Lo strano caso di un riformista: D. Domenico Caracciolo, Vicerè di Sicilia.

Creato il 15 novembre 2013 da Alfiobonaccorso

Piazza Domenico Caracciolo, Palermo, sede del noto mercato della Vucciria

In questi giorni mi solletica una fantasia: immaginate cosa succederebbe ai nostri occhi increduli se un bel giorno, levandosi a guardare verso uno dei molti monumenti sparsi per le città che, ai pochi che li guardano ancora, ricordano tempi migliori, non trovassero più quegli uomini illustri sui loro basamenti!
Immaginate se perfino l’abituale ombra che gli illustrissimi bronzi e marmi proiettavano sulle panchine vicine, magra appendice di tanta memoria, d’improvviso non fosse più.
Quegli Uomini Illustri hanno rassegnato le dimissioni per sopraggiunta intollerabile inutilità.
La gente da più generazioni aveva smesso di riconoscerli, di commuoversi per le loro gesta eroiche, o semplicemente di invidiare loro l’alta e prospera fortuna. Adesso se ne vanno, pedibus calcantibus (o così sembra) e finalmente lasciano un vuoto. Bandiere a mezz’asta sullo stupore collettivo.
Accade però che son molti i personaggi a cui non una piazza, nè una via è stata intitolata, e che non possono nemmeno fare la rimostranza di scendere, semoventi, da un proprio basamento.

Tra i più illustri sconosciuti a cui sia stata intitolata una piazza, ne scelgo uno, il mio preferito: si tratta di Don Domenico Caracciolo, sfortunato Vicerè di Sicilia.
Ultimo suo fedele e appassionato ammiratore, possiamo dire con grande verosimiglianza, fu Leonardo Sciascia.
Napoletano di nascita, nutrito dei più alti principi dell’illuminismo francese e partenopeo, amico di D’Holbach, Helvetius, d’Alembert, Vicerè di Sicilia dal 1781 al 1786, D. Domenico Caracciolo Marchese di Villamaina, era stato tra i più innovatori uomini politici del Vicereame, prima di essere esautorato per i medesimi motivi.
Caracciolo non aveva risparmiato energie per mettere fine al flagello dell’Inquisizione siciliana che dal temuto Palazzo Steri di Palermo da secoli imponeva un Regime del terrore in tutta l’Isola. Appartenente ad un’antica famiglia aristocratica partenopea, Caracciolo aveva imposto tasse a clero e aristocrazia per far lastricare le strade di Palermo, abolito dazi annonari e aveva promosso le arti costruendo teatri e finanziando la neonata Accademia degli Studi. Fu uomo laico e devoto alla causa di uno sviluppo economico diffuso del Vicereame. Ma soprattutto aveva posto un limite allo strapotere della classe baronale siciliana che appellandosi al mero e misto imperio faceva il buono e il cattivo tempo all’interno dei propri dominii, una vera e propria forma di stato nello stato, o meglio di antistato, ben nota ai Siciliani.

Quando il temerario Marchese, più di 200 anni orsono, si rese conto di aver toccato gli interessi del potentissimo baronaggio siciliano, costretto a ritirarsi per sempre dalla vita politica, così scriveva a Sir John Acton, Primo Ministro a Napoli: “Un galantuomo non può servire in Sicilia senza essere schiavo dei Siciliani, ed io non lo voglio essere; ma neanche voglio esporre la mia riputazione, sempre in pericolo in mezzo a questa masnada e con gli orecchi delle segreterie sempre aperti ad ascoltarli”.
Fu così che uno dei più sapienti governatori di quest’Isola, dopo cinque anni di impegno che oggi chiameremmo una “rivoluzione”, lascia les arides bords de la sauvage Sicile, dopo essersi impegnato Toto Marte ad incoraggiare un’inesistente classe media. Quella “middle-class” siciliana che faticherà ad avere un proprio statuto ed una propria dignità.

Questo riformatore napoletano con la testa al Secolo dei Lumi non va però confuso con l’Ammiraglio Caracciolo (altro grande sconfitto dalla Storia), che lottò nei moti del ’99 per la causa della Repubblica Partenopea finendo assassinato dall’Ammiraglio Nelson.
Al nostro Caracciolo, Vicerè e riformatore, Palermo ha dedicato una piazza, la Piazza della Vucciria che porta il suo nome, piano che egli stesso risistemò rendendolo uno dei cuori pulsanti dell’antico centro cittadino.
In quel viavai quotidiano delle bancarelle e del mercato, nello struscio di corpi e suoni e nella più promiscua fusione di odori misti ad urla miste ad offerte di venditori ambulanti nel mezzo di antiche contrattazioni, il Vicerè sorride al pensiero che la più autentica e vitale delle piazze di Palermo, animata da tanta energia e vero luogo di vita vera, porta il suo nome: Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina, Vicerè di Sicilia, morto per una sorte bizzarra il 16 Luglio 1789, quando tutto era appena agli albori. O al tramonto.


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