Lo spettro populista sulle elezioni europee

Creato il 30 aprile 2014 da Eurasia @eurasiarivista
Unione Europea :::: Margherita Sulas :::: 30 aprile, 2014 ::::  

I cinquecento milioni di cittadini europei chiamati al voto per il rinnovo del Parlamento Europeo che si svolgerà nel maggio 2014 stanno attraversando una delle più gravi crisi economiche dal dopoguerra, che ha portato alla disillusione verso i partiti tradizionali, colpevoli di non aver adottato le giuste misure per arginarla. L’ondata populista che in questo momento attraversa la quasi totalità’ dei paesi europei ha messo in allarme i politologi che temono che il Parlamento cada in mano dei partiti e dei movimenti antieuropeisti.
Il successo dei movimenti di matrice populista sta aumentando in maniera esponenziale e questi trovano terreno fertile in tutti i settori popolari, specie in quelli poco interessati alla vita politica democratica e con un basso livello di istruzione. Viene poi tracciata una mappa sintetica della geografia dell’antieuropeismo, attraverso i dati delle elezioni locali e nazionali dei maggiori Paesi europei come l’Ungheria, l’Austria, la Francia, il Regno Unito, l’Italia, la Grecia ed infine Germania, Polonia e Grecia.

L’ultima settimana del maggio 2014 i cittadini dell’Unione Europea saranno chiamati ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento Europeo. La ripartizione dei seggi, definita nei trattati europei sulla base del principio di proporzionalità degressiva, prevede l’assegnazione di un numero maggiore di seggi ai paesi con un maggior numero di abitanti rispetti ai paesi di dimensioni minori, nonostante questi ultimi ottengano un numero di seggi superiore a quello che avrebbero ottenuto sotto il profilo strettamente proporzionale. Per queste elezioni il trattato di Lisbona prevede quindi, per ogni paese, un numero di deputati per il Parlamento europeo che varia da un minimo di 6 per paesi come Malta, Lussemburgo, Cipro e Estonia fino a 96 per la Germania.
Il ricorso a una forma di rappresentanza proporzionale, elemento comune ai diversi sistemi elettorali presenti all’interno dell’Unione Europea, fa in modo che tutti i partiti politici abbiano la possibilità di vedere eletti un numero di rappresentanti in funzione del successo elettorale riscosso. I deputati che verranno eletti al Parlamento europeo avranno la possibilità di aggregarsi a gruppi politici transnazionali, il più forte dei quali avrà di conseguenza un peso determinante sulle decisioni che saranno adottate nel corso della nuova legislatura. Il Consiglio Europeo dovrà, infatti, tener conto dei risultati elettorali quando dovrà procedere alla designazione di un candidato alla carica di Presidente della Commissione Europea, organo esecutivo dell’UE.
Sulla scia di questa premessa occorre sottolineare come gli oltre 500 milioni di europei che saranno chiamati alle urne in maggio stiano vivendo una delle più drammatiche crisi economiche del dopoguerra, caratterizzata dalla disillusione verso i partiti tradizionali, dimostratisi incapaci di arginare l’ondata populista che in questo momento sta attraversando la quasi totalità dei paesi europei.

