Non parlo quasi mai di cinema (essendo questo un blog di libri) però stamattina mi è capitato d’imbattermi in una recensione di “Lo chiamavano Jeeg Robot” che tira in ballo la letteratura di genere e quindi ho deciso di fare un post, anche perché il film mi è piaciuto molto.
“Lo chiamavano Jeeg Robot” è il primo lungometraggio del regista Gabriele Mainetti, con interprete il bravissimo Claudio Santamaria che recita il ruolo di Enzo, piccolo criminale di Tor Bella Monaca che durante un inseguimento della polizia cade nel Tevere e viene contagiato da alcuni rifiuti tossici che lo trasformano in un supereroe.
Mi è piaciuto perché trovo che sia la strada giusta per parlare di supereroi in Italia, lontano dagli stereotipi Hollywoodiani. C’è una grande italianità nel cattivo con alle spalle un passato da imitatore a Buona Domenica e nello scontro finale durante il derby Roma – Lazio.
Il film in sé è molto violento, il che non lo rende adatto a tutti (e non parlo di splatter alla Tarantino, ma proprio di violenza cruda e crudele), però è coraggioso e sicuramente da vedere.
Veniamo all’articolo che ho letto stamane sul sito di Internazionale, a cura di Matteo Bordone (questo), che peraltro è un giornalista con cui di solito concordo abbastanza.
Anche la recensione di “Lo chiamavano Jeeg Robot” è molto condivisibile in alcuni punti, ma mi ha lasciata perplessa in alcune parti.
Cito:
“Il cinema di genere in Italia non è mai stato cinema ufficiale, soprattutto perché a noi manca per ragioni storiche una narrativa di genere in qualsiasi forma. C’è un po’ di giallo, ma molto meno che altrove e quasi solo negli ultimi decenni, mentre non ci sono sostanzialmente né fantascienza né horror né avventura. Meglio: tutto questo c’è, ma solo nei fumetti.”
Questa è facile da smentire. La narrativa di genere c’è, solo che viene nascosta da tutto quello che le grandi case editrici le buttano sopra.
“Se non si amano i fumetti, le serie di animazione, le storie di supereroi, insomma tutta la narrazione di genere con la sua capacità di vivere a cavallo tra la normalità quotidiana e l’epica, come nell’immaginazione di un adolescente, non è il caso di andare a vedere questo film.”
Questa è la parte più strana. Lo dico da fruitrice di letteratura di genere (che poi è una definizione che odio) e quindi forse sono un po’ di parte, ma questo a me non è parso un film strettamente “di genere”.
Sì, c’è il supereroe, ma la faccenda si ferma lì.
Batman VS Superman sarà di genere. Questo film, secondo la mia opinione, è molto molto di più. È una rappresentazione durissima della realtà al pari, e forse anche meglio, del cinema impegnato. Sarebbe stato benissimo in piedi anche se Enzo non avesse avuto superpoteri.
Quello che voglio dire è che c’è, come al solito, la tendenza a sminuire tutto ciò che si discosta un po’ dai canoni. Supereroi deve essere per forza = fumetti = roba da adolescenti, ma non è così. È questo che il film dimostra, al di là del fatto che si possono raccontare le storie di supereroi anche in Italia.
Perciò, per favore, se andrete a vederlo staccatevi dal preconcetto che si tratta di un film di genere. Lo apprezzerete molto di più.
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