Particelle di polvere sospese nell’aria, la luce penetrante e debole le rendeva visibili, un odore acre diffuso; la stanza comunicava sospensione e chiusura. Gli spazi parlano, quello che c’è dentro pure. Zoe arricciò il naso, si strofinò gli occhi e riportò il cuscino alla testa del letto. Ama dormire nel senso opposto, ma al risveglio tutto doveva tornare al proprio ordine. Ordine e sistemazione. Anticipazione, previsione e controllo. Disordine e caos. Imprevedibilità. Contingenza. Due mondi opposti e mescolati nel groviglio della sua mente, della sua stanza, della sua vita. Un formicolio sotto i piedi, le gambe distese. La luce filtrata dalla tapparella arrivava a colpire i suoi occhi appena aperti, piccoli. Il fastidio era come un prurito sotto le palpebre, insopportabile. Si scoprì, tirò giù il lenzuolo e il corpo nudo fu sfiorato dagli altri raggi di sole penetranti nella penombra. Zoe seduta sul letto, si passò le mani tra i capelli color rame, spettinati. Sentì forte il bisogno di andare in bagno e così, posò i piedi sul tappeto e poi, sul pavimento freddo di marmo.
Zoe tornò in bagno. Fissò lo specchio. Si lavò la faccia, se l’asciugò con un panno di spugna nera e poi pose di nuovo gli occhi su di lei, lì sul vetro: i capelli si muovevano agitati dal vento, gli occhi si scurivano, la pelle andava schiarendosi . Era vestita di bianco, le pieghe del vestito macchiate di sangue, le mani lunghe e sottili come artigli.
Zoe continuava a guardarsi, a guardare quell’immagine riflessa. Era lei? Non era lei? Sì che era lei.
La lotta durava da una vita e stava continuando.
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