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Lo scacco matto dell’immaginazione

Da Ultimafila22

Ecco a voi un altro racconto della mia avventura su BluSuBianco, il contest letterario organizzato da Muller e dalla Scuola Holden di Baricco. Come sempre l’incipit era dato dalla coordinatrice, il resto è opera mia. Il mio pseudonimo era Mordecai. Buona lettura…

Incipit

Caterina dice che aspetta ogni mercoledì a partire dal mercoledì sera. Che è il suo piccolo momento di piacere. Io non mi faccio illusioni, però: dice tante cose. Quando arrivo ha già messo al loro posto i pezzi sulla scacchiera e i cuscini, visto che giochiamo sul pavimento e ogni partita dura un’ora o più.
“Non tocca a me il nero” faccio, come ogni volta.
“Si invece” dice lei, accarezzando i suoi pedoni bianchi come se fossero un piccolo esercito del bene. 

di Giacomo Pagone

Caterina ha otto anni, ed io sono il suo migliore amico. Forse l’unico. Sono il suo confidente, e il suo libro delle risposte su un mondo che sente troppo strano e distante.

Fino a qualche mese fa passavo tutti i pomeriggi con Caterina e le tenevo la mano mentre scivolava lentamente tra le braccia di Morfeo. Adesso, però, è diventato tutto più difficile. Da quando i suoi genitori sono morti, Caterina è andata a vivere in un collegio di suore. E’ stato un trauma per lei. Un giorno mi ha chiesto cosa fosse la morte e se pensavo che i suoi genitori fossero volati in cielo, come le raccontava Suor Clara. Non ho saputo rispondere. E’ stata l’unica domanda a cui non ho saputo dare una risposta.

Suor Clara è la suora a cui si è affezionata di più. E lei che le ha insegnato a giocare a scacchi. Ha grandi occhi dolci ed un rassicurante sorriso da mamma che contrasta con il brutto grugno della Madre Badessa.La MadreBadessa, appunto. Tutto è diventato più complicato a causa sua. Ha vietato a Caterina di vedermi, le ha detto che sono cattivo. Suor Clara, tuttavia, avendo trovato la mia piccola amica seduta nella grande camerata vuota a piangere, l’ha rassicurata e le ha permesso di vedermi di nascosto dalla Madre Badessa, ma solo una volta a settimana. Il mercoledì, appunto, l’unico giorno della settimana per cui valga veramente la pena di vivere.

Caterina è una creaturina piccola piccola, ma con un grande sorriso. I capelli biondi e ricci le sfiorano le spalle e circondano il piccolo viso illuminato dall’azzurro mare dei suoi occhioni. Da quando ha imparato a giocare a scacchi non riesce più a farne a meno e ogni settimana cerca di spiegarmi le regole, ma io non le capisco mai. Lei ride di gusto, dice che sono imbranato e ricomincia a spiegare daccapo. Le partite durano un’eternità e immancabilmente mi vedono sconfitto. Ma va bene, in fondo, è l’unico momento che ho per stare insieme a lei.

Questo mercoledì non è diverso dagli altri. Ha già provato a spiegarmi tre volte i nomi dei pezzi dei pedoni, ma continuo ancora a confonderli.

“La Madre Badessaha i baffi”, mi dice e poi scoppia a ridere.

“Strano, i pinguini di solito non portano i baffi”, le rispondo. Scoppiamo a ridere.

Fuori dalla finestra la neve distende il proprio manto bianco sul mondo, e il vento freddo di dicembre urla forte contro le finestre della grande camerata. La maggior parte delle bambine è tornata a casa per festeggiare il Natale con le proprie famiglie. Caterina, però, una famiglia non ce l’ha più. Forse è volata in cielo, come dice Suor Clara, fatto sta che passare il tuo ottavo Natale senza i regali dei genitori, il calduccio della propria casa e i cartoni animati è una cosa che ti fa venir voglia di dar fuoco al mondo. Ma Caterina non sembra preoccuparsene. Continua a pensare alle mosse degli scacchi, mentre col ditino si gratta la testa, indecisa sulla prossima mossa, e dice che ha me con cui giocare e Suor Clara che di nascosto le compra dei regali.

“Sai, ho fatto un cuore con l’argilla, l’ho colorato di rosso e ci ho aggiunto un fiocchetto. Lo voglio regalare a Suor Clara, che ne pensi?”

Sono geloso. Vorrei dirglielo, vorrei che fosse solo mia, ma so che non sarebbe giusto, e allora “E’ molto carino da parte tua” è l’unica cosa che riesco a dire con finta convinzione.

