Lo stivale del balivo: dal cielo.
Un aggiornamento per chi ha a cuore la sorte degli sfigati. Il termine "sfigati" ha per me il significato biblico, neotestamentario di "ultimi". Che, come ci raccontano fin da bambini, saranno un giorno (quando, please?) i primi. Per quanto mi sforzi di scavare nelle casistiche, mi viene un solo (e personalissimo) esempio: quando esco dall'autostrada e mi trovo ultimo in fondo a una colonna di automobili infilate davanti a una rotonda, prendo la corsia di sinistra (che tutti lasciano sempre vuota, ma perché?) e con un colpo di gas - meraviglia - mi catapulto se non primo, fra i primi almeno. Cristiano sono!
Oltre a questo, fatico nella interpretazione e nella collezione. Interprertazione della lettera (e del testo) e nella collezione dei casi (Oratio di CSI Miami direbbe - avrebbe detto, è sparito, poverino - evidence).
Da capo: per chi ha a cuore la sorte degli sfigati, propongo l'aggiornamento sulla sorte di Mohammed El Ghanam, ex colonnello dei servizi di informazione egiziani, rifugiato politico in Svizzera e in carcere - dopo disavventura, ma non tale da innescare questa sorte - a Champ-Dollon a Ginevra. Da 6 anni e senza pena da scontare. E senza che la Giustizia elvetica abbia mai preso sul serio le sue denunce. Il Tribunale Federale ha ordinato con sentenza del 22 ottobre 2013 che sia trasferito in una clinica psichiatrica per essere adeguatamente curato. Non sto a ricordare tutta la storia, che trovate sul Blog e anche cercando nei (miei) servizi TV su RSI.
La massima istanza giudiziaria svizzera ha deciso: Mohammed El Ghanam, tuttavia, è ancora nella sua cella di Champ-Dollon, così mi ha confermato il suo avvocato, Pierre Bayenet, pochi istanti fa.
Vedi un po' come funziona la giustizia. C'era la fila, sabato trascorso, davanti alla sede di Bellinzona del Tribunale Federale. Volevano entrarci tutti (si capisce: non c'erano né procuratori, né giudici). A un tratto sono sfrecciati gli aerei della Pattuglia svizzera nel cielo della Capitale, ma così bassi che sembrava stesero decollando da Via Dogana. Hanno spaccato le orecchie (e le palle, rivendico quest'ultima parte per me e me soltanto...). E hanno fatto piangere più di un bambino.
Ai miei occhi non era celebrazione. Non segno di lutto per il pilota e il medico tragicamente schiantati qualche giorno prima. No: simulazione della guerra era, inscenata da chi la guerra non sa nemmeno che cosa sia. Non c'azzeccano. Mai.
Eppure c'era gente che li fotografava con il telefonino, con il naso girato verso il cielo. In Svizzera il Tribunale Federale sarà (è, dai, siamo precisi) la somma istanza giudiziaria. Ma a naso (il mio, e non girato all'insù nel passaggio degli aerei) mi viene da dire che quel boato ultrasonico non conteneva nessun significato piacevole. Non era democrazia. Non c'entrava. Sapeva di minaccia. Ecco: minaccia. E così ricordava lo stivale del balivo ("stivale" aggiornando la storia, si capisce). Un'immagine, confesso con piacere, che ripesco dai racconti d'infanzia (quanta rivoluzione nelle minestrine...). E che vale per noi e per tutto il mondo per come è messo. Ma in primis per noi.
Mohammed El Ghanam è ancora nella sua cella, signore e signori, prigioniero dei suoi fantasmi e degli anni che gli pesano sulle spalle. Nonostante il Tribunale Federale ne abbia ordinato la scarcerazione et il ricovero in clinica psichiatrica il 22 ottobre. Oh yeah.