“Lo strano caso dell’apprendista libraia” è il primo romanzo di Deborah Meyler, pubblicato in Italia nell’agosto del 2014 da Garzanti Libri, nella collana Narratori moderni. L’autrice è una giovane libraia che, dopo tanti sacrifici, è riuscita a salvare due librerie indipendenti di New York, nonostante la crisi e la concorrenza delle grandi catene.
È nata in Inghilterra, ma ha vissuto a lungo a New York, come la protagonista del suo romanzo e in quest’opera d’esordio, diventata un caso editoriale, racconta di questa sua magnifica esperienza tra libri e scaffali.
Nel dicembre 2013, “Lo strano caso dell’apprendista libraia” viene proclamato il romanzo dell’anno per i librai indipendenti americani, e sinceramente io mi domando il perché. A parte il fatto che “difenda la categoria”, non avrei altre spiegazioni. Si tratta proprio di uno “strano caso”, a tutti gli effetti.
Nonostante il periodo dove sono in molti a scrivere di “libri che parlano di libri”, vedi per esempio “Una piccola libreria a Parigi” di Nina George, “La misura della felicità” di Gabrielle Zevin e “Una stanza piena di sogni” di Ruta Sepetys, solo per citarne alcuni, mi è parsa una buona idea leggere questa storia di cui si è tanto parlato.
Il connubio fra scrittura e letteratura mi affascina, poiché si è sempre alla ricerca di qualcosa da imparare. Ma non avevo pensato che, anche se ambientato in una libreria, non vuol dire che la storia sia di spessore. A volte, sono i personaggi creati a rendere superfluo ogni scenario.
Un buon libro è dato da un insieme di cose: la storia, che non dovrebbe essere banale, oppure poco originale; lo stile, che qui è l’unica cosa che si salva; i personaggi che dovrebbero essere sempre ben caratterizzati e non soltanto “comparse”, lasciati in balìa dei capricci di una ragazzina che non sa nemmeno lei esattamente cosa vuole.
Veniamo dunque alla trama. La protagonista, io narrante della storia, è Esme Garland, una ragazza inglese di 23 anni che è andata a vivere a New York dopo avere vinto una borsa di studio in storia dell’arte alla Columbia University. Appena arrivata nella “Grande Mela”, Esme si innamora di Mitchell, insegnante di economia e rampollo di una agiata famiglia. Un ragazzo interessato soltanto allo “status” delle persone, alle apparenze e, a parer mio, anche con qualche alterazione mentale.
La sua vicina di casa è Stella, una fotografa con tendenze saffiche, che nei momenti clou, invece di confortare l’amica, prende la macchina fotografica e si mette a scattare all’impazzata. Al lettore questa cosa suona come una mancanza di rispetto e sensibilità, e non certo come una stravaganza peculiare, che permetta di caratterizzare meglio il personaggio.
Esme ama frequentare “La Civetta”, una piccola libreria nella Upper West Side, e quando vede il cartello “cercasi aiutante”, decide di farsi avanti. La ragazza ha bisogno di soldi perché ha da poco scoperto di essere incinta.
Naturalmente viene assunta, sì perché, in una New York immensa, l’unica alternativa che sembra avere il proprietario George è di prendere a lavorare una ragazza senza alcuna esperienza, con un permesso di studio negli Stati Uniti che le impedirebbe di lavorare se non presso la sola università, e per di più incinta e quindi di salute cagionevole e impossibilitata a sollevare pesi.
Ma George vuole essere un buon samaritano e, nonostante sia illegale, prende sotto la propria tutela questa ragazza. Mi sono chiesta il perché, così come risulta curioso che in una città grande come quella di New York, Esme e Mitchell continuino sempre ad incontrarsi in maniera fortuita. Un po’ come avviene nella soap opera Beautiful, che per quanti abitanti abbia Los Angeles, i protagonisti continuano a fidanzarsi fra loro.
