Sono stato invitato ad esprimermi sullo sciopero della fame dei prigionieri curdi in Turchia (sono più di 600 quelli che da circa due mesi assumono solo vitamine, molti sono ormai in pericolo di vita): lo faccio brevemente, anche se francamente il tema mi appassiona poco.
Innanzitutto, le richieste: fine dell’isolamento per il leader del Pkk Abdullah Öcalan, introduzione del diritto di difendersi in curdo e dell’istruzione in curdo; insomma, non si tratta di uno sciopero della fame per rivendicare migliori condizioni di detenzioni o per denunciare al mondo intero chissà quale gravissimo sopruso. Certo, il diritto di difendersi in tribunale nella propria lingua (anche se immagino che in molti parlino perfettamente il turco) penso debba essere riconosciuto: ma il governo in effetti si è già mosso in questa direzione; inoltre, non credo che un tema importante come la lingua in cui impartire l’insegnamento primario possa essere affrontato tramite un ricatto di questo tipo: soprattutto dopo che comunque sono stati fatti passi in avanti introducendo l’insegnamento del curdo – ma come lingua straniera e opzionale – nelle scuole pubbliche (a mio avviso, l’opzione più praticabile è – ma solo per chi lo desidera – l’insegnamento bilingue, in turco e in curdo: come per le scuole delle minoranze non musulmane).
Restano le condizioni di detenzione di Öcalan: che a tutti sembrano eccessivamente dure (isolamento in un penitenziario su di un’isola nel mare di Marmara, a lui riservato), anche se bisogna tener conto delle misure di sicurezza necessarie per un personggio di questo calibro. Ma anche in questo caso, ha senso uno sciopero della fame per portare a quello che sarebbe comunque un lieve miglioramento? E soprattutto: ha senso uno sciopero della fame con queste richieste, mentre il Pkk – nel sud-est – continua a incendiare scuole e a rapire insegnanti?
Ripeto: le richieste sono in buona parte condivisibili, ma il metodo scelto per rivendicarle non mi sembra quello più indicato.
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