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Lo strano caso degli scout commissariati

Creato il 06 ottobre 2013 da Giulianoguzzo @GiulianoGuzzo

scout

Di necessità del dialogo, nel mondo cattolico – specie ultimamente -, si parla molto. Al punto che è come se l’ecumenismo, in ordine di importanza, ormai precedesse il dovere dell’evangelizzazione. Bene, peccato che poi, alla prova dei fatti, la pratica lasci un po’ a desiderare o addirittura vada nella direzione opposta alle tanto incensate aperture. Ne è a suo modo esempio l’incredibile commissariamento di quello che, fino a poche settimane fa, era un felice gruppo scout. Ma andiamo con ordine, a partire dalla premessa fondamentale e necessaria: i fatti. Siamo nel nord Italia, in una parrocchia di non più di tremila anime nella quale però – strano ma vero – ha sede, ormai da diversi anni, un gruppo scout assai numeroso: circa centoventi ragazzi. Numeroso e pure in continua crescita come dimostrato, anno dopo anno, dallo scarsissimo numero di abbandoni. All’entusiasmo dei giovani si unisce la soddisfazione dei genitori, lieti di poter assicurare, in tempi non esattamente facili sotto questo punto di vista, una sana formazione ai loro ragazzi. Pure i capi, che del gruppo hanno la responsabilità, sono gratificati dall’andamento generale.

Tutto questo, in teoria, dovrebbe rallegrare il parroco locale, che del nostro gruppo scout funge anche da ente promotore. Invece no: costui, limitandosi a sporadiche comparse, non mostra particolare interesse. Arrivando, quest’estate, a disertare un appuntamento che stava molto a cuore al gruppo, vale a dire il campo estivo in programma fra luglio ed agosto. Ragioni di età, fa sapere il sacerdote. Come se dire Messa ad un gruppo di giovani andandoli a trovare a poco più di un’ora di strada fosse un’impresa d’altri tempi o riservata a pastori atletici e scattanti.  Ad ogni modo, quell’assenza ha amareggiato i capigruppo, che hanno iniziato a presagire il rischio di un raffreddamento dei rapporti. Raffreddamento che si è concretizzato a settembre con la convocazione da parte dell’ente promotore, ovvero il parroco, il quale ha sostanzialmente invitato capogruppo e vicecapogruppo alle dimissioni. Motivo? Un non meglio definito isolamento e una altrettanto vaga aria stanca da cui sarebbe affetto il gruppo scout. Sospetti molto strani nei confronti di una realtà – lo dicevamo all’inizio – partecipata e premiata dalla soddisfazione di ragazzi e genitori.

Talmente strani che lo stesso sacerdote, nel presentarli ai capigruppo, suggerisce loro una strategia molto curiosa: le dimissioni volontarie, probabilmente per evitare di dover dare lui, alla comunità, spiegazioni tanto assurde. Come se non bastasse, negli stessi giorni il parroco ha pensato bene, senza avvertire i legittimi capigruppo, di convocare alcuni scout preavvertendoli della necessità di un cambiamento. Un incontro inatteso, che ha lasciato perplessi i giovani, non foss’altro perché a costoro, le ragioni di detta necessità, non sono parse affatto chiare. Tanto più che, anche in quell’occasione, queste sono state appena accennate – evitando qualsivoglia approfondimento nel merito – dal sacerdote, che tutti in paese sanno più affezionato alla frequentazione del bar che del gruppo scout, oltreché alla camicia hawaiana rispetto all’abito talare e a tutta una serie di norme morali che evidentemente giudica superate. Singolare, a questo proposito, è stata in quell’incontro l’uscita del sacerdote (registrata da uno dei ragazzi presenti) contro la castità prematrimoniale, che è già, di suo, un impegno particolarmente tosto e controcorrente oggi, se poi ci si mettono pure i preti a parlarne male beh, siamo a posto.

Morale della favola: in seguito all’iniziativa del nostro sacerdote – del quale omettiamo di dire il nome, così come s’è taciuto quello della parrocchia e del gruppo, per evitare prevedibili forme di ritorsione nei confronti di chi ha scelto di raccontarci questa incredibile storia –, i capigruppo, per evitare polemiche e senza ricorrere alle pur possibili strategie alternative (come la sostituzione dell’ente promotore), si dimettono e il gruppo scout da centoventi ragazzi si trova di punto in bianco senza responsabili e senza personale munito di brevetto e dunque legittimato a mantenerlo attivo. Ne consegue, com’era inevitabile, il commissariamento da parte del locale commissario di distretto. Un commissariamento che si sostanzia in un “congelamento” dell’attività, preliminare, stando alla prassi, a un prossimo scioglimento del gruppo. Così, nell’incredulità generale e anche se restano da chiarire le vere ragioni dell’iniziativa del sacerdote (quelle ufficiali, dell’isolamento e della necessità, di cambiare non hanno convinto nessuno), una realtà sana, partecipata e attiva da anni è stata affondata.

Forse stuzzicava le invidie di qualcuno, o forse, appunto, era troppo sana per continuare ad esistere. Sta di fatto che ai ragazzi che ne facevano parte ora non restano che due possibilità: dedicarsi ad un’altra attività parrocchiale oppure cercarsi altri gruppi scout. E a quelli di loro che comprensibilmente hanno sofferto per l’accaduto e che ancora, per questo, non si danno pace, non rimane che l’amara consapevolezza che, per quanto di dialogo si parli all’interno della Chiesa e delle nostre parrocchie, il passaggio alla pratica è quanto meno problematico. Si fa presto, cioè, a predicare – anche dai pulpiti – la necessità di accogliere il prossimo. Ma quando si tratta di decidere se mantenere o meno in attività un gruppo scout di oltre centoventi ragazzi evangelicamente animati all’insegna dei valori del Catechismo e che prende parte a una molteplicità di buone iniziative (dalla collaborazione col Centro aiuto alla Vita a quella con Mani Tese, da missioni in Africa alla partecipazione alla Marcia per la Vita), di questa necessità, curiosamente, ci si dimentica in fretta. Come se l’accoglienza e la tolleranza fossero doveri morali solo verso gli altri e non tra parrocchiani, nei confronti del forestiero e non in casa propria. Bella coerenza, davvero.



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