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Lo Hobbit - Dove tutto ebbe inizio

Creato il 26 giugno 2013 da Loredana Gasparri
Lo Hobbit -  Dove tutto ebbe inizio Mentre attendo che Il Signore degli Anelli torni a casa, per poter riannodare l’oscura conoscenza, rileggo Lo Hobbit, che idealmente è il primo passo del lunghissimo viaggio che porta lo hobbit Bilbo ad impadronirsi suo malgrado di un anello magico, a tirare fuori la parte più avventurosa e selvaggia del suo animo, a scontrarsi con un drago, e partecipare ad un’epica guerra tra razze. Quando sentii parlare per la prima volta di questa storia, che ho condensato in tre righe, mi fu raccontata come favola (ero bambina) e come parte integrante de Il Signore degli Anelli: pensavo davvero che fosse un solo libro. Per cui, passai i primi capitoli a cercare il drago, che ovviamente era già ampiamente morto e sepolto da un’altra parte, mentre l’Anello, l’Unico Anello, era già in scena in casa di Frodo. La prima volta che lessi Il Signore degli Anelli, lo feci con un senso di incompletezza. Cercavo un drago, e loro mi davano Nove Cavalieri Oscuri, che non smettevano di cacciare e terrorizzare il povero Frodo, finché non furono portati via da onde fluviali trasformate in cavalli bianchi invincibili. Volevo sapere chi diavolo era Gollum, e il perché di quel nome grottesco, e nessuno dei personaggi si sbilanciava più di tanto a rivelare qualcosa di questa creatura, dando per scontato e glissando come se niente fosse. Finché non vidi sul catalogo Euroclub Lo Hobbit, o La Riconquista del Tesoro, e non fugai tutti i miei dubbi. La lettura dei libri di Tolkien per me fu l’equivalente della ricostruzione di un mosaico, dopo aver cercato e rintracciato tutte le tessere. Credetti di aver finito la mia esperienza di Indiana Jones del settore, almeno per quanto riguardava i libri, ma poi scoprii un intero mondo all’Università, questa volta su Tolkien stesso. Non era “solo” uno scrittore. Studioso di un certo livello della lingua anglosassone, professore di lingua e letteratura inglese a Oxford, linguista, FILOLOGO e, quasi di conseguenza, glottoteta, o glossopoeta (creatore di linguaggi artificiali, in sintesi). Era uno scrittore demiurgo. Qualcuno che crea mondi, li popola di persone, e dona loro una vita, lingua, cultura proprie. Ero una matricola, già attratta e catturata dal corso di Filologia Germanica, e scoprire che l’autore del mio romanzo pilastro lo era stato a sua volta, e anche ad altissimi livelli, mi galvanizzò e spinse decisamente nella direzione appena abbozzata, che si sarebbe conclusa con una tesi nel campo. Scoprire quelle informazioni su Tolkien, la sua professione e il background culturale al di sotto dei suoi romanzi, me li fece comprendere maggiormente. Era fantasia viva, verosimile, molto più vicina. Le radici di Bilbo sono le stesse che hanno fatto crescere gli alberi della letteratura anglosassone e scandinava antiche, che hanno scelto uno sviluppo più originale, moderno. La trama de Lo Hobbit è piuttosto nota, al pari di molti classici di altri tempi, argomenti e lingue. In una regione di quel paese che è la Terra di Mezzo, vive una popolazione di esseri piccoli di statura, d’indole schiva e pacifica, dediti soprattutto alla vita bucolica a stretto contatto con la natura e ai piccoli grandi piaceri relativi alla buona tavola e alla condivisione con i vicini. Non amano intrattenere rapporti con le altre razze, e sono felicissimi di vivere tutta la loro vita nella loro amata Contea, tra amici e parenti che conoscono perfettamente. Non amano avventure: sono cose pericolose, da cui è necessario guardarsi. Dello stesso parere, almeno apparentemente, è Bilbo Baggins, uno degli Hobbit più rispettati e benestanti della Contea: quando lo sguardo del narratore si abbassa su di lui, è seduto davanti alla porta di casa sua, dopo un’abbondante colazione, intento a fumare la pipa.  

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