C'erano varie ragioni per stare col fiato sospeso il 30 marzo. Erano in corso lo scontro decisivo a Tikrit, l'intervento saudita in Yemen, le ultime battute della trattativa sul nucleare iraniano e nei social media imperversavano i vaniloqui sul disastro Germanwings. Questo ed altro ancora hanno deviato l'attenzione dalla pubblicazione del magazine dello Stato Islamico, [Dabiq_8].
Consueto nella forma e nella veemenza, presenta la novità più interessante: "tregua", nell'articolo di John Cantlie, ma Dabiq8 comunica più che le volte precedenti una desolante inquietudine. Ridotta ai minimi termini, l'opposizione Stato Islamico/Occidente sprofonda nella similitudine "Noi siamo meglio e vi annienteremo", la diversità sta tutta nelle razionalizzazioni dell'aprioristico rifiuto.-Dabiq8 dà grande spazio all'Africa Occidentale senza mai nominare il Marocco. Che laQuesti i punti salienti dell'articolo di John Cantlie. -Un lungo riassunte del dopo-Gheddafi introduce la squalifica dell'intero cosmo politico e militare della Libia, dove "ex-sedicenti jihadisti, apostati che hanno aderito alla religione della democrazia si sono inseriti nel sistema e lottano per mantenerlo", nonchéla dichiarazione d'intenti "Mentre la battaglia in Libia si intensifica, lo Stato islamico si consolida. Viene stabilita la Sharia (hukm di Allah), le esigenze dei musulmani vengono soddisfatte, gli eserciti del Califfo continuano a marciare per liberare nuove regioni. La Libia è diventata la meta ideale d'immigrazione religiosa (hijrah) per quelli cui è difficile arrivare in Siria e Iraq (Sham), in particolare per i nostri fratelli e sorelle dell'Africa."
-L'appello a raggiungere il Califfato è esteso a tutti coloro che vivono nella terra dell'idolatria (Shirk), anche in forma di ravvedimento dei musulmani emigrati che si sono adagiati nel coltivare una cultura mondana.
-Novità è l'articolo "Alle nostre sorelle", intitolato Le metà gemelle del Muhajirin. Il termine indica coloro che seguirono il Profeta da Mecca a Medina, un'emigrazione per la salvezza della Fede proposta alle musulmane moderne attraverso l'esempio delle mogli di quei fedeli della prima ora. L'articolo provvede a confutare la tesi secondo la quale gli arabi della diaspora che emigrano nel Califfato appartengano a classi svantaggiate, e spende parole d'incoraggiamento e consolazione per le vedove dei combattenti.
-L'articolo "Nelle parole del nemico" elenca dichiarazioni laudative della forza dell'Isis da
Cantlie riporta altre dichiarazioni dello stesso tenore, dal generale Martin Dempsey e dal colonnello Bill Cowan, introducendo a questo punto la domanda scottante che i media ignorano "Potrebbe lo Stato Islamico - il Califfato dichiarato appena nel giugno scorso - essere realmente uno stato?" Questo articolo sembra fungere da preparazione a "Cambiamento di paradigma" [leggibile in originale inglese qui: Paradigm shift] dove John Cantlie affronta una questione già introdotta da alcuni analisti internazionali e che (ovviamente) non è mai arrivata al vasto pubblico. Non di Assad tappato a Damasco né dell'incompetente neo-governo iracheno, scrive Cantlie esponendone le ragioni. Sottolineando il fallimento delle vecchie regole dell'anti-terrorismo nate per Al Qaeda conclude:
Cantlie mette le mani avanti, alludendo a una visione semplicistica e non offre ulteriori elaborazioni circa i governanti arabi e Israele; questo può segnalare che si tratta di un soggetto imposto dai carcerieri, oppure l'anticipo di future più ampie formulazioni, ma già il caveat lector con cui inizia il suo articolo lascia intravedere accresciute difficoltà, logistiche o di altra natura: "C'è sempre la possibilità che io sia indietro rispetto allo sviluppo degli eventi come li ricavo dalle news, sempre che esse fin dall'inizio non siano aggiornate". Si avverte un senso di abbandono, uno stato d'animo stremato da quasi 900 giorni di esclusione dai contatti con i suoi simili e le sue radici, nell'acquisita certezza di essere abbandonato dal suo paese, al quale la sua famiglia ha dato personalità dalle quali la Gran Bretagna ha tratto vantaggi. Che lui ne sia al corrente o meno, è risicato il sostegno dai social media. Gli utenti sono per lo più abituati a situazioni nette: vittima e carnefice, amico e nemico. Mal gestiscono l'idea di un ostaggio che non supplica e che ha potuto -finora- esprimere le sue opinioni per concessione del nemico. Perfino la denigrazione nei suoi confronti è sporadica. Su Cantlie è calato il silenzio, un pericolo aggiuntivo per la sua vita, una conferma di come la possibilità di esprimersi offerta dai social media viene sfruttata con pochezza di convinzioni personali. *** La petizione al Governo inglese
affinché prenda iniziative per la liberazione dell'ostaggio
John Cantlie inChange
Questa volta non fa più riferimento alla prigionia, né la sua né quella di altri, non accusa il governo né si rivolge ai famigliari, non ci sono slanci di emozioni personali: l'articolo è compilativo. La devozione: a dio o al laicismo. La comunicazione: video efferati da una parte, dall'altra omertà sulle vittime civili che la Coalizione provoca nella caccia agli jihadisti e sui massacri cui si abbandonano gli alleati nei territori "liberati" con i bombardamenti. Le fidelizzazioni: mentre Isis condanna gli "islamici democratici", l'Occidente, che ama definirli "moderati", cerca di arruolarli nella propaganda contro il nemico.
