LO SCONTRINO
Secondo molti osservatori e studiosi della vita sociale ed economica, noi italiani ne avremmo scarsa considerazione.
Un primo esempio? Eccolo. Parrucchieri italiani contro parrucchieri cinesi: la polemica dura da qualche anno ed è vivacissima. I primi accusano i secondi di concorrenza sleale (un taglio di capelli costa minimo 16,5 euro contro i 6,00 dei cinesi) e non rispettano le regole.
I costi sono abbattuti perché il più delle volte i cinesi usano lavoratori in nero e non sempre i locali osservano le norme igienico-ambientali. In più i prodotti utilizzati sui capelli delle clienti suscitano dubbi. Il guaio è che un sondaggio di un giornale free dice che una certa clientela femminile preferisce i parrucchieri cinesi. Con le paghe di questi tempi a prezzi stracciati ci si può curare i capelli con maggiore frequenza. E’ come fare la spesa in un discount.
Tuttavia, è singolare che i parrucchieri nostri non puntino sull’unico argomento più, serio e cioè che i colleghi cinesi tagliano i capelli, fanno la messa in piega e coloriture varie spesso senza rilasciare lo scontrino, contravvenendo ad un obbligo di legge.
Sugli schermi Tv corre uno spot criticato ma che non manca di una certa suggestione. Mostra alcuni parassiti delle piante e degli animali e infine chiude con una faccia torva in primo piano, l’evasore X, il vero parassita della società civile. E’ lui, direbbe Monti, che mette la mani nelle tasche degli italiani ed è contro di lui che noi contribuenti dobbiamo agire chiedendo sempre lo scontrino.
Ma non basta ritirarlo, bisogna controllarlo subito.
La poca attenzione al rettangolino è documentata dai controlli della Guardia di Finanza. Un esempio: Napoli. A gennaio è emerso un dato significativo otto negozi su dieci sono stati multati per “irregolarità fiscali”. In soldoni, per il mancato rilascio dello scontrino o per trucchetti vari.
Alcuni bar assoldano ragazzini per inseguire i clienti che hanno appena pagato il caffè. Gridano: «Mi ridate lo scontrino? Tanto a voi che vi serve?» Di solito, questi piccoli questuanti vengono accontentati.
Qui accanto, scontrino fiscale emesso per l’acquisto di cinque ananas a 3,00 euro, in un giorno in cui c’era la finanza “in giro”. http://www.2012lasvolta.it/783/lo-scontrino-fiscale/
Un cronista del Mattino ha segnalato altri due sistemi. Uno riguarda il bancomat: «Si paga con la scheda ma l’orario della ricevuta è diverso di dieci minuti da quello indicato sullo scontrino, dove è più facile battere uno zero in meno. Vai a capire quando è stato commesso l’errore e se si è trattato realmente di uno sbaglio».
Un altro, invece, è la triangolazione, o carosello: «A vende a B, passando attraverso C, che quasi sempre è all’estero. Quindi C sparisce, restano fatture fasulle e la garanzia di abbattere i costi sostenuti da acquirenti e rivenditori. Uno schema complesso, oggi dilagante».
Ma quale può essere, però, la ragione della freddezza del consumatore per lo scontrino? Non potendo detrarre nulla, a meno che non si abbia una partita Iva, lo scontrino che ci viene dato apparentemente non serve a niente.
Ma .
1) Se non lo chiediamo consentiamo al venditore di evadere le tasse e già questo sarebbe sufficiente a pretendere il “pezzettino di carta ingombrante”.
2) Ignorandolo paghiamo al venditore più di quanto dovremmo, giacché l’Iva che va allo Stato in assenza di scontrino diventa maggior guadagno per il negoziante.
3) Senza scontrino si rinuncia alla garanzia di due anni sul prodotto acquistato. Su questo c’è da sottolineare la scarsissima informazione. Conservare lo scontrino per dimostrare che ciò che si è acquistato è difettoso è essenziale.
E il 117 vale sempre? La domanda è legittima perché di recente la Cassazione ha stabilito che le ispezioni fiscali basate su informazioni anonime (sentenza del 22 settembre 2011 n. 19.338), sono illegittime.
Ora, come molti sanno, da sedici anni funziona il 117, numero al quale i cittadini, anche senza fornire nome e cognome, segnalano alla Guardia di Finanza delle anomalie: il mancato rilascio di una fattura o uno scontrino non battuto,
Le telefonate sono in aumento (anonime il 42%) però appare comprensibile il dubbio iniziale. La Guardia di Finanzia però ha chiarito: «Nessun anonimo, neanche al 117, può innescare ispezioni tributarie. Ma qualunque segnalazione dettagliata e con un minimo di verosimiglianza, può costituire un input investigativo, ma deve essere riscontrata attraverso l’incrocio delle banche dati, l’analisi del rischio, le risultanza o i precedenti già agli atti».
Dunque, il 117 vale ancora eccome contro “il cancro sociale” dell’evasione fiscale.