Vorrei dirvi che nel frattempo Esme e Mitchell si sono lasciati, ma ho io stessa in testa un po’ di confusione. Il fatto è che lui è un egocentrico prepotente, e tratta Esme malissimo. La umilia di continuo e lei si lascia fare e dire di tutto, seguitando a rimanergli fedele. Va bene che sia una ragazza di soli 23 anni, ma credo che essere giovani non giustifichi sempre tutto, e non significhi essere privi di orgoglio né di amor proprio. Esme è una ragazza senza carattere, questa è la verità, molto influenzabile, che si lascia trascinare dalle situazioni. E soprattutto, che non riesce a reagire e non si ribella.
In un primo momento non dice nulla della gravidanza al suo odioso compagno, che l’ha nel frattempo lasciata. Poi, lui la incontra per caso e si accorge che è incinta, ma vorrebbe convincerla ad abortire. Esme decide di tenere il bambino e crescerlo da sola, anche se quando Mitchell viene a bussare alla sua porta, non riesce mai a resistergli. Si lasciano e si riprendono un paio di volte, e giunge anche una proposta di matrimonio che non ci si spiega perché mai sia stata formulata, né perché la ragazza abbia accettato. Insomma, non bastano le umiliazioni di Mitchell che ogni tanto le sbatte in faccia che lui non la ama e non vuole il bambino; non basta che la famiglia di lui sia snob in una maniera inenarrabile e non la ritenga all’altezza in modo plateale; non basta la presenza di una vecchia fiamma di cui forse Mitchell è ancora innamorato, e neppure il fatto che lui proponga, alla sua promessa sposa incinta, un’orgia con una sconosciuta incontrata per caso in un bar, a far desistere Esme dall’amarlo. Il suo amore per quest’uomo di 33 anni, quindi non più un ragazzino, rimane granitico ed incontrastato, fino a che lui sembra lasciarla definitivamente e allora ci si abbandona ad un liberatorio “grazie al cielo si è tolto dai piedi”.
Seguiamo tutta la gravidanza di Esme, fino al parto, con tanto di visite ginecologiche, ecografie e minacce di aborto. Ma questo non è un male.
All’interno della libreria sono molti i personaggi che si alternano. George, il proprietario; Luke che suona la chitarra e potrebbe essere una persona gentile con cui iniziare una conoscenza più intima, se solo Esme lo prendesse minimamente in considerazione; e vari senzatetto che a volte aiutano a mandare avanti la “baracca”. Tutti si prodigano per aiutare Esme e sono comprensivi con lei, mentre ci si chiede il perché la ragazza lasci che Mitchell li umili di continuo, e lei stessa, più volte, definisca la Civetta come una “deprimente librerietta”. Sputa forse sul piatto nel quale mangia?
Il libro presenta parecchi refusi, cosa che non ci si aspetterebbe da Garzanti, e al lettore attento non sfuggono alcune incongruenze di carattere temporale. È come se l’autrice, nel corso della storia, abbia scordato alcuni pezzi della trama, o alcune cose che sono state affermate. Per esempio, come mai la madre di Esme, prima della nascita del bambino, non è mai arrivata a New York come si era detto?
Un punto di forza c’è, e bisogna ammetterlo. La scrittura è scorrevole ed evocativa. Sembra di vedere un film. Di non molto spessore, forse, ma pur sempre un film.
Nel bene o nel male, l’importante è che se ne parli. Ebbene, raramente un libro ha suscitato reazioni emotive forti come queste. È come se, per tutto il tempo, avessimo solo un pensiero.
“Svegliati Esme!”, vorremmo dire, mentre ogni nostra speranza risulta vana.
Anche un romanzo ha il compito di dare il buon esempio, in un periodo storico in cui, più che mai, si avverte la necessità di avere dei modelli di coerenza e coraggio nel farsi rispettare. E forse questo libro ha pagato lo scotto del fatto che, in questa società pregna di eroi negativi, le persone desiderano dignità e personaggi carismatici.
Written by Cristina Biolcati