La minaccia populista ed euroscettica

Dalle più fosche previsioni dei politologi europei si evince il timore di un Parlamento europeo in mano ai partiti anti-europei. Tra i leader nazionali serpeggia la paura del concretizzarsi di questa eventualità: l’ex capo del governo italiano Enrico Letta, in un’intervista al New York Times rilasciata nel mese di ottobre, è stato tra i primi a dare voce a questi timori (1), rilevando come l’ascesa del populismo, definito come il principale problema sociale e politico europeo, minacci la stabilità sul continente, minando gli sforzi che si stanno compiendo per rafforzare le istituzioni politiche e finanziarie dell’eurozona. Letta aveva posto l’accento sull’ingestibilità della prossima assemblea continentale qualora gli euroscettici ottengano più del 25% dei seggi; nel fare questo, ha richiamato i colleghi europei all’impegno affinché si eviti quella che si preannuncia come «una legislatura da incubo» (2).
Nel caso specifico dell’Italia occorre rilevare come in diversi momenti del dopoguerra siano state presenti campagne contro la classe politica, le istituzioni e i partiti politici (3). Si tratta di battaglie contro la partitocrazia condotte da formazioni politiche diverse tra loro, come l’Uomo Qualunque di Giannini o il Partito Radicale di Pannella, le quali, nonostante un successo iniziale, non hanno modificato in maniera significativa il sistema dei partiti e la cultura politica degli italiani (4).
La mobilitazione dell’antipolitica che si sviluppa a partire dagli anni Novanta del secolo scorso ha avuto, infatti, un ruolo decisivo nella crisi della cosiddetta Prima Repubblica, dando inizio ad un nuovo sistema dei partiti e all’affermazione di nuovi stili di comunicazione politica (5). All’interno di tale ragionamento, sarebbe necessario chiedersi come mai la mobilitazione populista di questi anni in Italia non sia stata condotta da un partito della destra tradizionale come il Movimento Sociale Italiano, vicino al francese Front National per storia e tradizione ideologica, bensì abbia fatto emergere partiti come la Lega Nord (6) e successivamente Forza Italia (7).
Occorre però sottolineare che sia in Italia, che negli altri paesi europei, la proposta politica delle formazioni populiste ha ruotato intorno a tre cardini fondamentali:
- la delegittimazione dei partiti e della vecchia classe politica, che si estende alle istituzioni della democrazia rappresentativa e sostiene la valorizzazione delle forme di democrazia diretta e plebiscitaria affidano a un leader il compito di interpretare la volontà popolare. Nel caso italiano l’ascesa del Movimento Cinque Stelle e la carismatica e onnipresente figura del leader Beppe Grillo ne possono essere un esempio tanto lampante quanto inquietante.
- un’idea di una massa costituita da gente comune, incline ad impegnarsi politicamente e fortemente diffidente dalle idee proposte attraverso le élite economiche, politiche ed intellettuali e i paesi di appartenenza.
- il collegamento tra la crisi economica e le trasformazioni sociali indotte da questa alla presenza dei numerosi migranti provenienti dal Nord Africa ai quali vengono imputate responsabilità come l’aumento della criminalità, l’inefficienza dei servizi sociali e il degrado delle aree urbane (8).
Da quanto detto emerge come il percorso verso una via autenticamente democratica incontri difficoltà crescenti a causa della globalizzazione dell’economia e della comunicazione, dell’indebolimento degli Stati nazionali, della crescente influenza, rivelatasi spesso dannosa, del sistema dei media nella vita politica e in generale della crisi del ruolo di mediazione dei partiti di massa (9).
Il populismo, in quest’ottica, si manifesta come un fenomeno transitorio, sia che caratterizzi un movimento sociale o un regime politico, e si incarna in forme di transizione che possono essere pacifiche o caotiche, costituendo un organismo sociopolitico instabile, dal significato indeterminato (10).
Il populismo ha, inoltre, la caratteristica di identificarsi come un “contenitore trasversale” per movimenti politici di vario tipo (di destra come di sinistra, reazionari e progressisti, e via dicendo) che trovano un punto di incontro sulla retorica del rifiuto delle oligarchie politiche ed economiche e nell’esaltazione delle virtù naturali del popolo, massa socio-culturalmente indefinibile, quali la saggezza, l’operosità e la pazienza.
È pertanto matematico l’aumento esponenziale del successo dei movimenti di matrice populista nei momenti di crisi profonda e sfiducia nella classe dirigente al potere, quando cioè il patto tra classe dirigente e popolo viene disatteso e quest’ultimo cerca una soluzione opposta che percorre una nuova via politica che nasce dall’antipolitica. Un esempio calzante è certamente l’affermazione di fenomeni come il grillismo in Italia, prima mediatici e solamente in seconda battuta rappresentativo-istituzionali. Il grillismo del Movimento 5 stelle, rappresenta in effetti un’ulteriore evoluzione di populismo mediatico, che ha saputo fare della rete di internet il principale canale di comunicazione e diffusione delle proprie battaglie, dando vita a una realtà che una volta raggiunta la ribalta nazionale e istituzionale, cavalcando il grave malcontento generato dalla crisi, non è però riuscita a palesare il suo peso decisionale e programmatico nel governo del paese (11).
Per avere una dimensione di quanto gli orientamenti e gli atteggiamenti populisti siano penetrati nel nostro paese e di quanto si siano legati alle posizioni politiche e alle tradizioni culturali che lo caratterizzano, occorre tenere conto di una serie di indicatori fondamentali. Si pensi, ad esempio, all’ampiezza della mobilitazione dell’antipolitica, basata sul risentimento nato dalla sensazione di essere stati espropriati della sovranità popolare e di tradimento dell’idea del popolo sovrano (12). Si dovrà valutare inoltre la dimensione della mobilitazione dell’ostilità nei confronti degli immigrati extracomunitari, di come i poteri politici siano criticati per la mancanza di tutela delle caratteristiche etnoculturali del popolo e per il tradimento dell’idea di popolo-nazione (13). Il principio di rappresentanza, che era stato proposto per primo dal Front National, è stato adottato infatti da tutte le formazioni populiste, che sostengono la priorità nazionale per la titolarità dei diritti e l’accesso alle risorse locali. Anche in questo caso l’esempio italiano può essere preso come riferimento: basti pensare alle polemiche scoppiate all’indomani del gravissimo naufragio di decine di immigrati dell’ottobre 2013 a Lampedusa, evento drammatico che ha portato sotto gli occhi di tutti il fallimento delle politiche italiane ed europee in tema di accoglienza.
Dovrà essere considerata infine la necessità di una figura autorevole carismatica, che trova espressione nel particolare ruolo attribuito ai leader populisti: in quest’ottica le regole e le procedure della democrazia formale non sono ritenute all’altezza per esprimere l’autentica volontà popolare, che può essere gestita esclusivamente da un leader forte (14).
Dalle analisi statistiche effettuate (15), emerge poi come la diffusione delle idee populiste sia stata maggiore in quei settori della popolazione poco interessati allo svolgimento della vita politica democratica, e come questa diffusione sia stata più ampia nei settori della popolazione con un livello di istruzione più basso. In generale è stato possibile osservare come la penetrazione delle diverse dimensioni degli orientamenti populisti, individuate nell’etnocentrismo, nell’antipolitica e nella domanda di autorità, sia stata rilevante in tutti i settori popolari: operai, lavoratori autonomi, disoccupati, casalinghe e pensionati. Tali segmenti sociali sono stati in molti casi raggiunti e parzialmente coinvolti dalle formazioni politiche populiste, per le quali il sistema dei media ha svolto la funzione di cassa di risonanza nelle diffusione delle tematiche e delle idee tipiche di questi movimenti di protesta (16).

