Lo shutdown del governo Usa incide anche sulla politica estera di Obama

Creato il 15 ottobre 2013 da Pfg1971

Mentre le trattative tra democratici e repubblicani per lo sblocco dello shutdown, la “chiusura” del governo (conseguenza del mancato accordo sul nuovo piano di spesa federale) restano in stallo, gli ultimi residui del “pivot verso l’Asia-Pacifico”, la scelta della Casa Bianca di orientare i principali sforzi della propria diplomazia verso quel settore, si consumano lentamente.

Come ha evidenziato Barack Obama, nel suo discorso alle Nazioni unite del 24 settembre scorso, nel breve periodo, le priorità della sua politica estera saranno essenzialmente due: raggiungere un accordo con l’Iran per fermare il suo programma nucleare e risolvere il conflitto fra Israele e Palestina.

Una prospettiva che sembra aver posto in secondo piano la decisione di rivolgere maggiore attenzione all’Asia e alle sue realtà geopolitiche.

Una decisione dettata, come scriveva nel 2011 l’allora segretario di Stato Hillary Clinton su Foreign Policy, dalla consapevolezza che è in quel settore che si deciderà il futuro del mondo, non in Iraq o Afghanistan, ed era quindi là che dovevano concentrarsi gli sforzi diplomatici americani.

Perché, tra l’altro, scriveva la Clinton, è lì che opera la Cina, un gigante geopolitico ed economico in costante crescita, che gli Usa vorrebbero imbrigliare e contenere, coinvolgendolo nella governante globale.

Dietro l’abbandono statunitense di un corso diplomatico così pregnante vi sono molteplici fattori: in primis l’urgenza delle problematiche mediorientali, con la guerra civile in Siria e le armi chimiche, o le nuove aperture diplomatiche dell’Iran di Hassan Rohani – in grado di produrre un potenziale storico riavvicinamento tra Usa e Iran, ma anche, come scrive il New York Times, la volontà della Casa Bianca di concentrarsi su scenari geopolitici dove una politica di successo garantirebbe all’amministrazione una “legacy”, una “eredità” positiva.

Nuove esigenze in grado di riportare l’attenzione di Washington verso il tradizionale scacchiere mediorientale.

Non c’è dubbio però che anche l’attuale shutdown del governo federale  sta contribuendo in maniera determinante a estinguere quel che resta del “pivot”.

Come ha scritto il Wall Street Journal, la decisione della Casa Bianca di cancellare la partecipazione di Barack Obama al vertice dell’Apec di Bali del 7 ottobre scorso, il summit dei paesi della zona Asia-Pacifico, potrebbe aprire la strada ad un ulteriore incremento dell’influenza di Pechino nell’area, a discapito di quelle piccole nazioni asiatiche che vedrebbero in una maggiore presenza statunitense un mezzo per bilanciare il crescente peso cinese.

Barack Obama è stato sostituto dal segretario di Stato John Kerry, ma la presenza dell’ex senatore non ha aiutato molto.

Secondo Ian Storey, dell’Institute of Southeast Asian Studies di Singapore, l’assenza di Obama in Asia è stato un grave colpo per gli Usa: ha contribuito a dare l’immagine di una nazione fiscalmente irresponsabile e politicamente allo sbando e non così attenta al suo ruolo asiatico come Obama avrebbe realmente voluto.

Come ha scritto anche l’edizione cartacea di Time, mentre avrebbe dovuto essere a Bali a mostrare alla Cina la sua reale intenzione di giocare un ruolo decisivo nello scacchiere asiatico, Barack Obama era seduto alla scrivania dell’Ufficio Ovale, costretto a occuparsi delle trattative con i leader repubblicani per porre fine allo shutdown del governo federale.

Una limitazione che potrebbe rivelarsi fatale perché, come avverte Foreign Affairs nell’edizione di settembre/ottobre, nel prossimo decennio, se la Cina resterà ancora relativamente debole rispetto agli Stati Uniti, per varie ragioni, vi sarebbe un pericolo reale che Washington e Pechino possano restare impantanate in una crisi che potrebbe rapidamente trasformarsi in uno scontro militare aperto.   


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