La striscia di Gaza, proprio per la situazione politica precaria in cui versa, non riesce ad essere energicamente indipendente. La Gaza Power Plant, centrale progettata per assicurare autonomia al territorio, non produce energia a sufficienza per far fronte ai bisogni quotidiani dei quasi 2 milioni di persone che vi abitano -Gaza è infatti una delle zone più densamente popolate al mondo-. L’impianto produce circa 30 megawatt al giorno, a fronte di un fabbisogno energetico complessivo pari a 300 mw circa. Quel che è peggio è che potrebbe produrne il doppio ma non lo fa. Costruita agli inizi degli anni Novanta, in seguito agli accordi di Oslo, doveva rappresentare l’autonomia energetica della Palestina da Israele e vide un grosso contributo, in termini di capitali conferiti, da parte delle multinazionali. Ciononostante; l’Unione Europea ha destinato a quei territori per anni somme ingenti, fino a sfiorare quota 235 milioni di euro nel 2010. Un insieme di risorse che avrebbe dovuto essere impiegato per far fronte anche alle necessità della centrale ma che, evidentemente, non è stato sfruttato a questo fine.
Come in altri casi; le cifre spese da Bruxelles per questi aiuti hanno raggiunto, anno dopo anno, vette sempre più alte, anche quando il vecchio continente era ormai in piena recessione economica. Quaranta milioni di euro sono stati spesi nel 2006, 75,5 milioni nel 2007, 81 milioni nel 2008 e 39 milioni nel 2010. In totale 235 milioni di euro, pagati in base alla semplice presentazione di fatture da parte della Dor Alon, la compagnia petrolifera israeliana che fornisce il carburante. A ciò si aggiunge la beffa che, per tutto questo tempo, l’Unione ha anche pagato le accise sul gasolio acquistato. Secondo i Protocolli di Parigi, poi, queste ultime sarebbero state in parte restituite alla Palestina, non all’UE.
Fin troppo scontata, eppure ancora amara, la considerazione che per anni la Palestina ha letteralmente “bruciato” milioni di euro provenienti dalle tasche europee.
Silvia Dal Maso
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