Il concetto di sviluppo sostenibile si può sintetizzare in una frase: “lo sviluppo sostenibile soddisfa i bisogni della generazione attuale senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”.
L’inventore della sostenibilità e delle teorie collegate è l’economista e filosofo francese Serge Latouche. Nato nel pieno della seconda guerra mondiale, è noto per la sua avversione alla dilagante occidentalizzazione dei popoli e si è sempre proclamato in favore di una decrescita felice che aiuti l’umanità a liberarsi definitivamente della visione economicista applicata a ogni cosa.
“Siamo diventati dei “tossicodipendenti” della crescita.”
Dice Latouche e, le sue riflessioni, partono proprio dalla considerazione che lo sviluppo del mondo non può più basarsi sulla perenne ricerca della crescita economica e dei conseguenti debiti, non solo economici ma anche ambientali e sociali, da pagare per raggiungerla.
C’è da ripensare l’intero sistema globale e cominciare ad ipotizzare scenari di sviluppo alternativi nei quali non è l’economia a dominare tutte le nostre azioni, decisioni, iniziative e desideri. Così, Latouche, propone di sostituire alla spasmodica corsa alla crescita economica, una decrescita o acrescita economica.
Decrescita però, nella sua prospettiva, non significa per forza sacrificio e rinuncia, ma piuttosto favorire uno stile di vita incentrato maggiormente sulla sobrietà, sul senso del limite e sulle “8 R” (Rivalutare, Ricontestualizzare, Ristrutturare, Rilocalizzare, Ridistribuire, Ridurre, Riciclare, Riutilizzare) per far fronte ai problemi ambientali e sociali del nostro tempo, dovuti proprio alla crescita irresponsabile.
Non è una teoria affascinante? In questo momento in cui la crisi è sempre più nera e l’agognata crescita sembra sempre più distante, le teorie di Latouche a me sembrano una buona alternativa.