Lo stigma di cortesia di mamma e papà

Da Psicologiagay
 

Non è un nuovo termine psicologico,  simile alla somatizzazione

Parliamo di stigma sociale legato all’essere omosessuali (o transessuali). Da Wikipedia leggo che “La parola stigma viene usata come sinonimo di marchio, segno distintivo in riferimento alla disapprovazione sociale di alcune caratteristiche personali. In sociologia si usa per caratterizzare un handicap fisico o mentale o una devianza.Sono i greci che si servono per primi di questa parola per denominare una serie di segni fisici che possono essere associati ad aspetti riprovevoli, considerati legati alla “condizione morale” dei soggetti che ne sono afflitti.”

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Partiamo da quanto ci insegna la sociologia. Si parla di handicap fisico o mentale o devianza. In tutti e tre i casi siamo estremamente lontani dall’omosessualità o dal transessualismo. Eppure lo stigma esiste ed è molto pesante. Anche per i parenti e amici di persone “stigmatizzate”, che evidentemente non hanno nulla in comune con i ben più famosi marchi fisici di matrice religiosa

Più di trent’anni fa Erving Goffman suggerì l’esistenza di una tipologia di stigma particolare definita “courtesy stigma”, in base al quale,  se un individuo è collegato per mezzo di una struttura sociale (ad esempio la famiglia) a un individuo vittima di discriminazione, questa relazione fa sì che entrambi siano trattati allo stesso modo

Strano utilizzo della parola “cortesia”, eppure proprio così si chiama, come ben spiegato dall’esperto Patrick Corrigan.

Secondo lui ci sono due tipi di “courtesy stigma”:

  • lo stigma vicario, che consiste nella sofferenza provata sapendo che un proprio caro sta soffrendo;
  • lo stigma pubblico, che consiste nel sentirsi responsabili per la situazione di sofferenza che il familiare sta vivendo.

Nel libro “Coming Out, Coming Home: Helping Families Adjust to a Gay or Lesbian Child” il prof. Michael LaSala riporta le interviste fatte a 76 genitori di persone gay e lesbiche, e sottolinea come la maggior parte di loro soffre per la possibilità di essere colpevolizzato per l’orientamento sessuale dei figli e tende, quindi, a nascondere la realtà dei fatti.

Per fortuna, esistono dei metodi piuttosto efficaci per poter gestire lo stigma, e viverlo con meno sofferenza.

In primo luogo è necessario imparare ad essere più critici nei confronti della società in cui si vive. I genitori delle persone LGBTQ dovrebbero essere in grado di opporsi alla visione della società secondo la quale essere omosessuali o trans è vergognoso, disonorevole, segno di malattia o disordine, semplicemente rendendosi conto che alcune convinzioni della società sono sbagliate. Assumere questo tipo di atteggiamento mentale è il primo passo per vivere con serenità in un mondo che considera tutti coloro che vanno contro le sue  norme restrittive come perseguibili e discriminabili.

In secondo luogo è importante rendersi conto che la gestione dello stigma può essere considerata un affare di famiglia: dal momento che la discriminazione sembra coinvolgere l’intera famiglia, allora tutti i membri del nucleo familiare possono cercare di trovare insieme strategie e metodi per affrontare e superare le spiacevoli emozioni associate allo stigma.

Ad esempio LaSala sottolinea come generalmente al momento del coming out in famiglia, la persona omosessuale ha già alle spalle una serie di episodi di discriminazione, affrontati in altri contesti, e potrebbe essere utilissimo che ne parli con i suoi familiari, sottolineando soprattutto i metodi che ha adottato per non farsi travolgere dal disapprovazione della società. Quando un genitore si rende conto che il/la propri* figli* è stato in grado di affinare competenze utili a negoziare in una società che stigmatizza l’omosessualità allora si sente rassicurato, e torna ad essere fiero di lui/lei.

Articolo a cura delle dott.sse Valeria Natali e Paola Biondi.


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