Ma Zoe voleva vincere. Non aveva mai sopportato le sconfitte. Non l’avrebbe più evitata. Da quella mattina si concedeva ogni volta del tempo per sfidare quella figura. Non la temeva nello specchio del suo bagno, né in quello delle vetrine, né in quello sulla parete del suo bar preferito, né in quello del corridoio di casa di sua cugina. Neppure in quello dei bagni pubblici, stazione, aeroporti, uffici, ascensore… Tutto questo era una persecuzione. E poi quegli incubi non avevano smesso di manifestarsi.
Lo specchio era un confine. Limite tra il mondo di qua e quello di là. Tra presente-passato- futuro. Confine spazio-temporale. Dove si trovava quella Zoe? Zoe non lo sapeva ma era intenta a scoprirlo. La sua tela nel frattempo si era arricchita di simboli e le sensazioni che Zoe provava quando li disegnava erano di paura, ribrezzo ma anche forte energia. Un’energia che non portava con sé nulla di buono. Zoe girava intorno alla tela, illuminata da una lampada. Era buio nella stanza. Si sentì invadere da un vortice, si accasciò per terra. Spalancò gli occhi. Ricordava. Il vento di una tempesta faceva sbattere le finestre della casa, Zoe era raggomitolata in un angolo della cucina, si stringeva il vestito di lino bianco che le aveva cucito la mamma. La mamma le aveva detto di andare in camera, di chiudersi dentro. Zoe però, spaventata non era riuscita a fare le scale, così appena aveva notato quello spazio tra la parete e il mobile in cucina, si era nascosta lì. La sua mamma urlava. Il vento soffiava con violenza. Zoe voleva chiamare aiuto, chiamare il suo papà, ma non era lì. Non c’era nessuno nelle vicinanze. Ad un certo punto non sentì più niente. Tremante si alzò e si avviò verso il salone, vide sua mamma legata, immobile per terra. Era viva. E quell’uomo che di spalle rovistava nell’armadio. La cassaforte, che era stata sempre nascosta da uno specchio, aperta, svuotata. Zoe passò accanto al camino, afferrò uno degli accessori per la legna e lo strinse forte. La madre la guardava con apprensione. L’uomo era ancora di spalle. Zoe lo avvicinò, alzò il braccio e colpì sulla schiena. Quello ebbe un sussulto e urlò e nello stesso tempo in cui si voltò, Zoe scagliò un altro colpo sulla faccia e un altro ancora, ancora. Lui tentò di afferrarla ma non ci riusciva, barcollava e lei infieriva senza sosta, senza controllo. Schizzi di sangue, tagli, rigonfiamenti, quel volto stava cambiando forma. Cadde a terra. Zoe aiutò la madre a rialzarsi. La donna afferrò l’oggetto, si chinò sul corpo dell’uomo, voleva assicurarsi che fosse ormai innocuo, stava per colpirlo… quando notò che perdeva sangue da un orecchio. Zoe aveva ricordato. Si sollevò, andò in bagno. Si guardò nello specchio, pensò al giorno del suo decimo compleanno, pensò al suo abito bianco macchiato di sangue, pensò a sua madre. Aveva rimosso tutto. Ricordava di quel ladro, che si era nascosta e che poi sua madre aveva raccontato di essersi difesa. Tutti avevano creduto alla sua versione. Era Zoe quella nello specchio. Era lei l’assassina. Era l’energia della morte quella che percepiva. Si era riconosciuta. L’opposizione la caratterizzava ancora. Forse, era giunto il momento di scegliere. Angelo della vita o angelo della morte? Chissà come sarebbero stati i prossimi risvegli, sotto la luce soffusa del sole oltre la finestra, tra particelle di polvere nell’aria, in un’atmosfera gelida e dolce…
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