Dell'arrivismo e del cinismo il cinema ha già detto molto, come si è già espresso ampiamente anche sul giornalismo e sulle sue morali, tendenzialmente assenti e aggirabili.
Al regista Dan Gilroy questo però importa poco, o perlomeno non lo allontana dal raccontare una storia dove un uomo, a cui le persone non piacciono molto, trova nel mestiere di reporter freelance la strada per il successo, economico come sociale. Chi tuttavia vede in "Lo Sciacallo: Nightcrawler" solo l'ennesima denuncia verso quel cannibalismo giornalistico, disposto a fare qualunque cosa pur di guadagnare share e conquistare il pubblico, sbaglia, non mettendo a fuoco quello che probabilmente è il pregio più rilevante di una pellicola altrimenti arida. Da non sottovalutare infatti è la figura del protagonista Lou Bloom, interpretata da Jake Gyllenhaal: per l'occasione dimagrito molti chili per dare spessore a un personaggio notturno e borderline. La sua è una caratterizzazione particolare, dove l'apparente spaccato da ladruncolo-criminale presentato all'inizio, cambia completamente significato nel momento in cui lo vediamo entrare in contatto con la telecamera, strumento che scopre di sapere usare meglio di chiunque altro, perché - gli viene detto - dotato di occhio particolare.
Quell'occhio particolare è l'indizio con cui il lavoro di Gilroy ingrandisce la sua lettura, modifica la sua forma, con cui si distingue e si allarga. Perché si tratta dell'occhio di chi con il prossimo non è in grado di empatizzare, di chi è capace solo ad usarlo e a sfruttarlo per i propri scopi, e di chi, nemmeno sotto tortura, sarebbe in grado di entrarci in contatto condividendo un briciolo di sentimento. Il rapporto con il suo partner, così come quello che riesce a strappare alla direttrice del giornale a cui vende i girati, vengono stretti non a caso da Lou esclusivamente sotto ricatto, unica arma a disposizione di cui conosce ogni singolo funzionamento e potenza. Il dominio verso il prossimo e le modalità per metterlo in atto, si rivelano ufficialmente quindi gli unici obiettivi per lui da raggiungere più del successo e più del denaro, entrambi effetti collaterali figli dei suddetti propositi.
Prima dell'etica, dell'arrivismo e della crudeltà, la pellicola di Gilroy allora vuole raccontare, con lente neppure troppo invadente, semplicemente qualcuno. Qualcuno sprovvisto di cuore e di emozioni, ai margini e disturbato, qualcuno secondo cui certe azioni non sono né giuste né sbagliate, bensì maniera funzionale con cui approcciare e trovare finalmente la propria dimensione.
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