Lo Scemo del Villaggio
di Iannozzi Giuseppe aka King Lear
Lo Scemo del Villaggio era quel che si dice un uomo felice: era il solo che calzava i famosi stivali. Proprio l’unico.
I giorni passavano tutti uguali.
Il Villaggio continuava a sopravvivere, senza che un solo evento di rilievo lo sollevasse almeno un poco dalla sua miseria.
Lo Scemo continuava a vivere felice. E fu felice sul serio per una lunghissima pezza, perlomeno fino a quando non dovette ammettere che nessuno prestava attenzione a quegli stivali cui lui tanto teneva, più della sua stessa anima. Così, un giorno, che non era né di sole né di nuvole, incontrando il Parroco sulla sua strada al suo saluto lui ch’era scemo gli rispose in malo modo. Bestemmiò insomma. Ma il Parroco non batté ciglio e col breviario in mano fece per portarsi avanti col passo.
Deluso lo Scemo lo rincorse e gli chiese spiegazione: “Ma nemmeno un’avemaria!”
“Figliolo, sei scemo. La Madonna non sa che farsene delle tue preghiere”.
“Ma io ho bestemmiato!”, ribatté lo Scemo più che mai confuso.
“Figliolo, la Madonna non sa che farsene delle tue bestemmie: da un orecchio entrano e dall’altro escono”.
Cocciuto più d’un mulo, lo Scemo insistette che meritava d’esser punito, ma non ci fu verso: per il Parroco era solo scemo, punto e basta.
Ben presto lo Scemo del Villaggio si rese conto che qualunque cosa egli facesse, fosse contraria anche alla Legge, nessuno gli badava. Avrebbe potuto uccidere a mani nude il Sindaco che tanto nessuno avrebbe mosso un solo dito per condannarlo. Quella dello Scemo era davvero una condizione miserrima: non c’era in tutto il Villaggio uno che lo considerasse qualcosa più d’uno scemo come tanti. Gli veniva da piangere, perché non c’era davvero altro che potesse fare. E quando un bel giorno, sotto il sole di mezzogiorno, aprì le cateratte in piazza, finalmente una vecchina gli si fece dappresso e gl’offrì un fazzoletto affinché si asciugasse le copiose lacrime. Lo Scemo raccolse il fazzoletto e ci si soffiò il nasone, dopodiché lo restituì alla vecchia che senza scomporsi lo agguantò felice d’aver indietro il suo. Fu in quel momento che lo Scemo comprese che più di così davvero non poteva ottenere da quel Villaggio di vecchi che tutto avevano visto, insensibili oramai a ogni cosa.
Prima che fosse l’alba, quando il buio era ancora fitto, lo Scemo del Villaggio si alzò dal suo grosso grosso letto, s’infilò gli Stivali delle Sette Leghe e sacco in spalla, senza salutare nessuno, si lasciò tutto dietro.
Solo quando fu Mezzogiorno qualcuno cominciò a biasciare piano.
Verso le Tredici finalmente un vecchio lo disse chiaro e tondo: “Lo Scemo ha portato via le chiappe dal Villaggio!”
Tutti i vecchi in piazza presero a ridere spalancando le bocche vuote di denti.
“Ma dove sarà andato?”, si domandò qualcuno.
“E chi può saperlo! Quello aveva gli Stivali delle Sette Leghe. A quest’ora chissà quanto s’è portato lontano”.
E tutti giù a ridere di gusto.
I giorni passarono e il Villaggio rimase seppellito nella sua apatia.
Un giorno un vecchio tirò le cuoia. Lo seppellirono senza proferir parola.
E poi un altro e un altro e un altro ancora… Non passava giorno che un vecchio non ci lasciasse le penne. Il Villaggio stava perdendo tutti i suoi cittadini.
La moria non s’arrestò.
Rimasero sol più il Sindaco e il Parroco ancora in piedi.
“Ma perché sono tutti morti?”
“Le vie del Signore sono infinite”.
“Sì, d’accordo. Ma perché?”
Il Parroco rimase in silenzio per un bel pezzo. Alla fine scosse il capo sconsolato: “Non lo so. Però domani toccherà a uno di noi, e caro buon vecchio Sindaco, con tutto il rispetto che Le porto, in questo momento nemmeno Lei può immaginare quanto vorrei avere gli Stivali delle Sette Leghe…”
Il Sindaco tirò fuori di bocca un lungo “Oh”…
Rimasero insieme, l’uno accanto all’altro, in attesa e guardinghi, entrambi pregando di poter essere l’ultimo ad abbandonare quel piccolo fazzoletto di lacrime.
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