Lo specchio della verità nascosta prima parte

Da Soniab

Particelle di polvere sospese nell’aria, la luce penetrante e debole le rendeva visibili, un odore acre diffuso; la stanza comunicava sospensione e chiusura.   Gli spazi parlano, quello che c’è dentro pure.   Zoe arricciò il naso, si strofinò gli occhi e riportò il cuscino alla testa del letto. Ama dormire nel senso opposto, ma al risveglio tutto doveva tornare al proprio ordine.   Ordine e sistemazione.   Anticipazione, previsione e controllo.   Disordine e caos.   Imprevedibilità.   Contingenza.   Due mondi opposti e mescolati nel groviglio della sua mente, della sua stanza, della sua vita. Un formicolio sotto i piedi, le gambe distese.   La luce filtrata dalla tapparella arrivava a colpire i suoi occhi appena aperti, piccoli.   Il fastidio era come un prurito sotto le palpebre, insopportabile.   Si scoprì, tirò giù il lenzuolo e il corpo nudo fu sfiorato dagli altri raggi di sole penetranti nella penombra. Zoe seduta sul letto, si passò le mani tra i capelli color rame, spettinati. Sentì forte il bisogno di andare in bagno e così, posò i piedi sul tappeto e poi, sul pavimento freddo di marmo.

Il bagno aveva le piastrelle blu, uno spazio di infinità racchiuso in pochi metri quadri. Passò davanti allo specchio sopra il lavello entrando e uscendo.   Lo evitava, come sempre, quando la notte era stata insopportabile.   L’incubo era sempre lo stesso, breve, senza soste, oscuro. Una vertigine in cui perdeva pezzi di sé.   Si fermò davanti al cavalletto, la tela era incompleta, non trovava pace. Segni di tempera coperti, corretti, cancellati. Colore su colore. Macchie. Lacrime. Graffi. Tentare di dare una forma alle scene notturne si stava rivelando inutile. Era più dura del previsto. Ma la salvezza passa per il dolore, come la libertà.   Essere libera da se stessa, da un passato che ignorava, prevedeva che, prima lo guardasse in faccia, riconoscesse e affrontasse.  

Zoe tornò in bagno. Fissò lo specchio. Si lavò la faccia, se l’asciugò con un panno di spugna nera e poi pose di nuovo gli occhi su di lei, lì sul vetro: i capelli si muovevano agitati dal vento, gli occhi si scurivano, la pelle andava schiarendosi . Era vestita di bianco, le pieghe del vestito macchiate di sangue, le mani lunghe e sottili come artigli.  

Zoe continuava a guardarsi, a guardare quell’immagine riflessa. Era lei? Non era lei? Sì che era lei. Ma nella realtà non era così in quel momento… si toccò i capelli, erano immobili, non c’era nessun vento a scompigliarli, in quella stanza dominava l’immobilità, il silenzio.   Si accarezzò il viso, la sua pelle e sapeva che di non essere così bianca come il latte. Sapeva bene anche di che colore erano veramente i suoi occhi.   Scese con le mani sul corpo, non aveva abiti addosso. Si accarezzò i seni, li sentì morbidi, sodi, vivi. L’immagine nello specchio la fissava e Zoe fissava lei. Era una sfida tra due facce diverse, tra due donne diverse, facce di una stessa persona.  

La lotta durava da una vita e stava continuando.


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