Se manca la consapevolezza e la partecipazione democratica dei cittadini, se non si rovesciano i rapporti di forza nella società, affermare che la crisi della democrazia si risolve grazie al voto nei collegi uninominali o con il ripristino del voto di preferenza significa voler perpetuare un pericoloso inganno (si pensi alle elezioni regionali del 2010 che ha visto, tra gli altri, Renzo Bossi e Mara Carfagna – non esattamente due giganti della politica -  premiati dal voto di preferenza). E' però indubbio che ora la decisione finale sulla legge elettorale, tolto l'impaccio e il 'ricatto' che il referendum volenti o nolenti rappresentava, verrà ancora una volta presa dalle segreterie dei partiti maggiori sulla base dei propri interessi contingenti e senza alcun riguardo alle preferenze dei cittadini. Detto che la governabilità, la rappresentatività e l'efficienza degli Esecutivi origina da fattori che non coincidono se non marginalmente con la legge elettorale, sono convinto che oggi le forze democratiche dovrebbero battersi per un ritorno al proporzionale che ridarebbe voce e visibilità alle tante espressioni politiche oggi escluse dal dibattito pubblico e avrebbe soprattutto  l'effetto di rimettere in sicurezza la Costituzione e restituire alle più alte cariche dello Stato un ruolo super partes e di garanzia che al contrario le distorsioni del maggioritario mettono a rischio. Mi auguro, come scrive Luca Telese, che Di Pietro e Vendola traggano le conseguenze di quanto sta avvenendo e rompano gli indugi e la fideistica attesa (il programma comune dell'alternativa, le primarie)  nelle decisioni di un PD sempre più rivolto all'alleanza con il centro per dare finalmente vita insieme a Ferrero e ai movimenti ad una proposta politica comune, certo minoritaria ma tutt'altro che marginale e ininfluente nel Paese.
La questione del rating, il declassamento dei debiti di diversi Stati europei tra cui Francia e Italia da parte delle agenzie di valutazione tutt'altro che imparziali e affidabili quali Standard & Poors dimostra ancora una volta di più due cose. Che l'austerità, che la macelleria sociale non mettono in sicurezza l'Italia e l'Europa se manca l'intervento delle Istituzioni comunitarie e se la BCE non assume il ruolo che svolgono tutte le Banche centrali del mondo (e di questo appare sempre più consapevole lo stesso Monti, salvo poi continuare a persistere nell'idea che per tornare a sedersi ai tavoli decisionali che contano bisognava presentarsi portando con sé il trofeo delle più tradizionali politiche liberiste).  Che è in atto una guerra contro l'Europa e l'euro da parte di settori della finanza anglo-americana. Chi insiste a parlare di sovranità nazionale e di ritorno alla lira come se queste fossero le soluzioni di tutti i problemi economici italiani dovrebbe tenerne conto.
La settimana che si sta chiudendo è stata anche la settimana del progetto delle liberalizzazioni e dei tassisti. Lavoro da una vita come dipendente, sono figlio di lavoratori dipendenti, sono prigioniero come tanti del traffico romano per poter nutrire istintivamente simpatia per i tassisti (e li ricordo festeggiare l'elezione a sindaco di Alemanno). Ma non dimentico che anche loro sono dei lavoratori. Se la parola equità ha un senso, così come è inaccettabile precarizzare i dipendenti che su di un lavoro stabile hanno pianificato la propria vita o cambiare da un giorno all'altro i requisiti per andare in pensione,  parimenti non si può considerare giusto provocare la svalutazione, senza contropartite e gradualità, dell'investimento di chi ha acquistato a caro prezzo una licenza di taxi.
Per l'amor di Dio, se liberalizzando le licenze ed aumentando il numero dei taxi circolanti si potessero risolvere i problemi italiani e del mondo, raddoppiamole, triplichiamole, centuplichiamole. Ma questa, è evidente, è una battaglia puramente ideologica. E' il tentativo di mettere una categoria contro l'altra. E' il cercare di far credere, ai tanti che magari prenderanno un taxi una volta ogni dieci anni, che è qui in gioco il nostro destino. Una battaglia ideologica come quella di Marchionne sulla riduzione delle pause degli operai Fiat. Il destino che si deve riservare al 99 per cento degli individui è soltanto uno: nasci, produci, consuma e crepa.
La qualità della vita, la coesione sociale, la fiducia nel futuro, la stessa propensione al consumo premessa della tanto invocata crescita, richiedono anzitutto stabilità, garanzie, certezze. L'innovazione, il merito, l'iniziativa individuale devono rispettare, anche per poter esplicare al meglio la propria spinta propulsiva, il diritto alla sicurezza sociale di tutti. Ed invece in nome della competitività si pretende che tutto e tutti debbano diventare precari, che sia indispensabile vivere giorno per giorno nell'incertezza di avere un domani e di poter sapere quale sia.
Quando l'economia, l'impresa, la politica perdono il carattere di umanità e fondano il proprio potere sulla paura significa essere arrivati ad una situazione non più tollerabile. Non ci sono solo i suicidi di Telecom France o delle aziende cinesi di gadget tecnologici, c'è anche il terrificante aumento di suicidi (e immagino anche di malattie dell'anima) in Italia a causa della crisi: di disoccupati, di lavoratori, di pensionati, di imprenditori, di artigiani.
Allora viva la resistenza dei tassisti al pensiero unico liberista!
Infine la cronaca politica di questi ultimi giorni ci consegna la rottura (definitiva?) tra Bossi e Maroni esplosa nella diversa posizione rispetto alla richiesta di arresto di Nicola Cosentino.
Un caso di scuola, da manuale di scienza politica e di teoria dell'organizzazione dei partiti politici, l'evoluzione di un partito carismatico come la Lega di Bossi: non è ammissibile una leadership alternativa e concorrente a quella del Capo.
Ma anche la prova del torbido e tutt'altro che concluso rapporto tra Bossi e Berlusconi, legati l'uno all'altro chissà da quali segreti e interessi fino al punto da  riuscire a far votare i razzisti padani a favore di un presunto camorrista napoletano.

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