Guardare il mondo da un paese governato da regole democratiche può comportare l’inconsapevole tendenza a ritenere scontate alcune delle nostre quotidiane abitudini.
Esprimere le proprie impressioni e convinzioni, nei limiti del decoro e del rispetto dell’onorabilità altrui, fa parte di queste facoltà. Per nulla scontate, tuttavia, ma parte delle insieme delle libertà di un paese libero e democratico. E’ proprio su questo principio cardine di uno stato di diritto che l’esistenza libera degli individui progredisce giorno dopo giorno consolidando il substrato democratico che caratterizza la vita dei paesi occidentali dalla fine del secondo conflitto mondiale. Il ‘900 ha segnato un passaggio epocale, la fine dei totalitarismi e della tragica scia di sangue e persecuzione che li aveva identificati. La caduta della divisione del tutto convenzionale in due blocchi contrapposti da ideologie non allineabili a livello politico e nelle regole di vita dei propri individui aveva aperto ad un mondo nuovo ed ad un futuro dai connotati profondamente diversi.
Lo sviluppo delle moderne tecnologie e dei sistemi di comunicazione su scala globale avrebbe dovuto avvicinare i popoli e consentire ai giovani di conoscersi e comunicare mettendo a confronto esperienze ed impressioni dettate da stili di vita spesso lontani.
In realtà, di fatto, un sistema così veloce avrebbe anche permesso di capire come poi le culture a confronto non erano così lontane e incompatibili. Scenari del tutto nuovi avrebbero aperto la strada a nuove possibilità professionali e sociali.
Viaggiare a basso costo ed avere garantita la connessione internet in quasi tutti i paesi del mondo rappresentava la nuova frontiera della libertà ed un nuovo modo di interpretare la democrazia.
Un sistema partecipativo di tutti i cittadini del mondo sulle questioni comuni e più urgenti avrebbe potuto aprire i confini ad un dibattito interattivo con la suggestione che questo può comportare quando si verifica che alcune delle problematiche di un giovane italiano sono le medesime di un ragazzo argentino, spagnolo, americano e di come la voglia di cambiamento e di uguaglianza rispecchi tutte le latitudini nel nome di un senso di giustizia mondiale.
La sfida di questo inizio di millennio è riportare su di un piano di equità il concetto di uguaglianza distributiva delle ricchezze. Mai come in quest’epoca le ingiustizie a danno dei più appaiono in contrapposta visione con i privilegi dei pochi e le oligarchie di ogni tipo alimentano un potere chiuso, settoriale ed autoreferenziale.
Siamo partiti dal concetto di libertà di pensiero e di democrazia partecipativa. Un italiano nato negli anni ’60 o ’70 è cresciuto in un paese libero in cui tutte le garanzie costituzionali e democratiche sono attuate. Il paese conosce da almeno due decenni enormi difficoltà nella crescita economica e nello sviluppo del sistema occupazionale ma, in ogni caso, siamo liberi e viviamo in un paese libero. Ciò significa esprimere le proprie idee, avere dei progetti e provare ad attuarli. Paese atipico, l’Italia, spesso diviso da una sorta di antiche contrapposizioni culturali e geografiche che risalgono all’epoca medioevale e comunale.
Portiamo avanti queste diversità ma al tempo stesso mostriamo anche ampie prove di solidarietà e coesione quando sentiamo la necessità di sentirci un paese, una nazione che porta con sé il l’orgoglio di una tradizione storica.
Nel pieno dell’estate ci accorgiamo di come le città siano vuote. Nonostante la crisi abbia cambiato le nostre abitudini e ridotto le possibilità, il mese di agosto rappresenta ancora il momento del riposo e delle vacanze. Il traffico si riduce e si passeggia per città deserte. L’eco delle notizie appare più lontano in questo periodo ma gli aggiornamenti dall’Egitto arrivano portando il senso della crudeltà e della tragicità della guerra.
E’ paradossale pensare che al di là del Mediterraneo sia in corso una guerra civile e di come in quello stesso paese vi siano attrezzati villaggi turistici, dotati di lusso e confort di ogni genere, che accolgono centinaia di migliaia di visitatori, chiusi all’interno, non totalmente al sicuro probabilmente, come se la guerra volesse tenete tutto all’esterno.
Forse è sempre accaduto, perché il mondo reagisce così agli avvenimenti tragici, aggiungendo drammaticità alla drammaticità ed illogicità di fronte al terrore.
All’inizio del 2011 i giovani egiziani avevano iniziato la costruzione della primavera araba, quella rivoluzione nata dai social network con la forza e la volontà del rinnovamento alimentato dalla spinta giovanile.
Centinaia di migliaia di giovani, accomunati solo da un incredibile coraggio e dalla determinazione a ottenere un cambio di regime. Erano per lo più studenti universitari senza alcuna speranza di un futuro, consapevoli di non poter trovare un lavoro né formarsi una famiglia, motivati da un'ira indomabile, da un profondo sdegno di fronte all'ingiustizia.
Pareva di tornare indietro di 20 anni, alla fine dei regimi dell’Europa dell’Est e al sogno della libertà che ne era conseguito.
Oggi le strade dell’Egitto sono di nuovo insanguinate. Centinaia di morti, difficile, come sempre in questi casi, averne l’esatto numero. Ci dicono che le chiese bruciano, capiamo che il terrore è oggi la sola forma di governo presente.
Come ha speigato Sharan Burrow - nella prefazione al rapporto 2013 sui diritti globali - Segretario generale dell’International Trade Union Confederation (ITUC), “ siamo di fronte a una storica e finale resa dei conti con il modello sociale che ha contraddistinto a lungo l’Europa, garantendo i diritti del lavoro e delle fasce più deboli della popolazione. Dietro lo schermo delle ragioni economiche e di bilancio si afferma una visione del mondo e delle relazioni sociali e umane diversa da quella che abbiamo conosciuto e che è stata conquistata dalle lotte e dai sacrifici dei lavoratori, dei sindacati, delle forze sociali lungo tutto il secolo scorso”.
Tralasciamo per questa volta le motivazione politiche alla base dei recenti scontri in Egitto. Pensiamo ad un giovane italiano ed un suo coetaneo egiziano. Due vite così differenti, due paesi socialmente e politicamente lontani. Ma quei due giovani hanno le medesime abitudini, le stesse ambizioni, identiche visioni. Nascere in un paese libero fa senza dubbio la differenza, si rischia meno e spesso non si comprende l’enorme privilegio della libertà. Da altre parti per gli stessi diritti si lotta e spesso si deve fuggire. Da altre parti il ferragosto non esiste, l’estate è una stagione, la primavera della libertà è un ‘altra cosa.
Cristian Curella