Questo blog, nel post Isis in Siria: la mappa scioccante, aveva già riportato le opinioni (in video) di Joshua Landis "Dobbiamo accettare il fatto: vi è uno stato islamico sunnita che si estende dalla periferia di Baghdad a Aleppo in Siria, che effettuare bombardamenti non è fattibile, che la soluzione sta nell'accettazione di questo stato e nel cercare di sostenere i leader migliori." Nel post che seguirà prossimamente verranno esposte altre fonti, Foreign Affairs fra le altre, secondo le quali la sfida dell'Isis supera quella del terrorismo e induce a riflessioni sulla teoria dello stato.
da Paradigm shift Dall'inutilmente roboante discorso di Obama alla nazione del 10 settembre, nel quale aveva dichiarato che lo Stato islamico "è puramente e semplicemente un'organizzazione terroristica" , sembra che alcuni dei consiglieri a lui più vicini, e nel resto del mondo altre voci dalla NATO e dai media in generale, non siano più persuasi di una descrizione tanto semplicistica, sebbene "il terrorismo" sia senza dubbio una tra le tante tattiche efficacemente impiegate dallo Stato islamico nel portare avanti il suo jihad. E' stato l'ex Segretario alla Difesa di Obama Chuck Hagel a descrivere questo stato delle cose come "uno dei periodi più difficili della storia per la leadership americana." In un'intervista con la CBS, Hagel ha aggiunto "Non abbiamo mai visto un'organizzazione come ISIL (ISIS) così ben organizzata, così ben addestrata, così ben finanziata, così strategica, così brutale, così completamente spietata. Non abbiamo mai visto niente di simile in un'altra formazione. Inoltre coniuga ideologia ... e social media. Il suo programma verso i social media è sofisticato in un modo che non avevamo mai riscontrato in precedenza. Fondere tutto questo insieme, rappresenta una nuova minaccia incredibilmente potente ".
Un linguaggio tanto apertamente elogiativo da parte dell'ex Segretario alla Difesa nel riferirsi all'avversario è un chiaro segno che Washington non è così certa d'aver davanti semplicemente una "organizzazione" .
"Per quanto scomodo possa essere per molti in Occidente, ci sono poche ragioni per cui lo Stato Islamico non debba essere considerato uno stato. Gli stati possono nascere in giorni, in ore durante un colpo di stato, o nei minuti in cui si appone la firma sotto un documento. Ha funzionato così per secoli. Quindi non c'è ragione per cui esso non possa essere nato nel modo in cui è avvenuto. E se il paese non è dello Stato islamico, di chi è?"
"A un certo momento si dovrà affrontare lo Stato Islamico come un "paese" e perfino prendere in considerazione una tregua. Se non c'è soluzione militare, e questo viene già posto come possibilità, dopo che si sarà provato a spingere le tribù Sahwah [ndr. Risveglio, vedere nota*] a rivoltarglisi contro, dopo che si sarà finito di gingillarsi su come tagliargli le vie di finanziamento o bloccargli i messaggi multimediali (il che è già costato agli Usa ben oltre 1,3 miliardi di dollari ed è completamente fallito) ad un certo punto l'unica opzione rimasta sarà offrire una tregua. E questo richiederà che qualcuno ingoi il suo orgoglio.
Qual è l'alternativa? Lanciare un bombardamento su una mezza dozzina di nazioni? Sarà distruggere metà della regione in quel caso".
[...] E' realistica una tregua? In questo momento, è troppo presto. E' stata allestita la scenografia per una grande operazione contro lo Stato islamico che deve essere messa in atto dalle milizie iraniane (AKA l'esercito iracheno), sostenute dagli Stati Uniti."
[...] Infine, magari io ho un modo eccessivamente semplicistico di guardare le cose e forse non riflette l'immensa complessità della guerra moderna e delnation-building. Qualsiasi tregua tra Occidente e Stato Islamico dovrebbe alla fine comportare la cessazione del supporto ai tiranni e ai burattini, Arabi e non Arabi, del mondo musulmano, così come la fine del sostegno a Israele. Questa è opera riservata ai pionieri, ma l'impossibile può e deve accadere.
nota*
Sawha, Risveglio, è una organizzazione tribale irachena utilizzata strategicamente dagli Stati Uniti - articolo esplicativo