Se l’occasione c’è, è possibile tirare le fila della narrazione
da qualunque punto. Per rimanere nella metafora:
arrivo da una qualsiasi presa di corrente, da ogni
spina, alla cabina elettrica. Fa tutto parte dell’argomento,
la si può chiamare “elettricità” o “Dio”, tutto è
collegato e fa parte della storia. Prima di finire nel
vortice, presi dall’impulso della storia (cosa che accade
abbastanza presto) se ne vedono i fornitori e il loro
consumo, le diverse fonti con le tariffe concorrenziali,
si sente il contatore che gira in cantina e nel sottoscala,
scala tramite la quale ogni volta si risale nella storia,
con l’intera rete degli utenti davanti agli occhi.
La poesia invece inizia spesso con un momento al
centro degli eventi, anche nel caso in cui sia incentrata
su una sequenza di suoni o su un certo ritmo.
Induce il suo argomento in modo diverso dal racconto.
Ma può comunque essere narrativa. Dopo aver letto
o ascoltato queste poesie si ha la sensazione che qualcuno
abbia raccontato qualcosa, eppure non si è in
condizione di dire univocamente di che si trattasse,
perché era tante cose insieme. Lo spazio di risonanza
di una poesia non dovrebbe essere meno ampio di
quello di un romanzo. Ogni buona poesia potrebbe
quindi essere il nucleo metaforico, ritmico o gestuale
di un romanzo. Il gesto narrativo realizza la congiunzione
con l’origine del genere, con l’epos e i suoi cantori,
congiunzione che a tutt’oggi non è risolta. Al
termine del suo intervento ad Harvard sulla narrazione,
che racchiude una critica al romanzo moderno,
Jorge Luis Borges dice: «Io credo che il poeta sarà di
nuovo un creatore. Con questo intendo dire che racconterà
una storia e la canterà. E noi non vedremo più
alcuna separazione tra questi due momenti, come non
c’era in Omero o Virgilio».
da La domenica pensavo a Dio di Lutz Seiler, continua a leggere su VDBD