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• Allora Flavia: nel tuo romanzo compare, a un certo punto, una frase riferita agli scacchi: «è più facile affidarsi alle mosse degli altri, che rischiare con le proprie». La storia che racconti mi sembra la migliore rappresentazione in forma narrativa di ciò che va predicando ogni scuola di psicologia contemporanea: quello cioè di smettere di riferirsi agli schemi imposti dagli altri per farsi carico della propria vita, accollandosi il rischio di capitombolare: in pratica, stiamo parlando di diventare adulti. Flavia Piccinni, che in Adesso tienimi raccontava una Taranto lambita dai languori un po' «emo» di un'adolescente riflessiva, è diventata adulta? La protagonista di Adesso Tienimi, Martina, era una ragazza che cercava di metabolizzare un lutto: la morte di un suo professore, che in realtà nascondeva una storia d’amore e d’abuso. Soffriva nel modo estremo e incondizionato in cui solo gli adolescenti riescono a fare, senza sovrastrutture, senza paure, arrivando a rischiare tutto, arrivando a perdere la vita, per quell’ideale incomprensibile che è l’amore dei diciassette anni. Martina non aveva gli strumenti necessari per affrontare e superare il dolore di una perdita. Nessuno, né la sua famiglia né il tessuto sociale in cui era cresciuta, erano stati in grado di fornirglieli. Caterina è una ragazza borghese dei giorni d’oggi: adolescente nelle paure, e quindi a volte immatura, ma adulta nelle necessità e negli obblighi. È una ragazza che è costretta a fare i conti con il tempo che passa e con quello che sta diventando, una persona completamente diversa rispetto a quello che sognava da ragazza. E come il tempo ha cambiato Caterina, ha cambiato anche me. Posso dire che un po’ sono cambiata in modo involontario, un po’ desiderandolo fortemente, e a volte, perfino, negando una parte di me. Ma ho sempre seguito il mio istinto, anche quando cercavo di silenziarlo, e non mi sono mai basata sulle scelte degli altri. Ricordo che quando ero ragazzina mi chiamavano capatost’. E devo dire che quello no, quello non è proprio cambiato. • Nel tuo romanzo la famiglia è un'entità in cui, a dispetto di una facciata di linearità, si sedimentano la disgregazione e l'incertezza. Anche in questo mi sembra tu ti sia riallacciata a una tradizione letteraria venata di psicanalisi, hai voglia di raccontarci in quali letture ti sei immersa per scrivere Lo Sbaglio, e perché una scrittrice talentuosa e accreditata come te, sulla quale si concentravano attese di pubblico e critica, ha aspettato così a lungo prima di tornare in libreria? Avevo bisogno di prendermi il mio tempo e così ho preferito fermarmi e aspettare. Cercare di capire io, prima degli altri, cosa volevo da me e cosa volevo raccontare. Volevo scavare oltre la superficie, oltre la sabbia asciutta e quella bagnata, per arrivare a raggiungere l’acqua. O almeno provarci. Proprio come quando, da bambini, ci si impegna per fare una buca: non si smette fino a quando non si intravede il mare. Non so se ci sono riuscita, ma sicuramente ho rispettato quello che volevo raccontare, la storia di una famiglia e di una ragazza che si trovano costretti a fare delle scelte, costretti a smettere di farsi trascinare dalla corrente. In questi anni, come è naturale che sia, ho letto in modo onnivoro, spaziando dai classici russi a quelli greci, la mia passione fin dai tempi del liceo. È difficile tracciare una mappa delle mie letture, più facile farlo con i libri che porto nel cuore e che sono firmati tanto da Flaiano quanto da Patti, Pontiggia e Irene Brin che con il suo Olga a Belgrado costruisce un modello tanto di narrazione, quanto di sguardo sul mondo. • Sei stata una giocatrice di scacchi di ottimo livello e sei divisa tra Puglia e Toscana proprio come la protagonista del romanzo. Quanto di Flavia hai infilato in Caterina? È facile pensare a un autobiografia quando si legge un libro scritto in prima persona, ed effettivamente io e Caterina abbiamo molto in comune, ma ci assomigliamo di più nelle cose in cui sembriamo distanti, che in quelle in cui lo spunto aubiografico sembra chiaro e definito. Abbiamo giocato a scacchi entrambe, è vero, ma per Caterina gli scacchi raggiungono un grado d’ossessione e di follia - quando racconta che era arrivata a un passo dal perdersi nell’universo delle sessantaquattro caselle - che io non ho mai vissuto. E poi lei spesso viene paralizzata dalla paura di sbagliare, fino a quando non si trova davanti a una scelta necessaria. Fino a quando non può più esitare. Ecco, io sono sempre stata molto impulsiva e di queste paure non ne ho avute mai. O, meglio, quasi mai. • L'attualità italiana - e con essa quella di buona parte dell'intero l'Occidente - vede una generazione di giovani persi nel nulla, privati del futuro dai giochi di un sistema politico ed economico destinato allo sfascio. In fondo è quello di cui parla il tuo romanzo: Caterina (ma anche il suo fidanzato, suo fratello e tutti i personaggi sospesi sul crinale della post-adolescenza) si sente essenzialmente inutile, incapace di capire cosa farne della propria vita. Pensi che lo spaesamento che oggi interessa milioni di giovani sia frutto della congiuntura storica oppure lo ritieni un passaggio cruciale e necessario per ogni processo di cambiamento? Per Caterina, proprio come sua nonna cercava di spiegare a Pasolini che le chiedeva delucidazioni in merito al matrimonio, «il discorso è diverso». Caterina vive fuori dal mondo e dal tempo: abita in una Lucca contemporanea chiusa dalle sue mura, in una casa che è una prigione e in una farmacia che è un microcosmo. Per lei la crisi è personale, interna e senza via d’uscita. Caterina, a tratti, è sospesa mentre il resto dei personaggi affonda nella crisi, negli investimenti sbagliati, in un sistema politico corrotto e corruttibile. È certamente una valutazione difficile, invece, quella che mi chiedi a livello più generale. Credo che la situazione italiana, come la vivo sulla mia pelle e come vedo amici e conoscenti sopravvivere, è molto complessa e incancrenita, sostanzialmente prossima alla necrosi. Leggendo la tua domanda mi è venuta in mente una delle frasi più famose di Andreotti: «Meglio tirare a campare, che tirare le cuoia». Ecco, mi pare questa la situazione del nostro Paese e quella di immobilità in cui si trova Caterina. Un mondo provinciale, come provincia è tutta la nostra bella Italia, che cambia - nelle apparenze - per restare sempre la stessa. Vittima felice e infelice carnefice.
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