Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Alexis de Tocqueville è colpito che l’uguaglianza delle condizioni per tutti i cittadini è un principio dello stato. Scopre che questo fatto esercita una “prodigiosa influenza sul funzionamento della società, dando allo spirito pubblico una certa direzione, un certo verso alle leggi, massime nuove ai governanti ed abitudini particolari ai governati”.
Durante il soggiorno americano nel 1831, il giovane visconte e magistrato poi filosofo e politico, alla ricerca di soluzioni per migliorare il sistema penitenziario francese, si imbatte in un sistema politico diverso da quello in patria: nella democrazia.
Deve riconoscere che “il principio dell’uguaglianza esercita un’influenza che va ben oltre la morale politica e le leggi, ha presa sia sulla società civile che sul governo, crea opinioni, fa nascere sentimenti, suggerisce mode e modifica tutto ciò che non produce”.
Cosi via via che conosce la società americana, Tocqueville vede sempre di più nell’uguaglianza delle condizioni un fatto generatore che ha riscontro nei particolari della vita quotidiana alla quale partecipa durante il suo viaggio.
Se i cittadini hanno uguali diritti, e si intende che anche i politici siano uguali cittadini, pare che la società funzioni meglio.
Già Montesquieu, ne Lo Spirito delle Leggi del 1748, faceva notare ai lettori i casi in cui si calpesta la libertà dei cittadini. “Il potere legislativo e quello esecutivo non possono mai essere accomunati sotto un’unica persona o corpo di magistratura, perché in tale caso potrebbe succedere che il monarca oppure il senato facciano leggi tiranniche e le eseguano di conseguenza tirannicamente. Neanche il potere giudiziario può essere unito agli altri due poteri: i magistrati non possono essere contemporaneamente legislatori e coloro che applicano – in qualità di magistrati – le leggi. Così, ovviamente i legislatori non possono essere contemporaneamente giudici: avrebbero un immenso potere che minaccerebbe la libertà dei cittadini”.
« Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati » conclude Montesquieu.
L’uguaglianza tra cittadini e governanti, da considerare anch’essi normali cittadini, unita ad una separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, sembrano essere l’essenza dello spirito della democrazia. O perlomeno, della democrazia liberale.
Come spiega Corrado Ocone ”nella concezione Montesquieuiana i poteri devono essere prima di tutto più di uno: l’esecutivo, il legislativo ed il giudiziario, poi devono essere separati, quindi debbono essere esercitati attraverso una pluralità di enti intermedi. Più la sovranità è ricca e articolata, più la società può dirsi liberale.
E prosegue, “nel frazionamento non c’è semplicemente una divisione o una separazione dei poteri, ma un controllo reciproco, ovvero un bilanciamento e un condizionamento. Il potere che non abusa di se stesso non è in sé virtuoso, ma è costretto ad essere tale da limiti e freni vari. Il compito preciso della democrazia liberale è quella di porre limiti. Agli altri e a se stessa, che è il compito più difficile”.
“Il governo, moderato, tiene conto della molteplicità e della diversità degli interessi presenti in una società complessa e, riuscendo a trovare punti di equilibrio accettabili, abolisce di fatto ogni atto di forza o abuso politico”.
Equilibrato, bilanciato, aperto alle mediazioni e all’azione di controllo reciproco fra poteri, lo spirito della democrazia potrebbe ritrovare un certo animo nella “passione calma” dei liberali.
© Melissa Pignatelli
Fonti:
Alexis de Tocqueville, Della Democrazia in America, 1835
Montesquieu, L’Esprit des Lois, 1748
Corrado Ocone: Montesquieu ovvero la passione calma di un grande liberale
Illustrazione di Luigi Garibbo, “Piazza Santa Trinita” dipinto acquistabile qui.