Una geografia dell’antieuropeismo

Una volta compiuta questa premessa, occorre prendere atto del fatto che tutti i partiti populisti stanno riscuotendo inaspettati successi nelle elezioni locali e nazionali in quasi tutti i paesi europei: Ungheria, Austria, Francia, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Grecia, Germania, Polonia e Belgio. Nulla vieta di pensare che alla chiamata alle urne del maggio 2014 gli elettori europei potrebbero rispondere riversando i loro consensi su tali formazioni, arrecando un grave danno alla stabilità continentale per come si è espressa in tutti questi anni. Nonostante la geografia dell’anti-europeismo sia molto varia e spesso contraddittoria, cosi come le fortune elettorali e demoscopiche di nazionalisti, populisti ed estremisti non sono stabili, ma cicliche, per i motivi sopra elencati, possiamo tentare un’analisi dei diversi movimenti euroscettici presenti nelle varie nazioni dell’Unione Europea e cercare di prevedere quale sarà il loro atteggiamento all’indomani dell’esito elettorale europeo.

L’Ungheria di Viktor Orban

L’ Ungheria, storicamente divisa tra le grandi potenze d’Occidente e dell’Oriente per gran parte della sua storia, si trova oggi tra una Unione Europea in declino e una Russia apparentemente più forte e assertiva. Qui il Fidesz-KDNP ha ottenuto alle elezioni del 2010 la schiacciante maggioranza del 52,73%, conquistando due terzi dei seggi in parlamento, che gli sono stati sufficienti a modificare la costituzione nel 2011. La linea politica del leader Viktor Orban suscita di volta in volta speranza o indignazione negli osservatori internazionali, i quali fanno fatica a comprenderne l’enigmaticità, ed è spesso rivolta a mostrare il fallimento del modello europeo post-nazionale che non ha saputo garantire le stabilità economica e politica prospettate all’inizio. Le sue politiche più discusse vanno dalla nazionalizzazione dei fondi pensionistici privati e delle attività energetiche strategiche al tentativo di neutralizzare il settore giudiziario. L’intento è chiaro: concentrare il potere nelle mani dello Stato e migliorare la posizione di Budapest per l’apertura verso la Russia, che Orban giudica inevitabile. La linea politica adottata da Orban e dal Fidesz si scontra con gli ideali liberisti di Bruxelles e l’accanimento dell’Europa contro i suoi metodi non fa che alimentare il suo consenso interno. Nonostante queste premesse è molto improbabile che l’Ungheria possa scegliere di uscire dall’Unione Europea, con la quale sussistono strettissimi rapporti economici, dai quali dipende la quasi totalità dell’apparato produttivo nazionale.