“Da grande voglio fare la scrittrice. Voglio diventare brava come Verne e come Dickens!”. Guardo sul comodino e vedo la copia del suo “Canto di Natale”. Sorrido. Lo legge ogni Natale, e quando ancora non sapeva leggere, lo ascoltava dalla voce della sua mamma.

“Scriverai mai un libro su di me?”

Ride di nuovo. “Certo, stupido! Ogni mio libro avrà te come protagonista. Così ti va bene?”

“Dipende. Voglio essere forte e bello come i principi azzurri delle favole”

“E se invece fossi un rospo? Anche quelli possono trasformarsi in principi!”.

Le faccio la linguaccia e muovo quello che credo sia un cavallo.

“Secondo te come è il mondo fuori da qui?” mi chiede, fissando i suoi pezzi.

“Grande”

“Solo grande?”

“Grande e bello. E brutto. Penso, non lo so. Tu come te lo immagini?”

“Colorato e pieno di persone buone come te e Suor Clara”

Il vento ulula più forte, la sera ha ormai lasciato spazio alle stelle della notte. Nel corridoio si sentono dei passi. Ci guardiamo e capisco che il mio tempo con lei, per quel mercoledì sera, è finito. Suor Clara entra nella stanza e raggiunge il letto di Caterina senza guardarmi. Vorrebbe che non ci fossi, ma sa che Caterina ne soffrirebbe.

“ E’ ora di andare a letto, tesoro”

Caterina abbassa lo sguardo e annuisce. Come vorrei fermare il tempo, come vorrei vivere un’intera vita in ogni secondo passato con lei. E invece non posso. Suor Clara esce dalla stanza lasciando la porta socchiusa. E’ solo andata a preparare una cioccolata calda. Quando tornerà io sarò già andato via.

“Buon Natale Caterina”. Le do un bacio sulla fronte. Natale è domani, ed io non potrò festeggiarlo con lei.

“Buon Natale” mi risponde con lo sguardo basso. Le alzo il visino e la guardo negli occhi.

“Ehi, non fare così, dai. Mercoledì tornerò di nuovo da te”

Allora lei sorride e annuisce forte, e i suoi boccoli dorati saltellano allegri. Le do un altro bacio e mi dirigo verso la porta. Una volta uscito dal collegio mi ritrovo solo. Il vento mi soffia in faccia la neve e congela le lacrime che rigano il mio viso. Non so per quanto ancora potrò vedere la mia piccola amica.

Intanto Caterina, dopo la preghiera della sera, aspetta ancora nel lettino la sua tazza di cioccolata calda. All’improvviso ha un’idea ed un sorriso raggiante le illumina il viso. Scalcia via le coperte, corre per il corridoio e raggiunge le scale. Vuole andare in cucina da Suor Clara e chiederle se domani si può fare uno strappo alla regola e invitarmi. Solo per una volta, solo per domani. Per Natale.

La porta della cucina è socchiusa e Caterina vi si ferma di fronte e prova a spiare dentro. Il sottile fascio di luce che esce dalla porta le illumina il viso, ma deve stare attenta a non farsi scoprire, deve essere brava. Nella grande cucina tutto è immobile. Suor Clara è seduta al tavolo, davanti ad una tazza fumante. Di fronte a leila MadreBadessasfoggia il solito sguardo arcigno. Caterina ripensa alla mia battuta sui pinguini, ma si trattiene e non ride. Avvicina l’orecchio e prova a sentire meglio.

“Ha solo otto anni ed è sola al mondo!” dice Suor Clara, le mani sul viso.

“Non importa. E’ per il suo bene. Non ha fatto amicizia con le altre bambine. Questo perché lei è troppo buona, Suor Clara”

Stanno parlando di me.La Badessadeve aver saputo dei nostri incontri del mercoledì e non vuole più che passi del tempo con Caterina.

“Ma Madre Badessa lei non…”

“Silenzio. Così ho deciso. Caterina ha bisogno di parlare con le altre bambine. Le ordino quindi di toglierle dalla testa quel suo amico immaginario”

No! Non è vero! Io esisto, io sono vivo. Lo sono per Caterina e questo mi basta. Voglio urlare, voglio avventarmi su quella stupida suora e farle vedere che esisto.

Caterina non capisce. Risale frettolosamente in camera e si infila sotto la grande massa di coperte calde. Il suo ultimo pensiero della giornata sarà per me. Io penso a lei e sorrido, ma è tutto inutile. Ormai, nel mondo fuori dalla grande camerata, i miei passi non lasciano più alcuna traccia nella neve.


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