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Lo sparagmos

Creato il 22 aprile 2010 da Lucas
a Fabristol
«Allora Agave disse: “Su, mettetevi tutt'intorno, Baccanti, ed afferratevi al tronco, in modo di mettere mano su questa fiera che scala le piante, e d'impedire che divulghi i cori misteriosi del dio”. Con mille mani diedero quelle di piglio all'abete, spiccandolo dal suolo. Stava in alto Penteo, e dall'alto cadde rovinando, con lamenti infiniti, al suolo: ormai capiva che la fine era vicina. Prima la madre, ministra del rito, diede principio allo scempio. L'assale. Lui gettò via la benda dai capelli perché, riconoscendolo, la misera Agave s'astenesse dall'ucciderlo. Toccandole la gota: “Sono io, madre - le dice - sono il figlio tuo Penteo, che partoristi nella casa d'Echione. Madre, abbi pietà di me e, per i miei peccati, non uccidere il figlio tuo”. Ma quella, con la bava alla bocca, ruotando le pupille stravolte, priva del normale senno, era preda di Dioniso¹: non riusciva a persuaderla. Poi gli prende il braccio sinistro con le mani, punta il piede contro il costato del misero, e l'omero gli svelle. Tanta forza non l'aveva: fu il dio che aggiunse alle mani vigore. Ino compiva l'opera dall'altro lato, squarciando carni, mentre Autonoe, col resto della turba delle Menadi, incalzava. Non c'era che un gridare: lui che gemeva con quel po' di fiato che gli restava: quelle che lanciavano grida di vittoria². Si portava chi una spalla, chi un piede, addirittura coi calzari. Gli strappi denudavano le costole. Ciascuna, con le mani insanguinate, tirava intorno brandelli di carne di Penteo, come se giocasse a palla. Giace il corpo smembrato, parte sotto le dure rocce, parte fra le macchie profonde della selva: ritrovarlo non è facile. Il capo sventurato, la madre se lo prende fra le mani, confitto in cima al tirso come fosse d'un leone montano, se lo porta per tutto il Citerone. Le sorelle le ha lasciate alle danze delle Menadi. E tutta fiera di quella sinistra caccia, s'è incamminata a questa volta, dentro le mura, ed evoca Dioniso, chiamandolo consorte della caccia, compagno della preda, vincitore. Bella vittoria davvero: di lacrime».
Euripide, Le Baccanti, traduzione di Filippo Maria Pontani, Newton Compton, Roma 2006.

1 la traduzione riporta "Bacco"
2 la traduzione riporta, al posto di "grida di vittoria", "alalà" (eia eia?)

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