L’Austria di Heinz Christian Strache

In Austria, l’ultranazionalista Freiheitliche Partei Österreichs fondato da Georg Haider ha recentemente conquistato oltre il 20% dei voti nelle elezioni nazionali. Heinz Christian Strache, leader del partito di ultradestra Fpoe, sbandiera sicuro il suo euroscetticismo e si dice convinto che gli europei non vogliano una Ue centralista, bensì più libertà e sovranità nazionale. Cresce sempre più forte il desiderio di un’Europa delle Patrie, e non di un’Europa che ordina e decide tutto dall’alto, lontana dalle persone che ci vivono come quella attuale.
Heinz Christian Strache assume il francese De Gaulle ad esempio e denuncia la pericolosa tendenza centralista dell’Unione Europea. Egli sostiene che i Trattati di Maastricht e Lisbona, insieme al Patto di stabilità, siano stati violati in disprezzo del diritto internazionale e che l’idea di assumersi debiti di altri paesi vada contro ogni concetto di diritto. Una tendenza che ha perso ogni credibilità e che viene vista in antitesi al suo concetto di Europa, che vive e ha sempre vissuto della molteplicità di culture lingue e popoli.
Il politico austriaco auspica un’unione delle destre patriottiche europee, si dichiara apertamente contro una presunta islamizzazione dell’Austria e dell’Europa in rispetto dei valori cristiani e occidentali, nonché contro la moneta unica europea, che reputa essere un esperimento fallito e un pozzo senza fondo tra responsabilità comune dei debiti, tassi bassi e rischio inflazione e alta disoccupazione. Secondo la sua visione la presenza di valute diverse creerebbe uno sviluppo europeo molto più pacifico per i paesi deboli, i quali potrebbero svalutare, e per i ricchi, che a loro volta potrebbero rivalutare.

La Francia di Marine Le Pen

Secondo i sondaggi più recenti il Front National di Marine Le Pen sarebbe oggi il primo partito in Francia, al 24 %, posizione confermata al ballottaggio delle elezioni cantonali di Brignoles, dove il candidato del Front National ha battuto quello dell’Ump. In molti in Francia iniziano ora a chiedersi se alle elezioni locali ed europee di quest’anno il Front National amplierà ulteriormente i suoi consensi, che gli permetterebbero di porre in atto le premesse per una clamorosa vittoria nella corsa per l’Eliseo del 2017. Anche in questo caso occorre fermarsi un attimo a riflettere sulle motivazioni che stanno alla base del grande favore incontrato dalla destra di Le Pen figlia che ci permetteranno di trovare i punti in comune con gli altri movimenti nazionalisti e populisti europei.
Il Front National ha certamente cavalcato l’onda di risentimento popolare che accomuna i diversi Paesi europei, capace di mischiare sapientemente elementi di euro-scetticismo a una forte componente nazionalistica. Ha fatto della critica contro le caste politico-industriali corrotte il suo cavallo di battaglia, e attraverso posizioni autarchiche e protezionistiche, che contemplano l’uscita dall’euro, vuole riappropriarsi della sovranità perduta (17).
La Francia si caratterizza per un panorama politico a suo modo peculiare, quella Quinta Repubblica figlia di De Gaulle dove sembra non esserci spazio per posizioni politiche che invochino un minor peso dello Stato nell’economia e dove Hollande ha fatto portare al 75% l’aliquota marginale dell’imposta sui redditi, poi dichiarata illegittima, prima dal Consiglio Costituzionale e poi dal Consiglio di Stato nel marzo 2013.
Mentre la popolarità di Hollande scende ai minimi storici, Marine Le Pen tenta il sorpasso con il suo partito che acquista una nuova spendibilità attraverso l’abbandono dei riferimenti storici e politici del vecchio neofascismo e la conquista delle fasce medie e medio-basse dei salariati e delle imprese individuali, piccole o medie a basso valore aggiunto.

