40 anni di Devilman
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Molte sono le chiavi con cui si potrebbe cercare di entrare nella complessa e inquietante architettura narrativa e iconica rappresentata da Devilman di Go Nagai,
Non è detto che tutti i volti assunti da questo personaggio e che ogni interpretazione facciano accedere al nucleo della storia e dei suoi molteplici sensi; non è detto nemmeno che ci sia una chiave privilegiata, o che una volta aperte le prime porte si acceda a stanze dotate di significati univoci. La molteplicità dei simboli, i riferimenti a racconti e a personaggi biblici, la drammaticità delle scene sfidano ogni tentativo di interpretazione; ed è un bene.
Uno dei motivi per cui Devilman è diventato una pietra miliare nella storia del fumetto è forse proprio la difficoltà di inquadrarne del tutto i temi, i messaggi di fondo, le valenze simboliche. E forse proprio l’assenza di una morale definita o avanzata dall’autore ha contribuito a far diventare Devilman una serie di culto, e il suo eroe un personaggio così amato.
I temi che una storia come questa presenta per la riflessione sono numerosi. Ci sarebbe da discutere anche sullo stile grafico, per certi versi “imposto” all’autore dai ritmi estenuanti di lavoro, prima ancora che su questioni di carattere stilistico e narrativo, o sulle tematiche teologiche che dalla storia si possono ricavare. Qui mi vorrei però soffermare brevemente su due caratteristiche del manga – una di carattere narratologico e una di carattere filosofico.
La prima riguarda quella che potremmo definire – con un’espressione che richiama il titolo di un libro del nipponista Ivan Morris – la “nobiltà della sconfitta”. Il percorso esistenziale di Akira-Devilman non culmina, come ci si potrebbe a buon ragione attendere in altre tradizioni di fumetto, con la vittoria sui demoni malvagi. E infatti in gran parte delle leggende e dei miti giapponesi si è voluto scorgere un segno positivo e un valore inestimabile nella condizione precaria dell’esistenza e dei suoi valori, nel destino spesso ineluttabile a cui è votato l’uomo.
Secondo una visione forse poco occidentale, Devilman sembra dirci che la vita non possiede un senso perché si colloca al di fuori dell’alternativa tra senso e non senso. Non c’è proiezione di un senso ulteriore, trascendente la vita stessa, ma piuttosto consapevolezza di un significato immanente ad ogni gesto, ogni azione. L’eroe che muore non è un fallito, ma è anzi il testimone più autentico della purezza della causa per la quale si era battuto. È l’esempio dello scontro interminabile di ogni vita con le difficoltà che la stringono e la lacerano.
Una prospettiva filosofica emerge poi dalla concezione di Nagai circa l’esistenza, come inscindibile polarità di bene e male, bontà e crudeltà, ordine e caos. I due aspetti si co-appartengono, si specchiano l’uno nell’altro, talvolta finiscono per convergere e confondersi. Se vogliamo capire e vivere una cosa, dobbiamo conoscere, accettare, incorporare anche quella opposta.
In realtà, i demoni non sono davvero altro, rispetto agli esseri umani. Nella finzione narrativa l’innesco dell’azione è dato dal conflitto tra la razza demoniaca, risvegliata dopo millenni trascorsi nell’oscurità dei ghiacci perenni per riconquistare il pianeta, e quella umana che considera la Terra come propria eredità.
Ma ad un altro livello possiamo intendere le forze che riemergono dal sottosuolo come la dimensione oscura e abissale dell’animo umano, il territorio dell’inconscio e delle pulsioni che non possono mai essere estirpate, ma devono essere integrate. Akira-Devilman si sforza di corrispondere a questo sforzo “oltreumano” di tenere insieme i propri due lati – luminoso ed oscuro, umano e demoniaco. Akira-Devilman si trova a metà strada tra il demone assoluto e l’essere umano puro ed innocente, tra Amon e Miki.
Eppure, paradossalmente, l’uomo-diavolo risulta più umano di tanti altri esseri umani non “contaminati” dalla dimensione del demoniaco: chi sa di contenere in sé l’Ombra è in effetti più consapevole di essere un impasto di bene e male, rispetto a chi pretende di espellere da sé quell’Ombra, di cacciarla nella dimensione del rimosso, delle profondità della terra.
Nagai sembra dirci che su questa terra non c’è posto né per la pura malvagità né per la bontà assoluta: tutti i demoni e tutti gli esseri umani sono destinati a morire, dal più malefico al più buono – e solo così, forse, potranno cooperare a un rinnovamento della vita e dei cicli naturali.
La dimensione dell’interna scissione che abita il protagonista può richiamare quella narrata in uno dei capolavori della letteratura inglese di fine Ottocento,
Akira esiste però anche in relazione a Miki, di cui è innamorato – ecco un’altra coppia, un’altra figura della duplicità. L’io non è mai autarchico, autonomo, ma è un processo, un dinamismo che si dà in quanto vive nella relazione, sia essa agonistica o antagonistica, di amore o di odio, di riconoscimento o di negazione.
Il vero dramma è l’incapacità di vivere la relazione, di far fluire la comunicazione e di accogliere la trasformazione. Male è il blocco, la stasi, la paura del diverso che non ne riconosce la necessità, il fatto che esso è sempre parte di me.
Il fatto che l’autore non sia magari minimamente consapevole di alcuni significati o sviluppi filosofici del suo lavoro non pone problemi né imbarazzi, ma testimonia proprio la ricchezza dell’arte, che dà da pensare anche oltre i suoi obiettivi immediatamente estetici (solo chi non pensa può ritenere superflua o accessoria la problematizzazione di un incontro autentico con una narrazione, con un’immagine, con una musica).
In Devilman confluiscono tradizioni diverse, quindi si moltiplicano anche le possibilità di intrecci e di interpretazioni. La simbologia occidentale, di matrice anche cristiana (e dantesca!) si fonde nell’intreccio costruito da Nagai con un’esperienza del mondo vicina alla sensibilità religiosa giapponese. Non c’è una salvezza finale, ma nemmeno una dannazione. Il dolore dell’esistere, una volta raggiunto il suo culmine, si scioglie in un possibile nuovo inizio.
Ma non è dato sapere, a noi mortali, quali saranno le figure di questa nuova genesi, e quali i caratteri di coloro che popoleranno nuovamente il mondo.
OMAGGI
Marcello Ghilardi (clicca per ingrandire)
Federico Rossi Edrighi (clicca per ingrandire)
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