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Lo strano caso del quasar mancante

Creato il 08 gennaio 2016 da Media Inaf

Gli astronomi non sono riusciti a trovare alcun segno del buco nero al centro del quasar SDSS J1011+5442, e non potrebbero essere più felici di così.

Il buco nero si trova ancora lì, ovviamente, ma pare che negli ultimi dieci anni abbia inghiottito tutto il gas nelle sue vicinanze. Con tutto quel gas, gli astronomi della Sloan Digital Sky Survey (SDSS) non sono più in grado di rilevare l’impronta digitale spettroscopica del quasar, che ora appare come una galassia qualunque.

«È la prima volta che vediamo un quasar spegnersi in maniera così decisa e rapida», afferma Jessie Runnoe della Pennsylvania State University, che ha presentato i risultati di questo studio in qualità di autrice principale durante il 227° meeting dell’American Astronomical Society (AAS) che si sta tenendo in questi giorni a Kissimmee in Florida.

L'immagine mostra la rappresentazione artistica del

L’immagine mostra la rappresentazione artistica del “quasar che cambia aspetto” come è apparso nei primi mesi del 2015. La regione blu incandescente indica l’ultima porzione di gas mentre viene inghiottita dal buco nero centrale. Lo spettro sovrapposto è quello ottenuto dalla SDSS nel 2003. Crediti: Dana Berry/Skyworks Digital, Inc.

L’ingrediente fondamentale per la scoperta è stata la lunga durata della campagna osservativa della SDSS. L’indagine ha riguardato, in prima istanza, uno spettro di SDSS J1011+5442 raccolto nel gennaio del 2003. Questo spettro ha permesso agli astronomi di comprendere le proprietà del gas che veniva inghiottito dal buco nero centrale. In particolare, osservando l’intensità della riga corrispondente all’idrogeno alfa è possibile stimare la quantità di gas ingurgitata. Nei primi mesi del 2015 la SDSS ha raccolto un nuovo spettro di SDSS J1011+5442, per permettere agli astronomi di confrontare il tasso di caduta del gas a dodici anni di distanza.

«La differenza era incredibile e senza precedenti», ha dichiarato John Ruan dell’Università di Washington, primo autore di un articolo correlato, nonché membro del team guidato da Runnoe. «Nell’arco di dodici anni l’emissione di idrogeno-alfa è diminuita di un fattore 50, e il quasar si presenta ora come una galassia normale». La variazione è stata così importante che tutta la collaborazione SDSS e la comunità astronomica hanno ribattezzato SDSS J1011+5442 come “il quasar che cambia aspetto”.

Nel corso di questi dodici anni, molti altri telescopi hanno osservato il quasar che cambia aspetto, e lo studio di Runnoe si è avvalso anche di questi puntamenti supplementari. I dati aggiuntivi hanno permesso al team di individuare con maggior precisione la fase di cambiamento, scoprendo che il drastico spegnimento del quasar è avvenuto in un paio d’anni.

Come spiegano gli astronomi questo improvviso spegnimento del buco nero centrale? I quasar sono alimentati da buchi neri al centro di galassie molto distanti. Questi buchi neri sono enormi (nel caso del quasar che cambia aspetto circa 50 milioni di volte la massa del Sole) e questo comporta un riscaldamento del gas in caduta fino a milioni di gradi. L’intensità della luce emessa da questo gas è tale da rendere il quasar visibile fino a distanze cosmologiche.

Il telescopio da 2.5 metri dedicato alla SDSS presso l'Apache Point Observatory.

Il telescopio da 2.5 metri dedicato alla SDSS presso l’Apache Point Observatory.

«Il fatto di aver visto questo quasar mangiare gas nel 2003 e di non vederlo più ora può avere tre spiegazioni distinte», dice Ruan. La prima possibilità è che ci sia uno spesso strato di polvere tra noi e la galassia ospite che sta oscurando la nostra visuale del buco nero centrale, ma non è possibile che una nube di polvere si sia spostata abbastanza velocemente da causare un calo di luminosità di 50 volte in due soli anni. Un’altra possibilità è che il quasar brillante nel 2003 fosse solo un bagliore temporaneo causato dal fatto che il buco nero stava disgregando una stella vicina. Sebbene questa ipotesi sia stata chiamata in causa in passato per casi simili, non è in grado di spiegare il fatto che il quasar sia rimasto brillante per molti anni prima di spegnersi.

La conclusione del team è quindi che la terza possibilità è la più plausibile: il quasar ha esaurito il gas nelle sue immediate vicinanze, e questo ha comportato un rapido calo di luminosità. «Essenzialmente, il quasar è a corto di cibo, almeno per il momento», spiega Runnoe. «Siamo stati fortunati a immortalarlo prima e dopo»

Il quasar che cambia aspetto è la prima grande scoperta della Time-Domain Spectroscopic Survey (TDSS), una delle campagne di analisi dati della quarta fase della SDSS, orientata allo studio e alla caratterizzazione degli oggetti variabili. La TDSS è solo all’inizio, e promette di fornire nei prossimi anni molte scoperte sorprendenti.

«Siamo abituati a pensare al cielo come qualcosa di immutabile», spiega Scott Anderson, il Principal Investigator di TDSS. «La SDSS ci offre la grande opportunità di vedere i cambiamenti del cosmo in tempo reale. Questa scoperta è stata possibile solo perché la SDSS è estremamente profonda e copre un arco temporale molto ampio»

Andrea Merloni, del Max-Planck Institute for Extraterrestrial Physics di Garching, coautore dello studio, ha scoperto lo scorso anno un caso simile a questo, per il quale però la spiegazione più probabile è quella di una stella finita nelle fauci del buco nero. «Lo studio di buchi neri che si accendono e spengono è solo agli inizi, e promette nei prossimi anni di svelare i meccanismi che portano diverse forme di materiale galattico (stelle, gas, etc.) ad essere risucchiate dai buchi neri: studiando tali fenomeni potremo comprendere al meglio quale sia la “dieta” dei buchi neri».

Per saperne di più:

  • Leggi l’articolo “Now You See It, Now You Don’t: The Disappearing Central Engine of the Quasar J1011+5442“, di Jessie C. Runnoe, Sabrina Cales, John J. Ruan, Michael Eracleous, Scott F. Anderson, Yue Shen, Paul Green, Eric Morganson, Stephanie LaMassa, Jenny E. Greene, Tom Dwelly, Donald P. Schneider, Andrea Merloni e Antonis Georgakakis

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Fonte: Media INAF | Scritto da Elisa Nichelli


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