Il Regno Unito e l’United Kingdom Independence Party di Nigel Farage

Nigel Farage è l’elemento di spicco del britannico Ukip: ricopre le cariche di deputato europeo e di presidente di Europe of Freedom and Democracy. All’inizio della sua carriera politica Farage nasceva come conservatore, ma se ne allontanò quando i Tories nel 1992 riconobbero il Trattato di Maastricht, sicché nel 1993 sarà tra i fondatori dello Ukip. Il partito conquista nove seggi su settantatre a disposizione dei sudditi di Sua Maestà nel Parlamento Europeo e fa dell’indipendenza del proprio paese dall’Unione il suo principale obiettivo, ponendosi come il maggiore movimento euro-scettico britannico, confluendo a Bruxelles nel gruppo “Europa della Libertà e della Democrazia”, di cui fa parte pure l’italiana Lega Nord. Anche l’Independence Party si pone come obiettivo principale quello di preservare la sovranità nazionale inglese, minata dai progetti di centralizzazione del Consiglio Europeo.
Proprio il Presidente del Consiglio Europeo, Herman Van Rompuy, è stato accusato da Farage di essere la causa del ribaltamento del governo greco e di essere stato il responsabile dell’insediamento di Mario Monti in Italia, in accordo con i dettami della tedesca Merkel, altra grandissima nemica dell’Ukip che fa della battaglia alle strategie economiche tedesche la sua punta di diamante.

L’Italia del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo

Dei movimenti populisti in Italia si è già parlato in questa sede. Vale la pena soffermarsi sull’affinità di propositi e intenti è rilevabile tra il britannico Nigel Farage il pentastellato Beppe Grillo: l’Europa di burocrati da combattere, il dominio delle banche da contrastare, la fine della sottomissione all’area tedesca e dell’intromissione della BCE nell’organizzazione sociale e statale di ogni paese. In ultimo la battaglia delle battaglie: la netta opposizione alla moneta unica europea.
Il politico inglese si è speso in diverse occasioni nell’elogiare l’operato del leader del M5S, al quale riconosce il merito di aver svegliato un’intera nazione dal torpore che la vedeva schiava dei suoi apparati politici. Un’intesa che potrebbe rapidamente trasformarsi in alleanza all’indomani delle elezioni per il parlamento europeo del 2014.

La Grecia di Alba Dorata e Syriza

Secondo un sondaggio condotto dal portale ellenico Zougla.gr su un campione di 1437 persone dall’11 al 14 novembre 2013, se si fosse andati a votare l’indomani i neonazisti di Alba dorata e gli anti-europeisti di Syriza – insieme – avrebbero raccolto la maggioranza assoluta dei voti. A determinare il malcontento che sta alla base di questi risultati possiamo certamente collocare gli ingenti tagli dovuti alle misure imposte ad Atene da Bce, Fmi e Ue, che avrebbero dovuto ridurre il debito pubblico e che in molti casi hanno messo in ginocchio e affamato i cittadini con le drammatiche immagini alle quali i media ci hanno abituato in questi mesi. Se poi aggiungiamo a questo clima di tensione esasperata lo sgombero dell’ex sede occupata dell’Ert, unitamente alla possibilità di nuove riduzioni di stipendi e pensioni e, limitatamente a quanto riguarda i dati di Alba Dorata, l’attentato che il primo novembre scorso ha portato alla morte di due militanti della destra estrema di 22 e 27 anni, riusciamo a comprendere appieno le motivazioni che stanno alla base dei risultati di questo sondaggio.
Nello statuto di Alba Dorata troviamo tutti gli elementi che caratterizzano i movimenti nazionalisti e populisti ai quali abbiamo già accennato. Il nazionalismo, visto come «unica e vera rivoluzione», l’avversione verso la «partitocrazia tradizionale», la ferma condanna della plutocrazia delle banche e della finanza internazionale uniti a un forte statalismo. Infine viene sottolineata, tra gli obiettivi del partito, l’uscita dall’Unione Europea e la lotta serrata ai «poteri occulti internazionali che opprimono il popolo greco» (18).

