Michele Serra Gli sdraiati (Feltrinelli, 2013, € 12,00, pp. 108). Arrivo tardi, ormai ne hanno parlato tutti. Tifo da calcio, come al solito. Che bello! Che brutto! Che noioso (Il Giornale). Ecco, noioso proprio non è: si legge in una sera ed è meglio non farlo vicino a qualcuno che dorme perché qua e là si scoppia a ridere. E, come sempre quando si ride, si producono sensazioni fatte d'aria che si insinuano dove i pensieri petrosi non sanno arrivare. Ridendo, spesso si colgono verità che la serietà non distingue. Ridendo, si riesce a dirsi anche ciò che fa male. Ed è a questo che arriva Michele Serra. Ma solo alla fine di un intreccio a tre filoni.
C'è il racconto di questo figlio diciottenne in perenne posizione orizzontale, iperconnesso, sincronizzato col fuso orario di Anchorage, incapace di lavare un piatto, di infilare i resti della cena in frigorifero o di gettare i calzini usati a lavare, così imperscrutabile, inconcludente che il padre si domanda: "e se un qualche radicale cambiamento nell'assetto neuronale avesse prodotto non un normale avvicendarsi di culture e di mode e di pensieri, ma una separazione definitiva tra il passato e il futuro degli umani?". Una catena spezzata?
C'è il tentativo, coronato infine, di portarlo con sé in una camminata al fantomatico colle della Nasca, passeggiata che ha il sapore di un passaggio del testimone.
C'è la rappresentazione di una immaginaria (ed esilarante) Grande Guerra Finale tra giovani e i vecchi, armati della "forza soverchiante della quantità, e avvantaggiati dalla prospettiva di perdere, in caso di morte, solo una piccola quota residua della propria vita", guerra che può concludersi solo con un tradimento, quello di Brenno Alzheimer (!) che consegna il mondo in mano ai ragazzi.
Ma alla fine di questo racconto tripartito, stemperato in un vapore di sarcasmo appena alcolico, Michele Serra arriva a dire qualcosa che fa male. Ogni accusa fin qui mossa alla generazione degli sdraiati torna come un boomerang: ed è lì che ho veramente amato questo libro, in una manciata di frasi sul finale, che leggo e rileggo mentre richiamo i miei figli perché raccolgano da terra la biancheria sporca e riordinino i loro giochi.
"Riconosco che di tutte le tradizionali attitudini del padre - stabilire regole, rimproverare, punire, disciplinare - non sono un convincente interprete. Le volte che tento di riportare ordine, sottolineare regole, sento di avere il tono incerto dell'improvvisatore, non il tono autorevole di chi è sicuro del proprio ruolo. Sento di sembrare uno che si è ricordato all'improvviso, costretto dall'emergenza, che avrebbe avuto il compito di governare. E non lo ha fatto. E simula, come il più ipocrita e il più inetto dei politici, di avere un programma di governo affastellando alla rinfusa mozziconi di regole, minacce improbabili, ricatti sentimentali, con la voce che oscilla dal borbottio lugubre all'acuto nevrastenico. Nel corso di questi concitati e per fortuna rari comizi domestici, dubito di almeno la metà delle cose che dico.
[...] In certe cupe riflessioni serali, mentre tu eri sparito nel tuo altrove e io rinchiuso nella mia impotenza, ho temuto di avere abdicato, come padre, e di averlo fatto per comodità e per pigrizia. Ma al tempo stesso valutavo l'insincerità che mi sarebbe stata necessaria per fingermi depositario di un ordine vero, articolato in regole ferree e punizioni esemplari. [...] Nella furibonda disputa del mio parlamento interiore, dai banchi della destra si levano accuse cocenti contro l'imbelle rinuncia della sinistra a esercitare l'autorità. Ma anche quando sospetto che la destra abbia ragione, me ne rimango ostinatamente seduto sui banchi della sinistra. E lo sai perché? Perché non posso fare altro. Se non esercito il potere non è solamente per pigrizia. È soprattutto perché al potere, così come si è strutturato prima di te e di me, io non riesco più a credere".
Lo sconcerto dei padri davanti alla diversità dei figli sembra il sussulto di coscienza dell'umanità che, per un attimo, coglie la propria essenza: e si sgomenta di generare solo qualcosa che non può determinare.