La solitudine notturna di Los Angeles, la disperazione esasperata dalla crisi e la deviazione del sogno superomistico americano non possono che creare incubi, se non mostri. Questo il punto focale di Nightcrawler.
Vediamo il protagonista manipolare tutte le persone intorno a lui, analogamente a come abbiamo di recente visto fare al personaggio di Walter White nella serie capolavoro Breaking Bad: la domanda ovvia è sempre quella di quale sia il limite effettivo tra ciò che viene dettato da necessità, e quindi giustificabile, e ciò che invece viene dettato dal nutrimento eccessivo di una personalità megalomane.
Facilmente si sfocia da una fase all’altra, ma il confine in sé, almeno all’inizio, è un qualcosa di molto labile, il cui unico segno distintivo è probabilmente il piacere (sadico in questo caso) che si comincia a provare in una determinata azione che teoricamente si mette in atto solo per disperazione/necessità. Novello Travis Bickle ai tempi di Youtube e Youreporter, Lou sostituisce ben presto il diritto alla propria sopravvivenza economica e alla vita attraverso una deviazione scellerata e assoluta di diritto alla libertà e alla felicità tramite realizzazione lavorativa (diritti sempre previsti di base dalla Costituzione Americana, sia chiaro), divenendo ben presto dio unico di se stesso.
Affascinanti le ambientazioni, curata la regia, girato praticamente perfetto, ironico e mordente al punto giusto, coerente nella storia e nell’evoluzione dei personaggi, Nightcrawler pecca di un’unica cosa, l’originalità: qualche sprizzo di imprevedibilità lo avrebbe reso perfetto.