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LLAAB #6 - anticipazione

Creato il 02 marzo 2011 da Bekaghein
Funziona.
Dove sei? Sembra la stanza di un ragazzino. Il letto è come appena fatto ed è...beh...davvero comico che tu sia imbavagliato e legato ad una sedia. Dalle ampie finestre entra luce a provocare la tua ombra la quale termina proprio all'altezza della maniglia.
Ti divincoli fortemente fino ad accorgerti che non serve a nulla. Provi a ragionare: come slegarmi? come uscire da questa situazione? Situazione che poi, diciamocelo, francamente non si capisce come sia venuta a crearsi. L'ultimo ricordo che hai è il ritorno in tram. Cos'è che dovevi fare? Cos'è che avevi appena fatto? Non riesci a concentrarti, senti una forte emicrania e lo sconforto ti prende.
Ti arrendi ai nodi e resti, fiacco, in attesa di qualcuno.
Ora invece sei in treno: stai ascoltando la musica ad un volume piuttosto alto e ti senti slegato dal luogo dove sei, ma non tanto il luogo geografico, che è invero l'unica cosa con cui ti senti in contatto, bensì dalla situazione: tu nel treno con altri passeggeri che non conosci, in un viaggio di due ore. E' proprio la tua tendenza ad osservare i graffiti che si trovano nei pressi delle stazioni a riportarti lì dove in realtà sei: una scritta ti strappa un mezzo sorriso. Piuttosto buffo. La ragazza nel sedile di fronte a destra ride piano e ti guarda fingendo di non voler essere vista, riuscendoci pienamente. Fai una delle tue uscite mimiche autoironiche e poi la giudichi: brutta. Torni nel tuo splendido isolamento.
Una secchiata d'acqua fredda in volto e ti risvegli, sei di nuovo nella stanza, imbavagliato, legato, mal di testa. Ci sono due uomini in abito scuro che ti guardano. Uno ha il volto segnato dall'età, i capelli lunghi e viscidi, raccolti in una coda, denti brutti e in buona parte marciti e - oddio, questo no! - una catenina d'oro al collo; l'altro è alto e grosso, capelli ricci e barba di almeno un paio di giorni, la camicia senza gli ultimi bottoni: petto villoso. Non sei molto lucido col pensiero, cerchi di capire quello che stanno dicendo, ma comprendi solo pochi suoni a cui non riesci a dare un senso. Ti slegano, ma ti lasciano imbavagliato e ti bendano. Ti trascinano perché non sei in grado di camminare, tale è il dolere per i lividi dei quali solo in questi istanti ti sei reso conto. Il cuore sempre più affranto, non pompa il sangue per singhiozzare. Ancora una volta cedi.
Stai scrivendo un saggio, non sai di cosa, e sei stanco. Decidi di staccare un attimo e ti concedi una tazza di caffè. Poco dopo sei in giro per la città e trovi un tuo amico, vi salutate e con piglio sicuro raggiungete gli altri per una bevuta in compagnia. La troppa birra di lì a poco ti porta a pisciare, entri nel bagno, ma scivoli, quasi cadi, ma solo quasi.
Vieni sbattuto a terra, sei disorientato dalla presenza della benda davanti agli occhi, ma stavolta hai le mani libere e te la togli, poi fai lo stesso col bavaglio. E' tutto buio intorno a te, fiuti la presenza di altre persone attorno a te, ma non riesci a vederle. Lentamente la tua vista si abitua al buio e conti quanti sono: uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto. Otto persone attorno a te. Nessuno di loro si muove, tu giri in cerchio su te stesso, spaventato, ora riesci a singhiozzare. Il cuore inizia a battere fortemente, si sente un rumore elettrico: ti giri. Una scossa elettrica ti colpisce e in un attimo sei a terra in preda alle convulsioni. Nemmeno il tempo di riprendersi e vieni colpito al fianco da una forte bastonata. Già non eri forte prima, ora sei in pezzi, giacente a terra, privo di ogni difesa. Intorno a te le risa, sempre più forti e grasse, il suono di una zip e qualcuno ti piscia addosso. L'imitazione a volte è un esercizio utile e non sta a noi giudicare se lo è stato anche questa volta, di certo a te non è andata bene: ti ritrovi nel pieno di un amnesia, con una forte emicrania, ricoperto di lividi in una pozza di piscio. L'unica cosa che riesci a fare è sputare fuori quello che ti arriva dritto in bocca e poi sbiascichi una bestemmia. "Come hai detto?" Un calcio violento sullo stomaco "Porca troia mi sono sporcato le scarpe, che merda..."
