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Lo Hobbit. La battaglia delle cinque armate (3D)

Creato il 07 gennaio 2015 da Af68 @AntonioFalcone1
(Movieplayer)

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Nel recensire i precedenti capitoli de Lo Hobbit (Un viaggio inaspettato, 2012; La desolazione di Smaug, 2013) mi ero riservato di esprimere un giudizio definitivo sull’operazione intrapresa dal regista Peter Jackson (anche sceneggiatore, insieme a Fran Walsh, Philippe Boyers e Guillermo Del Toro) nel voler adattare per il grande schermo, diluito in tre film, il breve romanzo di J.R.R. Tolkien (Lo Hobbit o la riconquista del tesoro, The Hobbit or There and Back Again,‘37), una volta che la trilogia fosse giunta a conclusione con La battaglia delle cinque armate. Avevo comunque già palesato la mia delusione, mista ad un certo rammarico, evidenziando come l’eccessivo stemperare narrativo, a partire dal citato Un viaggio inaspettato, avesse apportato, in qualità di unici elementi caratterizzanti, la noia e lo stupore artificioso, senza mai raggiungere le vette di quella felice combinazione fra autorialità e spettacolarità universalmente riconosciuta a Jackson, avvicinando pericolosamente le pellicole alla pletora di altre realizzazioni seriali, per lo più uniformi nell’impostazione complessiva, che si sono susseguite in questi ultimi anni. Le fondamenta di un “sano” intrattenimento, puramente e magicamente cinematografico, sono state quindi costruite sulla sabbia dell’operazione su commissione, assicurando comunque un solido impianto da affidare ai certo floridi mezzi messi a disposizione.

Luke Evans (Movieplayer)

Luke Evans (Movieplayer)

Proprio quest’ultimo capitolo rappresenta, in senso negativo, la classica ciliegina sulla torta, a confermare quanto su scritto: niente prologo introduttivo in apertura, ma un riallaccio senza tanti preamboli al finale in salsa cliffhanger dell’opera precedente, con il drago Smaug a seminare panico e terrore in quel di Pontelagolungo, una volta volato via dal regno di Erebor, sulla Montagna Solitaria. Già dalle prime sequenze l’azione si fa concitata e confusa, inframmezzata da ameni siparietti, prima di arrivare alla scena clou, l’uccisione di Smaug per mano dell’arciere Bard (Luke Evans), del tutto priva, almeno come personale sensazione, di alcuna enfasi drammaturgica.
Intanto Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), una volta entrato nella fortezza di Erebor, appare ormai posseduto dalla “malattia del drago”: cupidigia e bramosia di potere hanno preso il posto di lealtà ed amicizia, sentimenti espressi fino a poco tempo addietro anche verso il fido Bilbo Baggins (Martin Freeman), il cui intervento di valido “scassinatore” si rivelerà ancora una volta risolutivo, mentre si preannunciano prossime grandi battaglie con più forze in campo … La struttura narrativa, registica e visiva (sottolineando in tale ultimo caso un 3D francamente inutile) de La battaglia delle cinque armate si conferma del tutto fedele alle precedenti realizzazioni, con un andamento sin troppo lento, meccanico, vacuamente soppesato.

Richard Armitage (Movieplayer)

Richard Armitage (Movieplayer)

Evidente l’alternanza, anche abbastanza scomposta, fra scene ad alto impatto, almeno nelle intenzioni (la suddetta uccisione di Smaug) ed altre puramente riempitive, ora umoristiche, piuttosto stridenti, ora “rosa” (la storia d’amore fra l’elfo Taurien, Evangeline Lilly, e il nano Kili, Aidan Turner), la quale caratterizza un’ora buona di proiezione almeno, così da preparare il pubblico, ma senza il benché minimo apporto di suggestioni magiche o fiabesche, verso i quadri compositivi delle varie battaglie, impostati però con la creatività propria di un qualsiasi videogame.
Forse solo il finale, dal sapore piacevolmente circolare, conclusivo ed integrante, riesce a dare il senso di una certa consistenza narrativa, ma non cambia però il risultato che è proprio dell’intero impianto, un sottovuoto spinto biecamente commerciale (girare tre film in luogo dei previsti due, quando, mi unisco alle voci di molti, ne bastava solo uno). Ad avviso di chi scrive, Jackson per i canonici trenta denari ha svenduto se stesso e tradito il pubblico più affezionato, consegnando alla mercificazione cinematografica ogni trasporto emotivo propriamente sincero e genuino, nella declinazione di un calcolato delirio d’onnipotenza idoneo ad evidenziare essenzialmente un prodigio tecnico allo stesso tempo possente e maldestro, quest’ultimo aggettivo da attribuire alla mancanza di un qualsiasi afflato, epico ed empatico.


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