Gli occhi si aprono con difficoltà. Nello schermo plumbeo sito in qualche luogo della mente mi appare una grande stanza ricolma di letti a castello vuoti. Mi muovo lentamente tra le pesanti coperte e, con il naso freddo, annuso l'aria viziata che puzza di cherosene. Dall'ampia finestra con i vetri malconci fuori la nebbia imperversa. Il mattino.
Ad un certo momento, inaspettatamente, come se ricominciassi da capo il risveglio, osservo le pareti desolate del mio cuarto economico facendo vagare lo sguardo voluttuosamente e senza meta. Sento che sta per arrivare qualcosa di grosso, una sensazione non eccessivamente piacevole si insinua piano piano, partendo dalle strade semivuote là fuori, entrando per il portone dell'hostal e infine penetrando gli spifferi della mia stanza. La domanda arriva nel tepore mattutino come se niente fosse, così, tagliente, bordata di passiva inevitabilità: "Dove sono?"
Un quesito. Due parole.
Lo spaseamento temporale e spaziale cattura la mia mente che non sembra uscire da questo empasse. Per qualche secondo mi sporgo in un limbo vuoto che blocca le facoltà cognitive. Ma poi, lentamente, il puzzle riprende forma.
Ricordo di aver cenato insieme a robusti operai e di aver bevuto del vino a buon mercato. I muratori vengono da provincie vicine; gente cordiale che rutta poche parole. Come piace a me. Poi la signora grassa dell'hostal mi ha messo la stufa in camera e consegnato le chiavi per chiudere la stanza. Il chiavistello era troppo piccolo e quindi ho lasciato la porta aperta, sbattendomene; cosa posso pretendere per settemila pesos, cena e desajuno inclusi? Il cuarto è grande e la stufa odora di cherosene stantio. Sono uscito nel freddo invasivo di una cittadina di provincia simile a tantissime altre. Bar, negozi, uffici, chiese pompose con modesto significato, auto pesanti e vecchi pick-up, gente che cammina in fretta e che parla in una lingua a me familiare. Sempre di più. Sono entrato in un locale e ho ordinato qualcosa da bere. Qualche avventore mi ha guardato con scarso interesse, poi è ripreso a farsi gli affari propri; coppie, persone che leggevano il giornale, altri bevendo in silenzio guardando oltre la vetrata, sulla strada. Ho fatto compagnia a questi ultimi, sorseggiando lentamente il contenuto del bicchiere di vetro consumato, come la cosa più normale di questa terra, pensando a quello che mi attendeva il giorno successivo.
Vagabondare. Non avere casa ed averne molte. Come in un mosaico in continua espansione la mia identità diventa sempre più multiforme, pezzi e pezzi di immagini di mondo si attaccano veloci, troppo rapidamente per riuscire ad inserirli tutti. Caray. Ma forse questo è il sentiero cui sono destinato: senza un paese e ricco di molti attraversamenti spaziali. Durante il viaggio l'anima priva di una terra, spaesata, si libera da ciò che la precisa, postponendo e mischiando tutto quello che porta con sè, disvelandosi nella sua limpida nudità.
Fuori c'è la nebbia. Sotto la trapunta si sta bene, in questo hostal di Talca, Chile.
E' ora di prepararsi per prendere l'ennesimo bus verde della Tur-Bus, cavalcare con altre persone ma sempre in solitudine la Ruta 5 Pananericana, ancora verso sud, verso l'inverno e i suoi venti del Pacifico. La Patagonia è ancora lontana.
Tratto da : travel-ontheroad
Stefano Marcora, 18-01-2010