Alternative für Deutschland, Sprawiedliwość, Vlaams Belang

L’ascesa degli estremisti antieuropei non risparmia neanche Germania, Polonia e Belgio, ove troviamo rispettivamente i movimenti Alternative für Deutschland, Sprawiedliwość e Vlaams Belang, che in poco si differenziano da tutti i movimenti elencati in precedenza, ai quali sono accomunati dall’obiettivo di portare i Paesi di appartenenza fuori dalla moneta unica europea. A questi potremo aggiungere a buon diritto lo xenofobo Partij voor de Vrijheid di Geert Wilders, attualmente in testa nei Paesi Bassi. Quest’ultimo ha definito l’Unione Europea uno «Stato nazista», sottolineando la necessità per il suo popolo di liberarsi dal gioco mostruoso di Bruxelles, e ha avviato con Marine Le Pen la costruzione di un’alleanza in chiave anti-europea per le elezioni del maggio prossimo. I due, che si sono incontrati a l’Aja, hanno dichiarato in una conferenza stampa di voler riunire all’interno dello stesso gruppo parlamentare europeo tutti i movimenti schierati contro l’Unione.

Conclusioni

Analizzate le premesse, è facile prevedere nella tornata elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo un balzo in avanti significativo della destra populista, nazionalista e anti-europea.
Le conseguenze di questa avanzata si possono già esaminare a livello locale, dove i partiti di centrodestra guardano all’uscita dall’Unione Europea con crescente trasporto. Il Regno Unito, ad esempio si prepara a votare per uscire dall’Unione europea con un referendum. Una svolta storica che risponde alle richieste degli euroscettici del partito conservatore guidato da David Cameron, che ha ottenuto, con 304 voti a favore, il via libera per il referendum che si terrà entro il 2017. Il provvedimento per la consultazione referendaria, tuttavia, non è vincolante e il prossimo governo, qualora non fosse guidato da Cameron, potrebbe revocarne la disposizione. Il risultato raggiunto dal partito conservatore di David Cameron genera un precedente al quale gli altri governi europei si dovranno loro malgrado adattare.
In questa particolare congiuntura economico-sociale, caratterizzata dalla crisi e dalla forte pressione sulle istituzioni europee, potrebbe scatenarsi un’eco che da Londra arriva a Parigi, a Lisbona e magari a Roma, dove l’insofferenza per le strategie economiche delle Merkel non si limitano ai grillini ma si estendono a tutti i partiti di centrodestra.
Possiamo comprendere quindi per quali motivi da Bruxelles si guardi alle elezioni del maggio 2014 con tanta preoccupazione, in un momento nel quale il gradimento per l’Europa ha toccato i minimi storici e i partiti populisti anti-euro e anti-Unione Europea non erano mai sembrati cosi forti. Tutti i partiti e i movimenti dei quali abbiamo parlato, dall’Italia alla Germania, dall’Ungheria alla Polonia, guadagnano consensi nei sondaggi e nelle elezioni locali. Il rischio che il Parlamento europeo si riempia di euroscettici, pronti a far guerra a ogni proposta e a paralizzare l’assemblea che spesso vota a maggioranza qualificata non è un timore infondato, ma si poggia al contrario sulla concretezza dei dati raccolti.
Se questi partiti riusciranno a mobilitare una fetta significativa dell’elettorato attraverso la protesta, vincendo così il nemico rappresentato dall’astensionismo, potrebbero rappresentare la novità delle prossime elezioni e dare corpo al peggiore incubo di molti governanti europei. Tutto dipenderà inoltre dalla loro capacità di formare una coalizione pre, ma soprattutto post elettorale, costituendo un gruppo unico nell’Europarlamento. Elemento non trascurabile dato che tra queste diverse formazioni politiche sono presenti marcate differenze: mentre alcune si collocano su posizioni più conservatrici, altre hanno inclinazioni nazionaliste e xenofobe.
Non sarà certo semplice mettere d’accordo movimenti apertamente anti-clericali come Syriza con altri che sono invece ultra-cattolici, come ad esempio Prawo i Sprawiedliwość. Un altro tema scottante è quello delle unioni omosessuali che trovano il consenso di Partij voor de Vrijheid, ma si scontrano con la ferma opposizione della Lega Nord. Sarà ancora più difficile infine mettere d’accordo i filo-israeliani del Partij voor de Vrijheid con i filo-palestinesi del Front National.
In conclusione, ci avviamo verso l’ingovernabilità del Parlamento Europeo, qualora i partiti euroscettici riescano veramente a capitalizzare la maggioranza dei 751 seggi in palio alle prossime elezioni, con conseguenze che non devono essere sottovalutate in quanto minerebbero l’assetto interno di tutti i Paesi interessati.