Lentamente affoghi in una pozzanghera di urina.
Stai pranzando da tuo padre. Ti serve in tavola il pasto caldo che ha preparato con cura: lapensionemiocaro. E' un uomo premuroso. Tu mangi un poco, poi ti alzi dal tavolo e vai in balcone. E' clamorosamente maggio con il suo odore di polline. Un sole già meno introverso illumina i balconi del palazzo a fianco baciando una grassa signora alle prese con i fiori. Dalla cucina tuo padre ti chiama, ché i piatti non si lavano da soli.
E' il puzzo a risvegliarti. Sei completamente slegato e dunque libero, almeno nei movimenti. Ti alzi, ti porti una mano al naso, poi la riallontani: non c'è modo di scappare al tanfo opprimente che ti avvolge. Cammini trascinando un poco i piedi: sembri zoppo. Vai verso una piccola luce, vi arrivi, ti copri il volto per ripararti da essa. Esci dallo stabile: è una vecchia costruzione abbandonata, forse appartamenti, forse uffici. Sei in mezzo al mancato giardino, alcuni steli d'erba arrivano fin sopra le ginocchia. Insetti per terra. Ti guardi intorno, non c'è nessuno. Ti allontani.
Fa un caldo terribile e sudi, i vestiti sporchi ed ancora umidi, la situazione sta diventando opprimente. Scalzo ti ritrovi in un bosco dove si sente chiaramente il rumore di un ruscello. Avanzi, sempre più a stento a causa dell'olezzo, attento a non pestare dove ci si può far male, ma è una cosa difficile data la condizione in cui ti trovi: finisci per tagliarti il piede su una pietra. Urli. Ti fai forza e tiri avanti, più che puoi: il rumore del ruscello è sempre più forte, e là, dopo quella fila di alberi, dove inizia una discesa, sei certo di vederlo.
Improvvisamente una fitta alla pancia, ti pieghi su te stesso, appoggi una mano ad un albero. Stringi i denti e rifiati guardando avanti. Giungi all'ultima fila di alberi e osservi: nessun ruscello. Bensì di fronte ai tuoi occhi si mostra una gigantesca macchina metallica a te sconosciuta. Delle dimensioni di un bus, essa ha molti tubi a vista, è sporca e un po' arrugginita, ma sembra funzionare a regime. Non puoi far altro che girarvi intorno, cercando qualcosa: un cartello, un bottone, delle istruzioni. All'improvviso una folata di vento riporta all'attenzione del tuo naso l'odore che porti appresso. Ti levi la maglietta e la getti distante.
Inizi a colpire la macchina con dei pugni, ma finisci solo per fiaccarti. Inserisci il braccio in una piccola fessura fra una tubatura e l'altra fino a toccare qualcosa di caldo, bollente!, ti ustioni subito e fai per ritrarre il braccio, ma è bloccato. Urli disperatamente nella speranza che qualcuno possa sentirti. Un dolore lancinante e terribile: ritrai fortissimamente il braccio riuscendo a farti spazio e a liberarlo, poi, per una questione fisica, voli un metro all'indietro battendo la testa su della terra morbida, ma svieni egualmente.
Quando ti risvegli il sole è già tramontato, la macchina è ancora lì ferma a produrre il rumore del ruscello con l'aggiunta di qualche bella lucetta.
Il dolore e il puzzo sembrano svanire di fronte alle grandi domande che sorgono rigogliose nelle tua mente. Continui ad osservare il misterioso oggetto: cosa sarà mai ad alimentarlo? chi l'avrà acceso? chi l'avrà fabbricato? chi costruito? chi mantenuto(se è stato mantenuto)?
Non riesci davvero a darti delle risposte plausibili. Sconsolato allarghi le braccia in segno di resa.

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