Era una fredda mattina di febbraio. Il cielo era terso e il sole diffondeva un piacevole calore. Seduti in un bar dell’aeroporto, parlavano uno di fronte all’altro sorseggiando caffè. In quel momento la radio stava trasmettendo la voce graffiante di Lucio Dalla che cantava Futura. Nessun’altra colonna sonora sarebbe stata più adatta a quella situazione.
– Non devi partire, dammi retta. – Disse l’uomo, rivolgendosi al ragazzo con tono persuasivo.
– Io devo partire. In Giappone farò carriera. – Obiettò il ragazzo, ma, non ricevendo risposta e dopo un momento di esitazione, continuò: – Ammesso che io ti creda, cosa dovrei fare?
– Non devi partire e basta.
– Ma perché?
– Perché la perderai definitivamente, e non te lo perdonerai mai. Nessuna donna che incontrerai sarà come Matilde. Maledirai questo giorno, credimi.
– Follia! Questa è pura follia. – Sussurrò il ragazzo, voltando lentamente il capo da una parte all’altra, con espressione tetra e inebetita allo stesso tempo.
– Voglio sapere di più!
– Lei si ammalerà. Sposerà, pur non amandolo, un tipo insulso che le offrirà una sicurezza economica. Matilde, schiacciata dalla solitudine, si farà convincere, non foss’altro per non far crescere sua figlia senza un padre.
– Hai detto “sua figlia”?
– Te lo ha detto che è incinta, giusto?
Improvvisamente, il ragazzo fu pervaso da un tremore che aumentò il disagio. Respirava a fatica e, con un gesto rapido, si tolse la sciarpa che gli dava la sensazione di soffocamento. Era stupito, ancora incredulo, ma anche curioso, spaventato. Finalmente il coraggio arrivò e riprese il dialogo: – Sì, me lo ha detto, ma ha aggiunto che il momento è sbagliato e non ha intenzione di portare avanti la gravidanza.
– Balle!
– Scusami, non mi sento molto bene. – Si lamentò il ragazzo, dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua tutto d’un fiato.
– So che è difficile, ma ora devi credermi. Ascolta, Matilde ti ha detto così solo per paura che ti sentissi intrappolato. Sa benissimo quanto tu tenga a questa dannata carriera, che un giorno maledirai per averti fatto perdere tutto, tutta la tua vita. E poi, ciò che ti ha detto Matilde voleva essere una specie di test.
– Test?
– Sì, per vedere come avresti reagito, e invece tu cosa hai fatto? Hai detto che aveva ragione e che non avresti voluto rinunciare alla tua promozione. Coglione!– Vero, esattamente questo, ma…
– Niente ma. Ora spero che tu sia convinto di come stanno realmente le cose.
Il ragazzo continuava ad avvertire capogiri e ora anche un leggero senso di nausea. Aveva la sensazione di vivere in un sogno, ma questo non gli tolse la forza di continuare a parlare.
– Dimmi di più. Cosa succederà?
– Non voglio farti del male.
– Voglio saperlo, per Dio! – Urlò, sbattendo un pugno sul tavolo e attirando l’attenzione dei presenti.
– Ok, ti dirò tutto. Non resisterà. La depressione prenderà il sopravvento e la spingerà al suicidio. Si getterà dal quinto piano della sua abitazione. Cadrà sul tetto della Volvo di suo marito, non morirà subito ma non farà in tempo ad arrivare all’ospedale.
– E la bambina?
– Lei, la piccola Aurora, avrà solo due anni quando la mamma morirà. Il marito è un noto chirurgo e, contrariamente a quanto voleva far credere a Matilde, non gli piacciono i bambini, così la scaricherà ai suoi genitori, due notai tutti d’un pezzo che non sapranno dimostrare affetto alla dolce Aurora. Lei fuggirà dai nonni e se la caverà lo stesso: si laureerà in economia con il massimo dei voti, diventando broker a Londra.
– Santo cielo! – Il ragazzo si accasciò sul tavolo, poggiando la testa sul braccio. Le emozioni che percepiva erano intense, troppo, e lo annichilirono fino a trascinarlo in un pianto disperato che servì a liberarlo dalla tensione che aveva fin lì accumulato. Lentamente cominciò a intravedere una luce, una speranza, una via d’uscita e chiese all’uomo: – Ma tu…?
– Io cosa?
– Come hai vissuto in tutti questi anni?
L’uomo ordinò un cognac, che bevve in un sol sorso. Ingurgitare tutto d’un fiato significava bruciare e cancellare ciò che era stato e che poteva essere diverso.
– Non ho vissuto, mi sono lasciato trascinare dalla vita. Purtroppo, o per fortuna, non ho avuto il coraggio che ha avuto Matilde, ma sapessi quante volte ho pensato di porre fine alla mia sofferenza. Ho conosciuto donne, tante, belle, intelligenti. Non ho mai dormito con nessuna. Pensavo solo a lei. Sono trent’anni che penso a lei e che maledico quel giorno.
– Dov’è? – Chiese il ragazzo, acquistata la giusta lucidità per reagire.
– Se non ricordo male, oggi ha un’udienza, ma per il pranzo è libera.
Il ragazzo si alzò di scatto e andò via di corsa, dimenticando la sciarpa sul tavolino.
Arrivò in taxi davanti al tribunale, e lì aspettò trepidante Matilde per un’ora e mezza, non distogliendo mai lo sguardo da quel portone angusto, fino a quando la vide uscire. Indossava un cappotto doppiopetto, lungo e nero, che a lui piaceva tanto. Lei si voltò come se avesse sentito un richiamo e lo vide. Dapprima i loro sguardi si incrociarono, rimanendo così per lungo tempo, fino a quando anche i loro corpi ebbero modo di incontrarsi.
– Sono stato uno stupido. Lasciarti per la carriera!
Matilde non rispose. Aveva gli occhi inumiditi dall’emozione inaspettata. Ma nel suo sguardo si leggeva tutta la felicità che stava provando, per un amore che pensava perduto per sempre.
– E, naturalmente, la frugoletta la terremo, no?
– Che ne sai che sarà una femmina? – Domandò Matilde divertita.
– Lo so e basta.
– Sai anche come si chiama?
– Sì, la chiameremo Aurora, e sarà bella come la mamma.
Era tutto deciso. Era riuscito a cambiare il corso della sua vita e a dargli un senso. Tutto questo per merito di sé stesso. Sarebbe stato un segreto che non avrebbe mai potuto svelare a Matilde: il segreto di un incontro con sé stesso più vecchio di trent’anni.
Scritto per Gara 19 di BraviAutori “Un incipit da Re” (incipit di Stephen King)
Foto tratta da web (by Shimoda7 – deviantart)