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Lo sguardo lento, meditativo e comunicativo della fotografia

Creato il 26 giugno 2011 da Giuseppecocco @giuseppecocco

Lo sguardo lento, meditativo e comunicativo della fotografiaSpesso, da autore che usa la fotografia per esprimere e comunicare sentimenti ed emozioni, ieri e ancor più oggi, vengo sollecitato a rispondere alla domanda su cosa distingue la fotografia comune da quella con la F maiuscola.

In un mondo diventato iperfigurativo, in overdose di immagini, dove tutti, in un modo o nell’altro, portano con sé giornalmente uno strumento col quale fare fotografie, sia esso una macchina digitale o un telefono cellulare, in una società in cui è stato calcolato che solo facebook, carica 280 mila immagini a settimana, che solo la popolazione americana produce 550 scatti fotografici al secondo con i più diversi strumenti, quale posto spetta alla fotografia come opera d’arte, immagine essa stessa, cosa la distingue e come riconoscerla?

Cosa fa la differenza tra fotografie realizzate a scopi artistici, opere “nobili” appartenenti al mondo dell’arte candidate al superamento dell’oblio del tempo, e immagini comuni, create per scopi funzionali, vittime delle trasformazioni continue della società e dell’oblio?

Se la creatività è un talento democratico che può albergare in chiunque, aldilà delle scelte professionali, se vale per ogni arte, anche per la fotografia ma con un’aggravante: l’apparente facilità di realizzazione e d’uso dei mezzi di produzione.

La creatività è libertà di pensiero e di azione artistici, senza limiti come ben enuncia anche la nostra legge sul Diritto d’Autore:“le Fotografie artistichesono quelle opere Fotografiche in cui è presente un’interpretazione personale del fotografo”. Quindi una prima distinzione: la Fotografia creativa/artistica si dovrebbe distinguere chiaramente perché realizzata con uno sguardo che va oltre la pura visibilità, dotato di intuizione critica e progettuale.

In questo mondo travolto dalla velocità e dal consumismo che porta a cannibalizzare e banalizzare tutto, rendendo superficiali tutti i rapporti a partire dagli oggetti per arrivare ai nostri simili, distruggendo l’affezione, anche le immagini in continuo movimento, scorrendo velocemente senza soffermarsi sulla nostra retina né fissarsi nella nostra memoria, si accavallano si elidono, si annullano. I nostri occhi sono bombardati da 8.000 immagini al giorno; è come guardare paesaggi di passaggio, dal finestrino di un treno ad alta velocità.

Inondati da milioni di immagini, molte interscambiabili, un’altra prova che ci dimostra la validità e superiorità artistica di un’opera fotografica, è quando ci forza a soffermare lo sguardo, ad abbassare il tono di voce ammutolendoci alla sua presenza; immagini potenti, che ci coinvolgono emotivamente portandoci lontano venendo da lontano forse, è con la loro intensità diventano icone, aldilà della loro provenienza.

Oggi che tutto sembra essere attraversato da stimolazioni visive sempre più veloci e frequenti, che ci impedisce di vedere con chiarezza, in mezzo a questo mareeterogeneo, dove tutto è sempre più dominato dall’analogo e la moltiplicazione assume un ritmo sempre più vertiginoso, possiamo vedere nella fotografia, frutto di uno sguardo lento e meditativo, un importante momento di pausa e riflessione che ci offre la riattivazione dei circuiti dell’attenzione. Quindi, bisogna che la fotografia e i suoi autori instaurino nuovi rapporti dialettici, nuove strade, nuovi concetti, nuove idee, per entrare in rapporto con il mondo e la società, cercando modalità di rappresentazione adeguate, per restituire immagini, perché fotografare il mondo sia sempre il modo migliore per raccontarlo e un modo per farlo comprendere. Ricercare una fotografia che riorganizzi lo sguardo, che sappia utilizzare la cross medialità, veloce come le immagini cinematografiche, statica come la rappresentazione pittorica, multimediale, interattiva e telematica.

Forse il segreto sottile che ci affascina della fotografia è quello di essere la perfetta sintesi tra stati di quiete e di movimento e la sua capacità di adattarsi sinergicamente con tutti media.

Come diceva Henri Cartier Bresson “E’ così difficile guardare. Abbiamo l’abitudine di pensare, riflettere sempre, più o meno bene; ma non si insegna alla gente a vedere” questa la missione della fotografia d’autore.


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