Margherita Sulas (Oristano 1982) ha conseguito il Dottorato di ricerca in Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio dell’Università di Cagliari, ove è Assegnista di Ricerca; socia Sissco dal 2010, collabora con il Comando Regionale della Guardia di Finanza in Sardegna e il Museo Storico della GdF di Roma per l’allestimento di mostre e convegni.

NOTE:
1. Jim Yardley, Letta, Italy’s Premier, Says His Goal Is to Move ‘From Austerity to Growth’, transcript of an interview with Prime Minister Enrico Letta of Italy in Rome on Oct. 14, 2013, as recorded by The New York Times, pubblicata integralmente il 15 ottobre 2013 http://www.nytimes.com/2013/10/15/world/europe/letta-italys-premier-says-his-goal-is-to-move-from-austerity-to-growth
2. J. Yardley, Italian Prime Minister Calls Populism a Threat to Stability in Europe, in The New York Times – New York edition, 15 ottobre 2013, p. 12
3. Alfio Mastropaolo, Antipolitica. All’origine della crisi italiana, L’Ancora, Napoli 2000; Salvatore Lupo, Antipartiti. Il mito della nuova politica nella storia della Repubblica (prima, seconda e terza), Donzelli, Roma 2013
4. Marco Tarchi, L’ Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi, Il Mulino, Bologna 2003
5. Simona Colarizi, Marco Gervasoni, La tela di Penelope. Storia della seconda Repubblica, Laterza, Roma-Bari 2012
6. Andrea Sarubbi, La Lega qualunque. Dal populismo di Giannini a quello di Bossi, Roma, Armando 1995
7. Roberto Biorcio, La Padania promessa. La storia, le idee e la logica d’azione della Lega Nord, Il Saggiatore, Milano 1997
8. R. Biorcio, Democrazia e populismo nella Seconda Repubblica, in Marco Maraffi (a cura di), Gli italiani e la politica, Il Mulino, Bologna 2007
9. Yves Mény – Yves Surel , Populismo e democrazia, Il Mulino, Bologna 2001
10. Pierre-André Taguieff, L’illusione populista, Mondadori, Milano 2003; Loris Zanatta, Il populismo, Carocci, Roma 2013
11. Sul Movimento Cinque Stelle si rimanda a Piergiorgio Corbetta, Elisabetta Gualmini (a cura di), Il Partito di Grillo, Il Mulino, Bologna 2013 e Roberto Biorcio, Paolo Natale, Politica a 5 stelle. Idee, storia e strategie del movimento di Grillo, Feltrinelli, Milano 2013. Un’analisi articolata del successo grillino alle elezioni politiche del febbraio 2013 in Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini, «Tsunami» a 5 stelle, in Ilvo Diamanti, Un salto nel voto. Ritratto politico dell’Italia di oggi, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 60-71
12. Y. Mény – Y. Surel , Populismo e democrazia, cit., pp. 173-180
13. ivi, pp. 187-196
14. R. Biorcio, Gli imprenditori dell’intolleranza, in Il Manifesto, 25 febbraio 2002
15. Sondaggi Itanes 2003 e 2004
16. R. Biorcio, The Lega Nord and the Italian Media System, in Gianpietro Mazzoleni, Julianne Stewart e Bruce Horsfield (a cura di), The Media and Neo-populism. A Contemporary Comparative Analysis, Praeger, Westport 2003, pp. 71-94
17. Sara Gentile, Il populismo nelle democrazie contemporanee. Il caso del Front National di Jean Marie Le Pen, Franco Angeli, Milano 2008
18. Dimitris Dalakoglou, Neo-Nazism and neoliberalism: A Few Comments on Violence in Athens At the Time of Crisis, in “Working USA: The Journal of Labor and Society”, volume 16, giugno 2013, pp. 283–292

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